La Protologia in Platone

Tratto da Per una nuova interpretazione di Platone (G. Reale)

 

 

A cura di Enrico Rubetti

 

 

 

 

I.          La polivalenza strutturale dei Principi, la divisione categoriale della realtà e il duplice procedimento del metodo dialettico che porta ai Principi.

 

 

1.1 La triplice valenza ontologica, gnoseologica e assiologia dei Principi

 

L’Uno, Principio supremo nel preciso senso metafisico che gli dà Platone, così come è (1) fondamento dell’essere e (2) della verità, analogamente lo è anche (3) del bene (in quanto è l’essenza stessa del bene).

 

(1) L’uno, agendo sul molteplice illimitato, lo de-termina, lo de-limita, lo ordina, e quindi lo unifica, producendo, in tal modo, gli enti (l’essere) a vari livelli.

(2) Ma ciò che è de-limitato, de-terminato e ordinato, è strutturalmente conoscibile. Pertanto, unità, limite e ordine sono il fondamento della conoscibilità della cose.

(3) Ma agendo in questo modo sul molteplice, l’Uno produce ordine e stabilità, e, quindi, produce anche valore. Infatti, ciò che è ordinato, armonioso e stabile, è anche buono e bello. Il bene è, dunque, l’ordine prodotto dall’Uno. In tal modo si spiega la valenza assiologia della dottrina dei Principi. La virtù è dunque ordinamento di ciò che tende ad eccesso o difetto e quindi come unità-della-molteplicità.

 

Con questa sua concezione dei Principi, Platone si rivela il precursore della dottrina dei trascendentali. Ma egli la fonda su una concezione unitaria dell’essere, che si radica sulla sua teoria dei Principi. Il concetto basilare che funge da mediatore fra i vari aspetti è quello di limite.

Da qui si ricava la definizione di Unità come “misura suprema di tutte le cose” (Krämer).

E tale misura si esplica nelle tre dimensioni (vedi sopra):

 

(1)   nella dimensione ontologica è « misura » nel senso di limite e principio delimitante;

(2)   nella dimensione gnoseologica è « misura » nel senso che la conoscenza si fonda sull’unità di misura, che si riferisce strutturalmente alle cose delimitate e quindi misurate;

(3)   nella dimensione assiologia costituisce strutturalmente la norma, come « misura » della molteplicità da essa de-limitata.

 

Scrive Krämer: L’unità nel suo rapporto col mondo è suprema misura di essere, di bontà (areté) e di verità, e, per questo, appunto come misura, è riferita al mondo. Il concetto dell’unità come misura esprime, dunque, la correlazione fra Principio primo ed essere. E in quanto funge da intermedio fra l’uno e l’altro, esso riassume in sé la concezione ontologica di fondo di Platone.

In funzione di questa interpretazione si unificano perfettamente le grandi linee seguite da Platone nei suoi scritti: (1) quella metafisica, (2) quella gnoseologica e (3) quella etico-politica (e, connessa a quest’ultima, anche quella religiosa, perché l’assimilarsi a Dio e al divino consiste nell’assimilarsi all’Uno, all’Intelligenza suprema che in tutti i sensi porta unità nella molteplicità, e quindi nel realizzare questo nella vita privata e nella vita pubblica).

 

 

1.2  La divisione categoriale della realtà e le metaidee o idee generalissime

 

Dai due Principi supremi, dunque, derivano i Numeri ideali, che si inscrivono in uno schema generale di divisione categoriale dell’intera realtà, allo scopo di dimostrare come tutti gli esseri siano effettivamente riportabili ai due Principi, in quanto derivano dalla loro mescolanza.

Gli esseri si suddividono in:

 

(1)       esseri per sé (esempi: uomo, cavallo, terra, acqua, etc.)

(2)       esseri che sono in rapporto ad altro, che a loro volta si suddividono in:

(2a) opposti contrari (esempi: uguale-disuguale, immobile-mosso, etc.)

(2b) correlativi (esempi: grande-piccolo, alto-basso, destro sinistro, etc.)

 

Può sorprendere la distinzione fra (2a) contrari e (2b) correlativi, dato che ambedue sono esseri-in-relazione-ad-altro. Ma i primi si distinguono nettamente dai secondi: infatti i contrari non possono coesistere insieme, e la scomparsa di uno dei contrari coincide con il prodursi dell’altro; per contro i correlativi sono caratterizzati dal coesistere e dallo scomparire insieme. Inoltre i primi non ammetto un termine medio; i secondi invece lo ammettono.

 

·     Secondo l’opposizione sussistono tutte quelle cose che vengono pensate secondo l’opposizione di una rispetto ad un’altra; cioè “in relazione a qualcosa” sono pensate quelle cose che sono pensate secondo la loro relazione ad altro (infatti il destro è pensato secondo la relazione col sinistro ed il sinistro secondo la relazione con il destro). Si dice poi che le cose che sono pensate secondo l’opposizione differiscono da queste che sono pensate in relazione a qualcosa. Infatti, nel caso dei contrari, la scomparsa dell’uno coincide con il prodursi dell’altro.

·     Le cose che sono in relazione con altro hanno la caratteristica del coesistere insieme e dell’essere soppresse insieme. Ma a differenza delle cose che sono in relazione a qualcosa, nelle quali si può pensare che ci sia un medio, fra gli opposti non si può in generale pensare che ci sia un medio.

 

Questa distinzione categoriale, e quindi queste diverse categorie, non sono pure distinzioni logiche ed astratte, bensì esplicitazioni della struttura stessa dell’essere. Esse sono esseri di per sé; ci troviamo dunque di fronte al tipico « parallelismo di pensare e di essere » e quindi alla strutturale corrispondenza fra il logico-gnoseologico e l’ontologico. E lo stesso vale anche per gli opposti correlativi, sia a livello generale, sia a livello particolare.

Ci troviamo, di conseguenza, di fronte a quelle Idee generalissime, che Krämer propone di chiamare Metaidee.

 

 

1.3 Strutturale dipendenza di questa triplice distinzione categoriale dai principi primi

 

Scopo di questa tripartizione categoriale è riportare tutte le cose senza eccezione, per successivi gradi di semplificazione, fino ai Principi, che sono le realtà fondamentali semplici e assolute e Principi di tutte le cose. Il procedimento di questa distinzione categoriale degli esseri si basa su uno schema di rapporti, tipico del mondo ideale, che sale dalle speci ai generi, ossia verso il sempre più universale.

 

(1)       Gli « esseri per sé » o sostanziali cadono sotto il genere dell’Unità. Infatti gli esseri in sé o sostanziali sono esseri perfettamente  differenziati, definiti e determinati, appunto nella misura in cui la cosa differenziata è una. Dunque, l’essenza degli « esseri per sé », ossia la sostanzialità, è l’unità:  l’unità della molteplicità esplica l’essenza dell’essere sostanziale. La sostanza è sostanza solo come una.

(2a) Gli esseri che sono fra loro in rapporto di opposizione di contrarietà, ossia i contrari, rientrano nei generi dell’uguale e del disuguale.

L’uguale si riporta all’Uno, per il motivo che l’Uno rappresenta l’uguale a sé medesimo in maniera primaria. Il disuguale, invece, in quanto implica il più e il meno, implica l’eccesso e il difetto, e, dunque, è riportabile al Principio della Dualità indefinita.

(2b) Gli esseri che costituiscono coppie di correlativi implicano un riferimento all’ « eccesso e difetto », essendo la loro relazione reciproca non definita strutturalmente, in quanto ciascun termine può crescere o decrescere. Infatti, questo tipo di rapporto si basa sull’indeterminatezza dei due termini. Questi esseri sono posti sotto il genere dell’« eccesso e del difetto ». E l’« eccesso e difetto » si riporta al Principio della Dualità indefinita.

 

La riduzione ai Principi implica che in alcuni enti prevalga l’azione del primo Principio (ossia dell’Uno), mentre in altri enti prevalga l’azione del secondo (ossia della Dualità indeterminata). In ogni caso, l’unità resta il costitutivo ontologico fondamentale, anche nel suo differente grado di prevalenza sul Principio opposto.

 

 

1.4  La « divisione dei contrari » come parte della platonica divisione categoriale di tutti gli esseri

 

In questa ottica di problemi si colloca la « divisione dei contrari », ossia la sistematica determinazione e divisione delle supreme coppie di contrari. Data la loro universalità e  generalità, le Idee che rientrano in queste supreme coppie dei contrari possono essere qualificate come Metaidee.

Quattro delle coppie più significative sono: Identità ­– Differenza; Somiglianza – Dissomiglianza; Quiete ­– Movimento; Pari – Dispari.

Lo stesso Aristotele dedicò a queste coppie di contrari un’opera (andata perduta) dal titolo La divisione dei contrari, in cui riproduceva un materiale desunto dalle lezioni di Platone Intorno al Bene.

Platone mirava a riportare le Idee generali che costituivano i contrari ai due Principi supremi. La funzione di queste Idee doveva essere di carattere « regolativo » e probabilmente analogo alla funzione dei Numeri ideali.

Ribadiamo: ciascun membro delle coppie dei contrari è già il risultato sintetico di tutti e due i Principi (Unità e Molteplicità).

 

·                 L’Identità non è l’Uno, ma una sua prima specificazione, cioè una primaria determinazione dell’indeterminato in cui prevale l’Unità.

·                 Analogamente la Differenza non è il puro indeterminato, ma è una prima determinazione dell’indeterminato, in cui prevale non l’Uno ma l’indeterminato.

 

 

1.5  Duplicità del processo dialettico: procedimento di « elmentarizzante » e « generalizzante »

 

Nel procedimento che caratterizza la divisione categoriale, predomina un metodo che tende verso generi sempre più universali, fino a giungere ai generi generalissimi.

Krämer sostiene che si tratti di due differenti forme di pensiero, che, per lo più, si completano a vicenda, ma che, talora, si trovano in opposizione  meglio in concorrenza l’una con l’altra: a) quella elementarizzante orientata sul modello della matematica, che riconduce ogni cosa, mediante la scomposizione in parti sempre più piccole, ai suoi elementi ultimi e più semplici; b) quella generalizzante, di genesi socratica, che risale dal particolare al sempre più generale: questa forma di pensiero si riferisce alla sfera degli universali in senso stretto, e, soprattutto, alle Metaidee sopra menzionate di identità, uguaglianza, somiglianza e dei loro contrari.

Sussiste quindi un pluralismo metodologico in Platone, in conseguenza del quale i principi assumono il duplice status sia di elementa prima, sia, anche, di genera generalissima (unità qui significa il più semplice e, anche, il più universale). Platone cercò di cogliere mediante molteplici tentativi convergenti la totalità dell’essere.

Un siffatto pluralismo metodologico si può porre in relazione, sia pure alla lontana, con il pluralismo di prospettive che i dialoghi presentano.

Concludendo: la « filosofia prima », ossia la metafisica, è universale; e se esiste una sostanza immobile, eterna e trascendente, la scienza che ha come oggetto di indagine questa sostanza, verrà ad essere superiore alle altre scienze e sarà prima perché indaga la sostanza prima (il Principio primo). Questo è anche l’oggetto d’indagine della metafisica aristotelica, dove ambedue i metodi (elementarizzazione e universalizzazione) risultano convergenti ai fini della ricerca.

 

 

 

II.       Rapporti delle teorie delle Idee, dei Numeri e dei Principi primi con l’arte e la spiritualità dei Greci

 

 

2.1 L’idea come ogetto di visione intellettiva è creazione e caratteristica di fondo delle genialità greca

 

Con il vocabolo « Idea » si traducono generalmente i termini greci idea ed eidos. Tuttavia, nel linguaggio moderno, « idea » ha assunto un senso che è estraneo a quello platonico: un concetto, un pensiero, una rappresentazione mentale, qualcosa che si ci riporta sul piano psicologico. Platone, per contro, con « Idea » intendeva qualcosa che costituisce l’oggetto specifico del pensiero, vale a dire ciò a cui il pensiero si rivolge in maniera pura, ciò senza cui il pensiero non sarebbe pensiero: non quindi un ente puro di ragione, bensì un essere, anzi quell’essere che è assolutamente il vero essere.

Inoltre, i termini idea e eidos derivano ambedue da idein, che vuol dire « vedere », e nella lingua greca anteriore a Platone venivano impiegati soprattutto per designare la forma visibile della cose, quindi il « veduto » sensibile. Successivamente, idea ed eidos sono passati ad indicare la forma interiore, ossia la natura specifica della cosa, l’essenza della cosa.

Platone, dunque, parla di Idea e di Eidos soprattutto per indicare questa forma interiore, questa struttura metafisica o essenza delle cose, di natura intellegibile.

Come mai un termine che significava, originariamente, l’oggetto di un vedere abbia potuto giungere a significare la più alta forma metafisica dell’essere?

Capire a fondo le ragioni che hanno portato Platone alla creazione della teoria delle Idee, significa capire proprio quel nesso sintetico che per il greco strutturalmente unisce « vedere » - « forma » - « essere ».

 

1.  È stato più volte rilevato dagli studiosi come la civiltà spirituale greca sia stata una civiltà della « visione » e quindi della « forma » che è oggetto di visione; antitetica, ad esempio, alla civiltà ebraica, la cui cifra predominante, invece, è stata l’« ascoltare » e l’« udire », nel senso di ascoltare la « voce » e la « parola » di Dio e dei profeti.

 

2.  Già Democrito aveva usato il termine idea per disegnate l’atomo, inteso nel senso di forma geometrica indivisibile e concepito indivisibile agli occhi fisici e coglibile solo con la mente.

L’atomo-idea di Democrito è, però, il « pieno » differenziato e determinato  quantitativamente; è visibile, sì, ma solamente dall’intelletto e non dai sensi, e tuttavia è di carattere fisico. La « forma » degli Atomisti è, pertanto, materialità pura; dunque, si può dire che prima dell’Idea platonica che è quantità, immaterialità e finalità, vi è l’idea democritea che è quantità, materialità e necessità.

 

3.  Il salto fondamentale di Platone è quello reso possibile dalla « seconda navigazione »: le Forme o Idee platoniche sono l’originario qualitativo immateriale, e, quindi, sono realtà di carattere non fisico ma metafisico.

 

Scrive Friedlaender: Platone possedeva […] l’occhio plastico dell’Elleno, un occhio di ugual natura di quello con cui Policleto ha visto il canone […]; ed anche della stessa natura di quello che il matematico greco volgeva alle pure forme geometriche.

In ciò consisteva la straordinaria « consapevolezza » di Platone: le cose che con gli occhi del corpo percepiamo, sono le forme fisiche; le cose che cogliamo con « l’occhio dell’anima » sono, invece, forme non fisiche: la vista dell’intelligenza coglie forme intelligibili, che sono, appunto, pure essenze.

Alla luce di tutto questo, Platone stabilisce una metafisica connessione: il vedere intellettivo implica come sua ragion d’essere il veduto intellettivo, ossia l’Idea. Per questo motivo l’Idea implica un radicale nesso sintetico, ossia appunto una unità strutturale fra visione-veduto-forma-essere. Pertanto, nella teoria della Idee Platone esprime veramente una della cifre supreme della grecità.

 

 

2.2  Radici delle riduzione operata da Platone delle idee a numeri nell’arte plastica dei greci e nei suoi « canoni »

 

La protologia platonica, così come è stata ricostruita in funzione del nuovo paradigma, risulta l’espressione metafisica più genuina delle più risposte e più profonde radici del pensare e del sentire greco, quale si esplica in tutte le manifestazioni spirituali, ossia nell’arte, nella religione e nelle grandi regole morali, oltre che nella filosofia.

Che senso ha ridurre le Idee a Numeri?

Un’eccellente analogia culturale e spirituale rispetto alla teoria delle Idee-Numeri viene fornita dal « canone », il quale esprimeva una « regola di perfezione » essenziale, che gli Elleni indicavano in una proporzione perfetta esprimibile in maniera esatta con numeri. Dunque, la « forma ( = Idea) », che in vario modo viene realizzata nelle  arti plastiche, per i Greci era riducibile a proporzione numerica  e a numero.

Ad esempio, tutti gli elementi della costruzione archittettonica « erano determinati numericamente ».

Anche il canone della scultura era numerico e dipendeva da una proporzione fissa. La bellezza infatti nasce “dall’esatta proporzione non degli elementi ma delle parti. È chiaro, pertanto, che il celebre « canone » di Policleto  esprimeva la proporzione della parti come traducibile in precisi « rapporti numerici ».

L’occhio plastico greco non vedeva la Forma o Figura (Idea) come qualcosa di ultimativo; ma vedeva, al di là di essa, qualcosa di ulteriore, vale a dire il Numero  e il rapporto numerico.

Traseferendo tutto questo sul piano raggiunto dalla « seconda navigazione » di Platone, si guadagnerà una perfetta corrispondeza a livello metafisico: le Idee, che esprimono le forme spirituali e le essenze delle cose, non sono la ragione ultimativa delle cose, ma suppongono un alcunché di ulteriore, che consiste, appunto, nei Numeri e nei rapporti numerici, e, quindi, nei Principi supremi da cui derivano gli stessi Numeri ideali e gli stessi rapporti numerici ideali.

 

 

2.3  La teoria platonica dei due Principi supremi polarmente opposti espressa in maniera mitica dalla concezione teologica e religiosa dei greci

 

La teoria dei due Principi supremi trova la sua espressione più compiuta nella teologia greca, quale è contenuta nella Teogonia di Esiodo. Fin dall’origine gli Dei e le forze cosmiche si dividevano in due sfere polarmente opposte, facenti capo a Caos e Gaia, aventi rispettivamente le caratteristiche della « amorfità » e della « forma », le quali, appunto, con questa opposizione riassumono la totalità della realtà. Così proseguendo, nella seconda fase della teogonia, con la nascita e il succedersi dei Titani e degli Dei olimpici, il Tartaro si verrà ad identificare come il « contro-mondo polarmente opposto » all’Olimpo. Ma, in fondo, anche ciascuno degli Dei risulta come un misto di forze aventi carattere polarmente opposto all’altro.

La « forma polare » è dunque la struttura di base della teogonia greca e del modo greco di pensare in generale. Tale forma del pensiero vede, concepisce, modella e organizza il mondo, come unità, in coppie di contrari. Essi sono la forma in cui il mondo si presenta allo spirito greco; ma nella loro esistenza logica, cioè polare, sono condizionati dalla loro stessa opposizione: perdendo il polo opposto, essi perderebbero il loro stesso senso.

Questa « forma polare » risulta siglata nella teoria dei Principi supremi Uno/Diade e nelle grandi tesi ad essa connesse che Platone ha espresso nelle sue « Dottrine non scritte ».

 

 

2.4  Prefigurazione della teoria platonica dei Principi primi e del loro schema bipolare nella filosofia dei presocratici

 

·                 Parmenide dice che i « mortali » (gli uomini) hanno posto due realtà primordiali, rappresentate dalla « luce » e dalla « oscura notte », come i principi dai quali scaturiscono tutte le cose. Tuttavia i « mortali » hanno errato, in quanto non hanno capito che le due forme sono incluse in una superiore necessaria unità, ossia l’unità dell’essere.

·                 Empedocle sosteneva che la mescolanza e la separazione dei quattro elementi (acqua, aria, fuoco e terra), che danno origine al nascere e al perire di tutte le cose, sono causate dalle due grandi forze cosmiche dell’Amicizia e della Discordia, una concezione globale della struttura del reale fortemente bipolare.

·                 Ma la posizione più vicina a Platone è indubbiamente quella dei Pitagorici. Questi non solo hanno sostenuto che i numeri sono i principi di tutte le cose; ma hanno anche affermato che, siccome i numeri medesimi derivano da elementi ulteriori, tali elementi da cui essi derivano sono gli elementi di tutte le cose.

 

I numeri sono tutti raggruppabili in due specie, pari e dispari, tranne l’uno, il quale fa eccezione, essendo capace di generare e il pari e il dispari.

Ma il pari e il dispari non sono ancora gli elementi ultimi.

Filolao ci parla espressamente dell’illimitato e del limite come di principi primi e supremi di tutte le cose. I primi Pitagorici concepivano l’illimitato come un vuoto circondante il tutto, e si raffiguravano l’universo come scaturente da una specie di « inspirazione » di questo vuoto da parte di un uno. Appunto da questa inspirazione dell’illimitato vuoto nell’uno erano generati i numeri e le cose.

Anche il pensiero morale dei Greci presuppone un « limite » opposto ad un « illimite », ossia una visione sintetica polarmente connotata. Aristotele, nelle sua celebre dottrina delle virtù etiche, presenta il concetto di « medietà », ossia la giusta misura che la ragione impone a sentimenti o ad azioni, che di per sé tenderebbero agli eccessi del troppo o del troppo poco.

 

In conclusione, la teoria platonica dei Principi rappresenta davvero la dottrina filosofica più alta in quanto esprime il modo tipico e più profondo del pensare in generale dei Greci e del loro stesso immaginare e sentire; e pertanto esprime veramente la cifra suprema della spiritualità della Grecità, in tutte le sue più grandi manifestazioni.

 

 

 

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