QUINE

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QUINEEmpirismo, pragmatismo e comportamentismo, connessi ad una grande padronanza degli strumenti della logica formale, rientrano nell'opera del forse più grande filosofo statunitense del '900, Willard van Orman Quine. Nato nel 1908 ad Akron, nell'Ohio, Quine studiò logica e filosofia ad Harvard; nel 1933-1934 entrò in contatto, in Europa, con parecchi positivisti logici, specialmente con Carnap, ed insegnò poi all'università di Harvard. Fu autore di numerose opere, tra le quali vanno ricordate Metodi della logica (1950) , la raccolta di saggi Da un punto di vista logico (1953) , Parola e oggetto (1960) , I modi del paradosso e altri saggi (1966), Relatività ontologica e altri saggi (1969), Filosofia della logica (1970), Le radici del riferimento (1974). La maggior parte delle prime pubblicazioni di Quine hanno riguardato la logica formale. Successivamente egli ha gradualmente spostato i suoi interessi verso questioni di ontologia, epistemologia e linguaggio; dagli anni 1960 sostanzialmente egli ha sviluppato un suo progetto di "epistemologia naturalizzata" avente lo scopo di dare risposte a tutte le questioni sostanziali della conoscenza e del significato utilizzando metodi e strumenti delle scienze naturali. Quine ha decisamente rifiutato la visione secondo la quale c'è una "prima filosofia", costituente un punto di vista teoretico in qualche modo precedente la scienza e capace di giustificarla. Entrambi queste prese di posizione generali fanno parte del naturalismo filosofico di Quine. Negli anni 1920 e 1930, le discussioni con Carnap, Nelson Goodman, Alfred Tarski e altri hanno condotto Quine a dubitare della tenuta della distinzione, fondamentale per il positivismo logico, fra "enunciati analitici" -- quelli veri o falsi semplicemente in relazione ai significati dei termini che li compongono come Tutti gli scapoli non sono ammogliati -- ed "enunciati sintetici", veri o falsi in relazione ai fatti del mondo come "C'è un gatto sullo zerbino." Un enunciato è analitico quando è vero solo grazie al significato dei suoi termini, senza riferimento ai fatti del mondo. Questa definizione dipende però dalla definizione della nozione di significato. Difatti, dice Quine, se comprendessimo a che cosa "il significato di T" fa riferimento, capiremmo anche cosa significa dire che i due termini T1 e T2 sono sinonimi: vorrebbe dire che i loro significati sono identici. Ad esempio la proposizione Tutti gli uomini non ammogliati sono scapoli è considerata analitica perché si intende che il significato di "scapolo" ed il significato di "non sposato" siano identici. Se cosi fosse, potremmo dire che una proposizione è analitica se può essere trasformato in una verità logica rimpiazzando sinonimo con sinonimo. Quindi Tutti gli uomini non ammogliati sono scapoli si trasformerebbe in Tutti gli uomini scapoli sono scapoli, che è una verità logica. Ma qui risiede il problema. Secondo Quine è la nozione di significato che va attaccata nella sua definizione classica. Egli rifiuta infatti il mentalismo che vuole che i significati siano determinati nella mente prima e oltre a ciò che è implicito nelle disposizioni al comportamento. In altre parole, secondo Quine, non si può fare riferimento al significato di una proposizione senza fare riferimento ai fatti del mondo. In essenza, per Quine le proposizioni analitiche e sintetiche non possono essere distinte –- e la distinzione deve essere dissolta. Il libro Word and Object (1960) riassume molto del precedente lavoro di Quine al di fuori della logica formale. Quine esamina i metodi che sarebbero disponibili a un "linguista sul campo" che cercasse di tradurre un linguaggio a lui prima sconosciuto. Egli osserva che ci sono molti modi per suddividere una frase in parole e diversi modi per distribuire funzioni tra le parole. Ogni ipotesi di traduzione potrebbe essere difesa solo ricorrendo al contesto: osservare quali altre sentenze un parlante nativo pronuncerebbe. Ma una analoga indeterminatezza comparirebbe ancora: ogni ipotesi di traduzione può essere difesa se si adottano abbastanza ipotesi compensatorie riguardanti altre parti del linguaggio. L'esempio proposto da Quine in proposito, ora divenuto leggendario riguarda la parola "gavagai" pronunciata da un nativo in presenza di un coniglio. Il linguista potrebbe tradurla con "coniglio", o con "Guarda, un coniglio", o "mosca del coniglio" (nome di un supposto genere di insetto che non abbandona i conigli), oppure "cibo" oppure "Andiamo a caccia", o "Stanotte ci sarà una tempesta" (se i nativi hanno particolari credenze sui collegamenti conigli-tempeste), o anche "momentaneo stadio del coniglio", "sezione temporale di una estensione tetradimensionale spazio-temporale di un coniglio", "massa di coniglità", o "parte di coniglio non individuata". Alcune di queste ipotesi alla luce di ulteriori osservazioni possono diventare meno probabili -- cioè ipotesi meno maneggevoli. Altre possono essere scartate solo ponendo ai nativi delle domande. Una risposta affermativa a "È questo lo stesso gavagai di quello precedente?" farà scartare "momentaneo stadio del coniglio", e così via. Ma queste domande possono essere poste solo dopo che il linguista ha imparato a padroneggiare una buona dose della grammatica e del vocabolario astratto dei nativi; questo a sua volta può essere fatto sulla base di ipotesi derivate da più semplici frammenti di linguaggio collegate a osservazioni; e quelle sentenze, per parte loro, consentono interpretazioni multiple, come abbiamo constatato. Non c'è modo di sfuggire a questa circolarità. Infatti, essa interviene in forma analoga anche nella interpretazione di discorsi pronunciati nella lingua del linguista e anche nell'interpretazione delle proprie espressioni. Questa considerazione, contrariamente a una diffusa interpretazione meramente caricaturale di Quine, non porta allo scetticismo sul significato -- o questo significato è nascosto e inconoscibile, oppure queste parole sono prive di significato. Quine giunge a concludere che c'è e ci può essere non più significato di quello che potrebbe essere imparato da un comportamento di un parlante. In realtà non c'è proprio alcuna necessità di sostenere tali entità come "significati", in quanto la nozione di uguaglianza di significato non può ottenere alcuna spiegazione utilizzabile, ma dire che non ci sono "significati" non equivale a dire che le parole non significano. Di conseguenza a proposito di una traduzione da un linguaggio all'altro non si possono porre dilemmi di "giusto" o "sbagliato". Ci sono solo questioni di "meglio" e "peggio". E la scelta fra questi attributi non pone questioni di "accuratezza" come quella che sarebbe ordinariamente costruita: le teorie della traduzione sono migliori o peggiori, in relazione al migliore o peggiore successo con il quale predicono successivi enunciati e traducono secondo un più o meno semplice schema di regole. La tesi centrale che sta alla base della indeterminatezza della traduzione e di altri sviluppi dell'opera di Quine è costituita dalla relatività ontologica e dalla teoria correlata dell'olismo della conferma. La premessa dell'olismo della conferma è che tutte le teorie di quello che esiste (e le affermazioni derivate nel loro ambito) non sono sufficientemente determinate dai dati empirici (dati, dati sensoriali, evidenza); ogni teoria con la sua interpretazione dell'evidenza è ugualmente giustificabile. Così la Weltanschauung degli dei omerici secondo gli antichi greci è credibile quanto le onde elettromagnetiche del mondo dei fisici. Per quanto riguarda la sua personale credenza, Quine chiarisce alla fine dei Two Dogmas of Empiricism: « In quanto empirista io continuo a pensare lo schema concettuale della scienza, in definitiva, come uno strumento che serve a prevedere le future esperienze alla luce dell'esperienza passata. Gli oggetti fisici sono concettualmente importati nella situazione come convenienti intermediari non per definizione in termini di esperienza, ma semplicemente come presupposti irriducibili che possono essere confrontati, sul piano epistemologico, agli dei di Omero. ... Da parte mia, in quanto fisico laico, io credo negli oggetti fisici e non negli dei di Omero; e considero un errore scientifico pensarla diversamente. Ma nel momento di stabilire un fondamento epistemologico, gli oggetti fisici e gli dei differiscono solo per il loro grado e non per il loro genere. Entrambi i tipi di entità entrano nelle nostre concezioni solo come presupposti culturali. » Il relativismo ontologico di Quine lo conduce a concordare con Pierre Duhem quando ritiene che per ogni collezione di evidenza empirica ci sarebbero sempre molte teorie in grado di renderne conto, di inquadrarla. Quindi non è possibile verificare o falsificare una teoria semplicemente confrontandola con l'evidenza empirica; la teoria può sempre essere salvata con qualche modifica. Per Quine il pensiero scientifico ha formato una rete coerente nella quale ogni parte potrebbe essere alterata alla luce dell'evidenza empirica e nella quale nessuna evidenza empirica potrebbe costringere alla revisione di una parte. L'opera di Quine ha contribuito a una larga accettazione dello strumentalismo nella filosofia della scienza.

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