LA SANCTA NOVITAS

A cura di Elisabetta La Vista

Il francescanesimo è stato un grande movimento religioso che, più degli altri ordini mendicanti,ha scosso, segnato, impregnato l’insieme della società cristiana del XIII secolo, cioè dell’età in cui nacque. Ha utilizzato nuovi metodi di apostolato e, rompendo con l’isolamento del monachesimo precedente, ha spinto i suoi membri sulle strade e, soprattutto nelle città, allora in pieno sviluppo. In tutti gli ambienti il suo successo è stato clamoroso. San Francesco d’Assisi ha contribuito, grazie alla sua personalità storica e leggendaria, a garantire tale successo. Infatti, la novità del messaggio di Francesco, il suo stile di vita e di apostolato colpirono subito i suoi contemporanei.  Tommaso da Celano (1190-1265), frate francescano,scrittore e biografo del santo, celebre per aver composto due Vitae di san Francesco e una Vita di santa Chiara, ha insistito molto sull’originalità del santo, vissuto in un’epoca in cui la tradizione rappresentava un valore essenziale e la novità, invece, era motivo di scandalo.

“Nell’avvilimento in cui, non in particolare, ma in generale, dovunque era caduta la dottrina evangelica, egli fu mandato da Dio a testimoniare per tutto il mondo, come gli apostoli, la verità. Il suo insegnamento mostrò la stoltezza di tutta la sapienza del mondo, ed in breve lo riportò, con l’aiuto di Cristo, per mezzo della stoltezza della sua predicazione, alla vera sapienza di Dio; poiché nuovo evangelista in questi ultimi tempi, come un fiume in Paradiso, inondò il mondo intero con le acque fluenti del Vangelo, e con le opere predicò la vita del Figlio di Dio e la dottrina della verità. Così in lui e per lui si è operato sulla terra un insperato fervore e il santo rinnovamento, con il germe dell’antica religione, ha ringiovanito i rami assai vecchi e induriti […][1]

Gli storici sono stati colpiti anche dalla novità del tipo di santo imposto da Francesco ai suoi contemporanei.  Nella Vita prima di Tommaso da Celano,l’aspetto fisico di Francesco è descritto, assai realisticamente, secondo un canone estetico radicalmente opposto a quello tradizionale del santo grande, biondo, improntato al cavaliere nordico: “di media statura, quasi piccolo, la testa rotonda e proporzionata, il volto allungato, la fronte piatta e piccola, gli occhi di media grandezza, neri ingenui, i capelli molto scuri, le sopracciglia diritte, il naso piccolo e rettilineo, le orecchie diritte ma minute, le tempie piatte, i denti ben allineati, regolari bianchi, le labbra sottili, la barba nera, il pelo ineguale, le spalle dritte, le braccia corte, le mani piccole, le dita affilate, le unghie lunghe, le gambe esili, la pelle levigata, scarnita…”[2]

Tale ritratto appare in sintonia con le tendenze essenziali della sensibilità gotica, venata di realismo e di delicatezza, come si può facilmente riscontrare nelle rappresentazioni artistiche dell’epoca dove anche l’umanità di Cristo è fatta visibile e tangibile, perché l’uomo ne tragga luce e conforto. Riproducendo potentemente e rigorosamente, in tutte le sue figure, la realtà, le azioni e passioni della vita, l’arte esprimeva ed affermava l’umanità che aveva ritrovato se stessa.

Gli storici della fine del XIX e XX secolo esaltarono la modernità di San Francesco, iniziatore del Rinascimento e del mondo moderno: accumunavano Francesco di Assisi e Federico II, vedendo  in questi due grandi moderni del Medioevo coloro che, ciascuno nella sua sfera , avevano liberato l’Italia e la cristianità dal disprezzo del mondo, dall’ossessione del diavolo, dal peso dell’AntiCristo. Francesco era il liberatore e i caratteri distintivi della religione francescana, ovvero la libertà di spirito, l’amore, la pietà, la serenità gioconda, la fraternità formarono per lungo tempo l’originalità del cristianesimo italiano .

Sicuramente il francescanesimo costituisce ancora oggi una sancta novitas ,secondo la definizione di Tommaso da Celano, una novità santa. Ponendosi come programma un ideale positivo, aperto all’amore per tutte le creature, ancorato alla gioia e non più alla tristezza, rifiutando di essere il monaco della tradizione votato al pianto, Francesco rivoluzionò la sensibilità medievale e cristiana, ritrovando una genuina allegrezza.

Prendendo e proponendo come modello Cristo stesso, egli impegnò la cristianità in un’imitazione del Dio incarnato che dischiuse all’umanità un orizzonte infinito.

Sottraendosi alla tentazione della solitudine per vivere in mezzo alla società vivente, nelle città e non nei deserti,nelle foreste o nelle campagne, ruppe in modo definitivo con un monachesimo che voleva la separazione dal mondo .

San Francesco è stato moderno perché tale era il suo secolo. Come hanno fatto notare alcuni storici, San Francesco non sorge come un albero magico in mezzo ad un deserto, ma è il prodotto di un luogo e di un’epoca, l’Italia comunale al suo apogeo. Ciò che lo colpì fu l’asprezza e la frequenza delle lotte sociali e politiche cui dovette egli stesso prendere parte prima della conversione. Le lotte tra partigiani del papa e partigiani dell’imperatore, tra città, tra famiglie, non facevano che esasperare le opposizioni tra gruppi sociali. Francesco, figlio di mercante , si trovò a metà tra ceti popolari e nobiltà: apparteneva al popolo per nascita, ma era vicino all’aristocrazia per fortuna, cultura e tenore di vita. Voleva essere sempre umile di fronte ai suoi superiori, ma anche al cospetto dei suoi pari e dei sottoposti.

Così, ad esempio, accolse l’ammonimento di un contadino, intento a lavorare il suo campo che egli attraversava in groppa ad un asino, il quale l’esortò a non tradire la fiducia che molti riponevano in lui e ad essere così buono come si diceva. Francesco scese dall’asino, baciò i piedi del contadino e lo ringraziò per la lezione.

Sormontare le fratture sociali, dando l’esempio dell’uguaglianza e della vicinanza ai ceti più diseredati, ai poveri , ai malati e ai mendicanti, fu dunque il suo scopo. E all’interno della società secolare, fu sua aspirazione fare opera di pace .

 

 



[1] TOMMASO DA CELANO, Vita Prima di San Francesco d’Assisi, trad.it di A.Calufetti e F. Olgiati, in Fonti Francescane, Edizioni Messaggero, Padova 1983, 482-483.

[2] Ibidem, 476.