DUNS SCOTO



INTRODUZIONE AL PENSIERO
ANALISI APPROFONDITA DEL PENSIERO


DUNS SCOTOGiovanni Duns, detto Scoto perchè nato in Scozia, nacque probabilmente verso il 1265 o il 1266 e fu saprannominato dai suoi contemporanei doctor subtilis, per la sua abilità nel formulare tutte le distinzioni e alternative possibili. Entrato giovane nell'ordine francescano, studiò a Oxford e poi a Parigi, dove, secondo la consuetudine, commentò le Sentenze di Pietro Lombardo. Nel 1303 fu costretto a lasciare Parigi, essendosi schierato tra i sostenitori del papa Bonifacio XIII nel conflitto contro il re di Francia Filippo il Bello, ma già nel 1304 potè rientrare a Parigi ed essere nominato maestro. Nel 1305 tornò ad insegnare a Oxford , dove compose la sua opera più nota , intitolata Opus oxoniense, dedicata al commento alle Sentenze di Pietro Lombardo. Nel 1307 venne chiamato a insegnare teologia nello studio francescano di Colonia, da poco istituito, ma l'anno successivo perì. Altri scritti di Duns Scoto sono il Tractatus de primo principio, le Quaestiones super libros Aristotelis de anima, e i Reportata parisiensia, conservati in due redazioni, anch'essi dedicati al commento delle Sentenze. Un modo di rendere accettabile la filosofia aristotelica in Occidente era consistito nel renderla funzionale al discorso teologico e compatibile, almeno in una certa misura, con i dati della rivelazione: tale era stata la via intrapresa da Tommaso d’Aquino . Con Duns Scoto questa breve "luna di miele" (Gilson) tra fede e filosofia si interrompe. Il termine teologia designa in Duns il sapere necessario all'uomo per raggiungere il suo fine soprannaturale: per agire in vista di un fine occorre desiderarlo, ma per desiderarlo occorre conoscerlo. Con i suoi soli mezzi naturali l'uomo non può, secondo Duns Scoto, pervenire ad una conoscenza adeguata del suo fine. Tale fine, infatti, é stato voluto liberamente da Dio e da lui assegnato all'uomo e non può pertanto essere dedotto e conosciuto partendo dalle sole caratteristiche della natura umana. La scienza é per Duns Scoto scienza dimostrativa: essa deduce da premesse le conseguenze che ne derivano necessariamente, come aveva mostrato Aristotele. Ma di ciò che é deciso e voluto liberamente da Dio e, quindi, non presenta alcuna traccia di necessità, l'uomo non può avere scienza in questo senso. Duns Scoto non nega che i filosofi possano avere avuto qualche conoscenza del vero fine dell'uomo, ma nega che questa conoscenza sia stata sufficiente per garantire la salvezza. La filosofia, infatti, non può scoprire da sola ciò che all'uomo é noto solo grazie alla rivelazione contenuta nel Vangelo: in questo senso, il Dio del Vangelo non é l'oggetto della filosofia e il Dio dei filosofi non si identifica con il Dio dei cristiani. La rivelazione é la comunicazione proveniente da una fonte diversa dalle fonti naturali di conoscenza, di cui l'uomo dispone dopo il peccato originale: essa é concessa liberamente e direttamente da Dio e ci rende noto che il fine ultimo per l'uomo consiste nella visione diretta di Dio e nel godere eternamente della sua beatitudine. Questa rivelazione del fine e dei mezzi per raggiungerlo é contenuta nella Scrittura, che é quindi l'oggetto proprio della teologia. Il suo dominio é quello delle verità accettate per fede. In quanto tale la teologia é un sapere pratico, la cui finalità consiste nel conoscere le verità che Dio ha ritenuto utili per il conseguimento della salvezza e nell'indirizzare l'uomo alla beatitudine. Essa si distingue dunque da ogni scienza, in quanto ricava i propri principi dalla rivelazione e non dalle scienze alle quali l'uomo può pervenire. Queste scienze, a loro volta, non ricevono i loro principi dalla teologia. I due ambiti risultano quindi non solo autonomi, ma sostanzialmente privi di relazioni. L'ambito della scienza comprende tutto ciò che é dimostrabile: tutto ciò che non può essere dimostrato non può essere oggetto di scienza e cade, pertanto, fuori dai suoi limiti. Segno rilevante della dimostrabilità o no di qualcosa é per Duns il fatto che i filosofi, in primo luogo Aristotele, siano o no riusciti a dimostrare tale cosa. La tradizione filosofica circoscrive in qualche modo i limiti entro i quali si può legittimamente muovere la ragione umana. Al di là di essi si apre invece il terreno indipendente della teologia. La scienza suprema é per Duns Scoto - come già per Aristotele - la metafisica: essa é suprema in quanto ha per oggetto ciò che é conosciuto prima di qualsiasi altra cosa e a partire dal quale sono conoscibili le altre cose. Tale oggetto, come si é visto, non é il Dio cristiano della rivelazione, di cui si occupa la teologia. Era stato Tommaso a sostenere che due scienze distinte, la metafisica e la teologia, possono riguardare entrambi Dio. Per Duns Scoto, invece, l'oggetto proprio della metafisica é l'essere in quanto essere. La nozione di essere é la prima che l'uomo può conoscere, e per conoscere qualcosa distintamente occorre conoscere tutto ciò che é incluso nella sua nozione, tenendo conto che nella nozione di tutto ciò che é , é incluso l'essere. Non stupisce il fatto che Heidegger ottenne la libera docenza con un saggio su La dottrina delle categorie e del significato in Duns Scoto, vista la centralità della nozione di essere nel pensatore medievale. Mentre gli altri concetti sono riconducibili a quello di essere, quest'ultimo non é riducibile ad altri concetti che siano anteriori ad esso: in quanto tale esso é l'ens commune. Ma in quanto comune a tutte le cose che sono, la nozione di essere in quanto essere é indeterminata e antecedente a qualsiasi altra e pertanto predicabile di tutto ciò che é. Proprietà del termine essere é, infatti, secondo Scoto, la sua univocità. Un termine é univoco quando in tutti i suoi impieghi significa sempre e soltanto la stessa cosa. Quindi il termine essere si dice in un solo senso di tutto ciò che é. Questa dottrina si differenzia nettamente dalla concezione dell'analogicità dell'essere, sostenuta da Tommaso, o da quella della biunivocità sostenuta da Platone a costo di un omicidio, quello simbolico ai danni di Parmenide. Secondo Duns Scoto, un concetto analogo di essere sarebbe un altro concetto e quindi il concetto di essere, riferito alle creature, non potrebbe più essere usato in relazione a Dio. Il termine essere, invece, si predica univocamente, ossia nello stesso significato, sia delle cose create e finite , sia dell'essere increato e infinito, cioè Dio. Ciò non significa che l'essere sia il genere più ampio, includente al suo interno sia Dio sia le cose create: si tratta invece solo della determinazione comune a tutto ciò che é. L'essere é il primo oggetto dell'intelletto e tramite esso é possibile conoscere il resto. L'oggetto di una scienza, infatti, contiene potenzialmente la conoscenza di tutte le verità alle quali tale scienza può arrivare. Compito della metafisica sarà pertanto svolgere per via deduttiva tutto ciò che é contenuto implicitamente nel concetto di essere. Avendo per oggetto la nozione prima e comune di essere, la metafisica é la scienza suprema, presupposto di tutte le altre scienze. La metafisica non ha per oggetto l'essenza di Dio , ma può stabilire l'esistenza dell'essere che la teologia chiama Dio. L'uomo non gode di conoscenza diretta dell'essenza di Dio e pertanto non basta asserire che l'esistenza appartiene all'essenza divina per essere certi che Dio esiste. L'esistenza di Dio, infatti, non é qualcosa di evidente come la nozione che il tutto é maggiore della parte . Alla dimostrazione dell'esistenza di Dio si arriva, secondo Duns Scoto, attraverso la nozione di essere infinito, ma per dimostrare che esiste un essere infinito occorre prima dimostrare che esiste un essere primo e poi che tale essere primo é infinito. La dimostrazione dell'esistenza di un essere primo avviene a posteriori, ossia a partire dall'esperienza, e non a priori, come aveva preteso Anselmo da Aosta. Su questo aspetto, Duns si approssima alla posizione di Tommaso (le cinque vie per dimostrare l’esistenza di Dio), ma il suo punto di partenza non é la nozione di movimento, quanto piuttosto quella di essere e di causa. Noi vediamo che possono esistere enti che non sono prodotti nè dal nulla nè da se stessi, bensì da qualche altro ente, e poichè non é possibile risalire all'infinito nella serie delle cause, perchè é impossibile un'infinità di cause ordinate, occorre dunque ammettere la possibilità di un essere primo, causa di tutto il resto e a sua volta non causato da altro, quindi capace di esistere da sè poichè se non esistesse, esso non sarebbe più tale. Non dipendendo da nulla, l'essere primo non é limitato da nulla e pertanto é infinito. La nozione di infinito non é un attributo particolare di Dio, ma esprime un modo intrinseco del suo essere, il grado massimo della perfezione. Sulla base di esso si può procedere a riferire a Dio i vari attributi: così dire che Dio é bene equivale a dire che infinito é bene e così via. Dalla nozione di essere infinito é possibile ricavare quella dell'unicità di tale essere, dalla sua semplicità e immutabilità: tali attributi sono tra loro distinti formalmente, in quanto sono definibili diversamente l'uno dall'altro, ma non realmente, in quanto nessuno di essi é una entità numericamente distinguibile dagli altri. Ciò che non é dimostrabile di Dio, secondo Duns, é la sua onnipotenza. Lo prova il fatto che i filosofi non sono riusciti a dimostrarla: per i filosofi aristotelici, in particolare arabi (in particolare Avicenna), anche Dio é incatenato dalla necessità, sicchè da lui il mondo scaturisce necessariamente. Il fatto che esista il primo essere non comporta necessariamente per Duns Scoto che esso sia il primo motore, come aveva sostenuto Aristotele. Dio é primo motore soltanto perchè ha creato il mondo, ma il fatto di creare il mondo é qualcosa di contingente rispetto all'essenza di Dio, non é qualcosa che compete necessariamente alla sua essenza. Di conseguenza, il mondo che risulta dalla creazione é anch'esso contingente. L'intelletto divino produce le idee, che sono le verità e le ragioni eterne, gli esemplari o forme delle cose create. Dio ha idee di tutto, anche delle cose individuali e dei loro accidenti, nonchè della materia stessa, concepita non come privazione di forma, ma come ciò che riceve la forma. Rispetto a Dio, essere infinito, ogni creatura é finita e quindi infinitamente distante da Dio. Che esistano esseri contingenti, i quali possono essere o non essere, é verità evidente. In che modo spiegare la loro contingenza? Essa non può essere spiegata in base a cause, le quali siano causate necessariamente da altro, perchè in tal caso l'effetto non sarebbe contingente, ma necessario. La contingenza delle cose può essere spiegata solo in base ad una causa che sia prima, cioè non causata da altro, e che a sua volta causi il resto in maniera contingente, ossia senza essere costretta o determinata da altro. Tale é solamente la volontà di Dio, la quale non é vincolata da nulla e opera in maniera totalmente libera, ma proprio in quanto del tutto libera, la volontà divina sfugge a ogni necessità e ad ogni possibilità di conoscerla razionalmente , mediante scienza dimostrativa. L'onnipotenza assoluta di Dio é pertanto articolo di fede: essa consiste nel potere di creare immediatamente, cioè senza agenti intermediari (le cosiddette cause seconde) tutto ciò che é creabile. Creare vuol dire causare liberamente degli esseri possibili, la cui esistenza non é necessaria. Prima della creazione nulla esiste e ciò che esiste in virtù della creazione é contingente, può essere come non essere. Duns Scoto riprende dalla tradizione giuridica la distinzione tra ciò che é possibile secondo la legge e ciò che é possibile di fatto: il primo definisce la potentia ordinata e il secondo la potentia absoluta. Per potenza ordinata, i gravi cadono al suolo; per pitenza assoluta Dio può far sì che ciò non accada. Sia in Dio, sia tra gli uomini, la potentia absoluta é più ampia di quella ordinata, perchè riguarda un ambito più ampio di possibilità: un re, per esempio, può anche graziare un individuo condannato in base alla legge. La legge ha una funzione limitante riguardo al potere assoluto, ma Dio può anche stabilire un'altra legge che, in quanto stabilita da lui, é necessariamente buona. L'unico contrassegno della bontà di un ordine é la sua dipendenza dalla volontà divina. Qui é il nocciolo di quello che é stato definito volontarismo di Duns Scoto: Platone rispondeva che le cose piacciono alla divinità perché sono belle; Scoto, viceversa, risponde che le cose sono belle perché piacciono a Dio. In questa prospettiva, Dio appare come un sovrano assoluto: nulla può limitarne l'azione, se non il principio di contraddizione, nel senso che Dio non vuole contemporaneamente una cosa e la sua contraria; tutto ciò che egli decide di fare ha valore di legge, ma in quanto proviene dalla sua volontà é il meglio. Per Tommaso, invece, Dio trovava un vincolo nella proipria perfezione: Dio può fare tante cose, ma di fatto egli fa il meglio (è moralmente necessitato). Per Duns Scoto dunque l'attuale ordine del mondo non é l'unico possibile. Le cose create da Dio sono entità individuali, le quali tuttavia hanno una natura comune. Socrate, Platone e gli altri individui hanno qualcosa che li distingue da un cavallo o da una pietra: esso é appunto la natura comune, consistente nell'essere uomini. Ma, diversamente dalle posizioni realistiche, le quali sostengono l'esistenza reale della natura comune, per Duns Scoto essa non é un essere numericamente distinto dalle cose individuali e non é pertanto dotato di esistenza a parte da queste cose, ma non é neppure una semplice entità mentale, come gli universali pensati dall'intelletto. Essa non é di per sè nè universale nè singolare , ma indifferente sia all'universalità sia alla singolarità. Da che cosa dipende allora l'individualità delle cose? Ovviamente non può dipendere dalla forma, che coincide con la natura comune; e inoltre il principio di individuazione non può essere dato neppure dalla materia. Secondo Duns Scoto, che su questo punto si stacca dalla tradizione aristotelica, la materia, infatti, non é pura passività, perchè altrimenti non si distinguerebbe dal nulla: quindi anche la materia é dotata di individualità propria. L'ente individuale deve contenere in sè qualcosa che non é contenuto nella nozione di natura comune e che dispone tale natura, la contrae in modo da essere una cosa determinata nella sua individualità (ad esse hanc rem). Nei Reportata parisiensia questa determinazione é detta haecceitas (da haec, che in latino significa "questa cosa singola"). Anche essa non ha esistenza numericamente distinta dalla cosa singola, ma non é neppure dotata di esistenza puramente mentale: essa appartiene a ciascun ente nella sua individualità. La causa dell'individualità é dunque sempre una differenza ultima, in base alla quale ciascuna cosa si distingue da ogni altra. In tal modo, Duns Scoto riconosce a pieno titolo l'originalità e irriducibilità di ogni ente individuale. La natura comune, che si individualizza nelle entità reali, si universalizza invece nell'intelletto. Ciò avviene mediante le specie intelligibili, che sono gli oggetti della conoscenza intellettuale. Mentre le immagini degli oggetti colti dai sensi presentano tali oggetti nella loro singolarità, le specie intelligibili li presentano sotto l'aspetto dell'universalità. La prima conoscenza distinta dell'intelletto é la specie più universale: essa, come si é visto, é la nozione di essere, nella quale sono incluse tutte le nozioni più ristrette. Duns Scoto distingue due forme di conoscenza: intuitiva e astrattiva. La conoscenza intuitiva coglie l'oggetto in quanto é presente nella sua esistenza attuale, é l'analogo della visione diretta di un oggetto: essa é propria non solo dei sensi, ma anche dell'intelletto; infatti anche la natura comune, non solo le cose individuali, é oggetto di conoscenza intuitiva. La conoscenza astrattiva, invece, prescinde dall'esistenza attuale degli oggetti conosciuti intuitivamente, poichè in questi la natura comune, anzichè individualizzarsi, si universalizza. Solo in questo modo si può costituire la scienza, che é appunto conoscenza dell'universale. La scienza può essere stabile e immutabile, soltanto se astrae dall'esistenza degli oggetti che essa considera; in caso contrario resterebbe coinvolta anche essa nel nascere e perire dei suoi oggetti. Prima della caduta nel peccato originale non era necessaria la conoscenza astrattiva, ma tutto era colto intuitivamente in una visione diretta, anche Dio stesso, e così sarà in futuro nella visione beatificata ultraterrena. Ma Duns Scoto ritiene che l'immortalità dell'anima non possa essere dimostrata e sia soltanto verità di fede. L'anima intellettiva é la forma sostanziale dell'uomo, in quanto il pensiero non dipende da organi corporei, ma il corpo é dotato di una forma della corporeità che predispone il corpo alla sua unione con l'anima: in tal modo, Duns Scoto fa propria la dottrina, tradizionalmente ammessa negli ambienti francescani, della pluralità delle forme. Ma l' uomo é anche dotato di volontà, la quale é superiore all'intelletto stesso: su questo punto Duns si contrappone nettamente al primato dell'intelletto e della vita teoretica, sostenuto da Tommaso e dalla tradizione aristotelica. L'intelletto, infatti, é determinato dai suoi oggetti, dipende da essi, mentre la volontà é libera, non ha altra causa che se stessa e si serve dell'intelletto come di uno strumento. L'assenso della volontà non é causato necessariamente dalla bontà dell'oggetto; essa infatti é libera di sceglierlo come di rifiutarlo. La volontà é buona quando vuole il bene, ma che cosa sia il bene dipende dall'onnipotenza divina. Dio non vuole il bene perchè é bene, come sosteneva Platone; bene é invece ciò che Dio vuole, in quanto lo vuole. La causa del bene é la volontà di Dio e pertanto il bene per l'uomo consisterà nel conformarsi alla volontà di Dio. Se volesse, Dio potrebbe stabilire per gli uomini una legge diversa da quella che ha stabilito; in tal caso sarebbe buona quest'ultima. L'unica eccezione all'arbitrarietà del comando divino é costituita dal fatto che in ogni caso l'uomo deve conformarsi a tale comando. Ciò darà luogo ad un agire veramente buono quando sarà accompagnato dall'amore di Dio , dal quale dipende l'amore per se stessi e per il prossimo: la virtù più alta é per Duns Scoto la carità. Ad essa Dio risponde con la grazia, ossia con il suo amore e con il premio della beatitudine, conferito liberamente per i meriti che gli sembrano degni di essere premiati.


INDIETRO