SESTO EMPIRICO

"Allo Scettico è accaduto ciò che si narra del pittore Apelle. Dicono che questi, dipingendo un cavallo, volesse ritrarne col pennello la schiuma. Non riuscendovi in alcun modo, vi rinunziò e scagliò contro il dipinto la spugna, nella quale astergeva il pennello intinto di diversi colori. La spugna, toccato il cavallo, vi lasciò un’impronta che pareva schiuma. Anche gli Scettici speravano di conseguire l’imperturbabilità dirimendo la disuguaglianza che c’è tra i dati del senso e quelli della ragione; ma, non potendo riuscirvi, sospesero il giudizio, e a questa sospensione, come per caso, tenne dietro l’imperturbabilità, quale l’ombra al corpo" (Schizzi pirroniani, I)


SESTO EMPIRICOLo scetticismo, fiorito in età ellenistica con Pirrone di Elide e con i suoi successori, non si presenta come "scuola", poiché la sua stessa essenza è quella di essere una ricerca (skeyiV) inesauribile, cosicché gli Scettici non hanno propriamente nulla da insegnare: ed è per questa ragione che essi non lasciano testi scritti (eccezion fatta per Timone di Fliunte, le cui satire non sono tuttavia a noi pervenute). Per avere finalmente testi scettici dobbiamo attendere fino alla fine del II secolo d.C., quando Sesto detto "Empirico" (così soprannominato perché appartenente alla scuola medica empirica, secondo cui è impossibile conoscere le cause reali di una malattia: ci si può soltanto attenere agli effetti osservabili, eventualmente benefici, dei farmaci somministrati) compose un cospicuo numero di opere in cui faceva professione di scetticismo, rifacendosi soprattutto alla leggendaria figura di Pirrone. Sembra che sia nato intorno al 180 d. C., ma ci è ignoto il suo paese d'origine. Soggiornò ad Alessandria, Atene e Roma. Le sue opere mediche (comprendenti anche le Memorie mediche, le Memorie empiriche) sono andate perdute, insieme a un trattato Sull'anima.L'opera scettica invece ci è stata conservata e comprende: le Ipotiposi (o Schizzi) pirroniane, in tre libri, una sorta di compendio della filosofia scettica; Contro i dogmatici, in cinque libri, e Contro i matematici, in sei libri (contro coloro che in generale detengono le diverse forme di sapere e pretendono di possedere dottrine definitive e certe, dal greco maqhma). Morì verso il 220 d. C. Accennavamo poc’anzi alle simpatie di Sesto per la filosofia di Pirrone: non a caso Sesto etichetta il proprio pensiero come "pirroniano" e valuta negativamente i contributi che allo scetticismo avevano dato gli Accademici Carneade e Arcesilao, in quanto essi finivano per negare l’assunto fondamentale della dottrina pirroniana: la sospensione del giudizio (epoch); Carneade la sostituiva con il criterio del "persuasivo" (piqanon) e Arcesilao con quello del "ragionevole" (eulogon). Ma per Sesto entrambe queste forme sostitutive tradiscono immancabilmente l’essenza dello scetticismo. Parlando di "inconoscibilità" delle cose, anche Arcesilao e Carneade sono per Sesto scivolati nell’aborrito dogmatismo. Nei primi sei libri della sua opera Contro i matematici (Adversus mathematicos), letteralmente "contro chi insegna discipline", Sesto Empirico demolisce le pretese di scientificità accampate da varie discipline, come la grammatica e la retorica, la geometria e l’aritmetica, l’astrologia e la musica. Nei restanti cinque libri dell’ Adversus mathematicos Sesto sottopone a serrata confutazione le filosofie dogmatiche, seguendo la tripartizione canonica di logica, fisica ed etica. Nella sua opera più famosa – intitolata Schizzi pirroniani e articolata in tre libri -, Sesto premette alla confutazione un sommario di filosofia scettica, insistendo sull’originalità della posizione scettica (da un lato, nessuna forma di filosofia può essere paragonata allo scetticismo, e dall’altro questo ha gli strumenti per confutare le altre filosofie). Già nel I secolo a.C. Enesidemo aveva fatto rivivere una forma di scetticismo che si richiamava all’antico ammaestramento di Pirrone, in un’opera dal titolo emblematico: Discorsi pirroniani. Enesidemo aveva sostenuto che è impossibile conoscere le cause delle cose e fare inferenze attraverso segni indicativi, ossia inferire da ciò che è evidente ciò che di per sé non è tale, per esempio dal sudore che affiora sulla pelle l’esistenza di pori non percepibili. Enesidemo aveva inoltre ravvisato dieci tropoi, ossia dieci modi di argomentazione che conducono a sospendere il giudizio sulla verità o falsità delle tesi avanzate dai dogmatici. Essi sottolineano, ad esempio, la diversa costituzione degli individui, la quale dà luogo a percezioni differenti degli stessi oggetti, così come le differenze di educazione o delle leggi danno luogo a diverse valutazioni di ciò che è buono o cattivo, giusto o ingiusto. Sulle orme di Enesidemo, Agrippa assunse altri cinque tropoi, i quali argomentano l’impossibilità di dimostrare qualcosa. Infatti ogni dimostrazione parte da premesse che, per essere dimostrate, richiedono altre premesse, le quali a loro volta rinviano ad altre premesse, e così via all’infinito; ma se è possibile regredire in questo modo all’infinito, allora non è possibile avere alcuna dimostrazione certa a partire da premesse certe. Se invece si raggiungono conclusioni a partire da premesse, le quali a loro volta sono dimostrate a partire da quelle stesse conclusioni, si cade nel diallele o circolo vizioso. Resta la possibilità di assumere come punti di partenza ipotesi che non richiedano di essere dimostrate, ma in tal caso – nota Agrippa – è possibile assumere come ipotesi di partenza anche il contrario di qualsiasi premessa, cosicché anche in questo modo non è possibile costruire dimostrazioni certe. Ne segue allora per Agrippa la necessità dell’epoch, della sospensione di giudizio a cui ricorreva già Pirrone. Sesto Empirico fa proprie queste riflessioni di Enesidemo e di Agrippa finalizzate a distruggere la totalità delle dottrine filosofiche e cerca di mostrare le divergenze insanabili o le contraddizioni logiche alle quali tali dottrine danno luogo, anche nei casi in cui esse convergano. Esse sono costruite su dogmata, ovvero su presupposti assunti dogmaticamente come certi ma che, appena analizzati dall’occhio demolitore dello scettico (che non fa riferimento ai dogmi), crollano miseramente: a Sesto Empirico l’intera storia della filosofia appare incapace di offrire un criterio di verità che consenta di scegliere una filosofia piuttosto che un’altra: si genera in tal maniera un labirinto di filosofie, a cui ciascuno dà il proprio assenso in modo dogmatico. La critica alle filosofie dogmatiche fa affiorare infatti l’isosqeneia (letteralmente: uguaglianza di forza), l’egual peso delle tesi contrapposte e l’impossibilità di privilegiarne una se non in maniera dogmatica. Solo l’epoch permette di uscire dal dedalo delle credenze filosofiche, ma per giungere ad essa occorre un esame delle alternative della tradizione filosofica: solamente da questa ricognizione può risultare l’impossibilità di scegliere una di esse. In questo senso, la filosofia scettica è necessariamente parassitaria rispetto alle altre filosofie, ne ha bisogno per raggiungere il suo scopo (cioè la sospensione del giudizio e l’ataraxia - assenza di turbamento - che ne deriva) ma, dopo averlo raggiunto, può distruggere gli stessi argomenti dei quali si è servita, come chi, dopo essere stato in alto con una scala, butta giù la scala (immagine che torna in Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus 6.53-7) o come un purgante che, espellendo gli umori, espelle insieme anche se stesso. Solo la sospensione dell’assenso può garantire quella libertà che tutte le filosofie dogmatiche – in primis quella stoica, costante bersaglio polemico degli Scettici – intendono ritrovare nel sapiente ma che puntualmente non trovano a causa del loro stesso dogmatismo soffocante. In una vita libera dalle opinioni (le quali generano solo turbamento) il criterio della condotta sarà allora da riporre nei fenomeni, ovvero nelle cose come appaiono, senza pronunciarsi sulla loro verità o falsità, nelle consuetudini, nelle leggi, negli insegnamenti delle tecniche. In tal maniera il filosofo scettico viene nettamente a distinguersi da tutte le altre figure di filosofo, che sempre – anche se secondo modalità diverse – legittimano la propria identità attraverso la presa di distanza rispetto alle regole e ai modi della vita ordinaria. Al contrario, il filosofo scettico si radica nella vita ordinaria, alla stregua degli altri uomini: a differenza delle dottrine filosofiche, essa non richiede giustificazioni. E in tal modo lo scettico può realmente addivenire all’assenza di turbamenti, che è l’obiettivo ultimo della filosofia stessa. Il filosofo dogmatico, dal canto suo, è sempre teso a sostenere o perseguire qualcosa, ma da ciò non può nascere che turbamento, mentre all’epoch segue sempre, "come ombra", l’ataraxia. Il filosofo scettico risulta allora il terapeuta non delle passioni che attanagliano i più, bensì della malattia del dogmatismo che affligge i filosofi.

BRANI ANTOLOGICI

a) Raffronto fra lo scetticismo e le altre filosofie (Schizzi pirroniani, I, 210; 213-214; 219; 220-232)

 

1 Che dalla filosofia eraclitea differisca l’indirizzo nostro è manifesto: e invero Eraclito di fronte a molte cose oscure si pronuncia dogmaticamente; noi invece no.

2 La filosofia democritea dicono che abbia una comunanza con lo scetticismo, poiché pare servirsi della nostra stessa materia. Che dal fatto che il miele ad alcuni appare dolce, ad altri amaro, dicono che Democrito conclude non esistere per sé stesso né il dolce né l’amaro e per questo pronuncia l’espressione "non piú", che è un’espressione scettica. Tuttavia è differente il senso con cui adoperano quest’espressione "non piú" gli scettici e i democritei; poiché questi mettono avanti quest’espressione nel senso che non esiste né l’una né l’altra cosa, noi invece nel senso che ignoriamo se l’una o l’altra, oppure se né l’una né l’altra cosa esiste di quelle che appaiono.

3 Nell’affermare che la materia è fluttuante e che in essa sono contenute le ragioni di tutti i fenomeni, Protagora dogmatizza, mentre si tratta di cose oscure e sulle quali noi sospendiamo il giudizio.

4 Taluni affermano che la filosofia accademica sia la stessa che lo scetticismo [...]. I seguaci dell’Accademia nuova, anche se dicono che tutte le cose sono incomprensibili, differiscono, forse, dagli scettici anche per ciò stesso, che dicono che tutte le cose sono incomprensibili (essi infatti affermano recisamente codesto punto, mentre lo scettico si aspetta, anche, che qualche cosa si possa comprendere). Differiscono poi manifestamente da noi nel giudizio dei beni e dei mali. E invero gli Accademici dicono che una cosa è bene e male, non al modo nostro, ma con la persuasione che quello che essi dicono essere bene, sia piú probabile del suo contrario. Altrettanto dicasi di quello che affermano essere male. Noi invece diciamo che una cosa è bene o male, senza credere che quello che noi diciamo sia probabile.

5 Poiché Carneade e Clitomaco parlano di un prestar fede e di un probabile accompagnato da una forte inclinazione, noi, invece, di un "credere", cosí, semplicemente, senza propensione, si differirebbe da essi anche in questo. Ma anche in ciò che riguarda il fine differiamo dalla nuova Accademia. E invero coloro che dicono di governarsi secondo quella setta, si servono del probabile per la vita. Invece noi, pur seguendo le leggi e i costumi e le affezioni fisiche, viviamo senza dogmi. Arcesilao invece, capo e iniziatore dell’Accademia di mezzo, pare a me che partecipi proprio dei ragionamenti pirroniani, tanto da essere unico l’indirizzo suo e il nostro. E invero né si trova che egli si pronunci intorno all’esistenza né intorno alla non esistenza delle cose, né giudica preferibile rispetto alla credibilità o non credibilità, una cosa o un’altra, ma in tutto sospende il suo giudizio.

 

b) Lo scettico e la possibilità di confutare il dogmatismo (Schizzi pirroniani, I, 2-4; 10)

 

Rispondiamo a coloro che sempre hanno in bocca che lo scettico non è affatto in grado né di investigare né di intendere le loro affermazioni dogmatiche. Dicono infatti: o lo scettico comprende quello che i dogmatici dicono, o non comprende. Se comprende, come potrebbe aver dubbi intorno a ciò che dice di aver compreso? Se non comprende, certo, intorno a quello che non ha compreso neppure sa parlare [...]. Coloro che cosí parlano, rispondano ora a noi in che senso essi intendono la parola "comprendere": se nel senso di avere semplicemente la nozione, senza affermare recisamente l’esistenza di ciò di cui ragioniamo, oppure nel senso di aver la nozione e di affermare contemporaneamente l’esistenza delle cose di cui discorriamo. Poiché se per "comprendere" intendono, nel loro discorso, l’assentire alla rappresentazione catalettica, in quanto la rappresentazione catalettica proviene dalla cosa esistente, con l’impronta e il sigillo conforme alla cosa esistente, quale non potrebbe derivare da una cosa non esistente, in tal caso nemmeno essi vorranno probabilmente non essere in grado di investigare intorno a ciò che non hanno compreso in sí fatta maniera [...]. Se invece diranno che non s’ha da intendere cosí la comprensione di ciò che forma l’oggetto della ricerca, ma come una nozione semplicemente, non è impossibile a coloro che sospendono il loro giudizio intorno all’esistenza delle cose oscure, il ricercare. Infatti lo scettico non è escluso, penso, dalla nozione che deriva e da ciò che impressiona i suoi sensi e dai ragionamenti che gli appaiono evidenti, quando essa nozione non induca in modo assoluto l’esistenza di ciò che forma oggetto della nozione.

LA LOGICA PROPOSIZIONALE DEGLI STOICI

Gli Stoici sognano un gran numero di ragionamenti indimostrati, ma ne espongono specialmente questi cinque, ai quali sembrano ridursi tutti i rimanenti: 1° quello che dalla connessione e dall'antecedente conclude il conseguente, come "Se è giorno, c'è luce. Ma è giorno. Dunque c'è luce. 2) Quello che dalla connessione e dal contrario del conseguente conclude il contrario dell'antecedente, come: "Se è giorno, c'è luce. Ma non c'è luce. Dunque non è giorno". 3) Quello che da un collegamento negativo e da una delle parti del collegamento conclude il contrario dell'altra parte, come "Non è giorno e notte. Ma è giorno. Dunque non è notte". 4)Quello che da un collegamento disgiuntivo e da una delle parti collegate conclude il contrario dell'altra, come "O è giorno o è notte. Ma è giorno. Dunque non è notte". 5)Quello che da un collegamento disgiuntivo e dal contrario di una delle parti collegate conclude l'altra, come: "O è giorno, o è notte, ma non è notte. Dunque è giorno". (Schizzi pirroniani, II, 109-117)

L’IMPLICAZIONE FILONIANA E DIODOREA

Si prenda ad esaminare tra queste, per il momento, la cosiddetta proposizione ipotetica. Questa risulta composta da una proposizione duplicata oppure da proposizioni fra loro differenti e collegate per mezzo della congiunzione ‘se’ o ‘se davvero’: così, ad esempio, da una proposizione duplicata e dal ‘se’ congiunzione viene a risultare la seguente ipotetica: ‘se è giorno, è giorno’; invece da proposizioni fra loro differenti e collegate mediante la congiunzione 'se davvero’ viene a risultare quella che suona così: ‘se davvero è giorno, c'è luce’.[...] Ragion per cui, se si rispetta questa promessa e se il conseguente tien dietro all'antecedente, anche l'ipotesi risulta vera; se, invece, questa promessa non viene mantenuta, l'ipotetica risulta falsa. Perciò, prendiamo subito le mosse da questo punto e mettiamoci a considerare se si possa trovare una qualsiasi proposizione ipotetica che sia vera e rispettosa delle premesse suddette. (Sesto Empirico: Contro i logici, II, 109-117)


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