PETER SLOTERDIJK

 

A cura di Roberta Musolesi



"Oggi il cinico appare come una figura di massa: un tipo sociale medio nel grado più alto di un'elevata sovrastruttura".


Sloterdijk

 

 

Peter Sloterdijk è considerato uno dei più importanti innovatori del pensiero filosofico contemporaneo e la sua fama nei circoli culturali e filosofici tedeschi è uguagliata attualmente solo da quella di  Gadamer, Habermas e Marquard. Si tratta tuttavia di una figura controversa e considerata, da parte di una ristretta cerchia di studiosi e pensatori, lontana dal rigore proprio della filosofia accademica, anche a causa della propensione per tematiche normalmente non affrontate in ambito universitario.

 

NOTE BIOGRAFICHE

 

 


LE OPERE

 

L’opera più conosciuta di Sloterdijk è la Critica della ragion cinica, pubblicata nel 1983 con enorme successo di pubblico e di critica. Le sue opere si caratterizzano per lo stile narrativo originale e per i contenuti innovativi, che hanno condotto molti critici a paragonarlo a pensatori come Schopenhauer e Oswald Spengler.

 

ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI

 

 

OPERE E ARTICOLI TRADOTTI IN ITALIANO

 

o       Critica della ragion cinica, trad.it. A.Ermanno, a cura di M.Perniola, Milano, Garzanti 1993

o        L'ultima sfera, Breve storia filosofica della globalizzazione, Carocci, Roma 2002

o        Regole per il parco umano, Una replica alla lettere di Heidegger sull'umanismo in aut aut, n° 301-302, 2001, p. 132.

 

 

IL PENSIERO

 

LA “CRITICA DELLA RAGION CINICA”: KINICISMO VS CINICISMO

Peter Sloterdijk prende radicalmente le distanze dalle questioni principali della metafisica, della logica e dell’epistemologia. Dal suo punto di vista, i grandi temi, come Dio, l’universo, la teoria, la prassi, il Soggetto, l’Oggetto, il corpo, lo spirito, ecc.., si sono rivelati essere storicamente “mezze verità” e semplici nomi pressochè vuoti di contenuto e l’obiettivo che la sua filosofia si pone è quello invece di occuparsi di tutti gli aspetti della vita apparentemente “bassi”, prosaici e privi di significato. Secondo Sloterdijk, il tempo e la storia hanno lasciato sull’umanità una traccia, quella del cinismo, la cui interpretazione e comprensione spetta ai filosofi. Nella prima parte della sua opera principale, la Critica della Ragion Cinica, l’autore mostra come la perdita di fiducia nei confronti dei valori assoluti, manifestatasi, ad esempio, storicamente con il nichilismo, abbia in effetti avuto origine con l’Illuminismo, accompagnato, a suo avviso, da un accentuato atteggiamento cinico. Nella seconda parte, molto più voluminosa della prima, vengono invece illustrati esempi di atteggiamento cinico evidenti nei processi culturali; questi esempi sono analizzati sulla base di quattro diversi criteri, fisionomia, fenomenologia, logica ed esempi storici, e ci forniscono un quadro completo delle varianti e della complessità del cinicismo. Importante è comunque l’analisi di due concetti che, pur condividendo tratti comuni, appaiono dal suo punto di vista contrapposti: il cinicismo, ritenuto dal Sloterdijk essere prevalente nella realtà contemporanea, e il kinicismo, che l’autore difende come valida alternativa al primo. Secondo Sloterdijk, l’Illuminismo avrebbe portato con sé, e per un periodo di tempo molto prolungato, la distruzione di ogni ideale, di ogni valore assoluto e di ogni verità. Più la mentalità illuministica si affermava nella cultura, più prendeva piede quel modo di pensare nihilistico che progressivamente ha determinato la messa in discussione di tutti gli ideali e i valori. L’Illuminismo appare tuttavia, agli occhi di Sloterijk, come una scienza malinconica, che, seppur non intenzionalmente, conduce l’umanità a una condizione di rilassatezza, debolezza e stagnazione. Egli, nella sua opera, nel tentativo di contribuire a risollevare le sorti dell’umanità e a farla risorgere dallo stato di debolezza in cui attualmente versa, propone una sorta di “gaia scienza”, in contrapposizione alla “scienza triste” dell’Illuminismo, triste in quanto responsabile della distruzione di tutto ciò in cui gli uomini credevano e sui quali costruivano e fondavano le loro esistenze. Nell’opera, l’autore procede pertanto a una critica serrata, precisa e dettagliata nei confronti delle religioni, delle illusioni metafisiche e delle sovrastrutture idealistiche. Relativamente, ad esempio, alla religione, egli afferma che tutte le religioni sono costruite sul terrore e sulla paura; tutti gli esseri umani si sentono impotenti di fronte alle forze della natura e, per questo, cercano rifugio in entità che ritengono essere più forti e più potenti. A un certo punto, però,   uomini ambiziosi, politici esperti e filosofi iniziano a trarre vantaggio dall’ingenuità delle persone e inventano, per questo motivo, divinità fantastiche e crudeli, che non hanno altra funzione se non quella di far conservare loro il controllo sugli esseri umani.
Rispetto invece alla
coscienza di sé e all’Io, egli afferma che non si tratta altro che di una  costruzione borghese. Infatti, nel momento in cui la borghesia ha detto “Io” è emerso chiaramente l’orgoglio del lavoro e della produttività, orgoglio fondato sulla consapevolezza tutta borghese di essere una classe sociale migliore della corrotta classe nobiliare e delle masse incolte. Sloterdijk vede emergere storicamente un nuovo Io politico anche in seno al movimento operaio, Io che ha assunto caratteristiche non molto diverse da quelle dell’Io borghese e che ha parlato per lungo tempo il medesimo linguaggio. Anche per la classe operaia,  questo Io è stato costruito sui grandi ideli della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà, ma anche l’Io della classe operaia possiede un’incontrastabile volontà di potere.
Il messaggio che Sloterdijk vuol far emergere è che ogni classe sociale sviluppa una morale perfettamente funzionale ai propri interessi, ma, nel momento in cui alcune individui iniziano a compiere scelte morali non tanto perché utili, quanto piuttosto perché più vicine al proprio modo di essere, essi cominciano a manifestare atteggiamenti cinici. Ma mentre il
cinismo antico si coniugava con la satira e la risata (pensiamo ai Cinici come Diogene di Sinope), ed era quindi un atteggiamento estremamente vivo e vitale, il cinismo attuale conduce invece alla tristezza, alla depressione e al pessimismo, in definitiva a quello che Sloterdijk definisce “cinismo” e che ora ha assunto una notevole rilevanza nella nostra società.
Che cos’è per Sloterdijk il cinismo? Con tale termine, bisogna intendere una
falsa coscienza illuminata, una coscienza cioè che ci conduce a mettere in discussione i principi assoluti in cui non crediamo più, ma che, nello stesso tempo, non ci consente di individuare solide basi per l’azione e per la conduzione della quotidianità e ci porta pertanto alla tristezza e alla depressione. Secondo Sloterdijk, il Cinicismo è ora un problema comune, universalmente diffuso nel mondo occidentale industrializzato, e l’origine del suo sviluppo deve essere ricercata nell’educazione che riceviamo a scuola e all’università, istituzioni responsabili, a suo avviso, di formare giovani intelligenti e preparati, ma completamente immotivati e senza prospettive. Nella nostra formazione, infatti, noi entriamo in contatto con un’enorme varietà di modelli di vita diversi, molti dei quali fondati su precisi valori metafisici o religiosi; l’educazione quindi ci pone in una situazione schizofrenica in quanto ci consente di provare differenti stili di vita, nessuno dei quali però appare chiaramente giustificato ed è per questo che ognuno di noi finisce per compiere scelte non sostenute da convinzioni profonde.  

Appare evidente che, secondo Sloterdijk, il Cinicismo si configura come un fenomeno di massa, diffuso in particolare all’interno delle classi sociali medie e medio-alte, e ciò perché esso, a suo avviso, può svilupparsi solo fra coloro che godono di una posizione di autorità, come religiosi, filosofi o scienziati, in definitiva tutti coloro che fanno riferimento ad un’ideologia astratta e ad un sistema assoluto.

Sloterdijk, accanto alla nozione di Cinicismo, introduce il concetto di kinicismo. Esso, nella sua accezione classica, era inteso fondamentalmente come impertinenza, come insolenza di fronte a ogni pretesa autorità. Il kinicismo infatti si è manifestato attraverso comportamenti che ora non potrebbero essere socialmente accettati, come mettersi le dita nel naso o emettere flatulenze. La figura di Diogene di Sinope, secondo Sloterdijk, ha dato inizio ad un processo di resistenza nei confronti dei discorsi manipolati ed artefatti delle filosofie “ufficiali” e nei confronti della “linguistificazione” dell’universalità cosmica che rappresentava, nei fatti, la principale occupazione dei filosofi. Diogene, in definitiva, comincia ad avere esperienza non solo della delusione nei confronti delle astrazioni idealistiche, ma anche dell’inconsistenza dell’atteggiamento mentale limitato alla satira e reagisce assumendo atteggiamenti apertamente maleducati, di quella maleducazione colorata che contraddistingue appunto il kinicismo. Diogene vive nella botte, si masturba in pubblica, rigetta la proprietà privata, risponde in maniera insolente ad Alessandro Magno.

Il Kinico, infatti, accomunato al cinico per ciò che concerne la consapevolezza della crisi dei valori, argomenta e dibatte con tutto il suo corpo, specialmente con le parti più infime e meno considerate.

Il kinicismo, in definitiva, secondo Sloterdijk, altro non è che una dura replica all’idealismo egemonico, replica che non si propone sotto forma di argomentazione “contro”, bensì come una forma di vita “contro”. Le dita nel naso e le flatulenze sono gesti che ciascuno di noi dovrebbe evitare di fare in pubblico e che sono consentiti unicamente in uno spazio privato; chi infrange queste convenzioni, è additato come un maleducato: e la maleducazione è oggi una connotazione fortemente negativa. La parola “impertinente” ha tuttavia acquisito un’accezione negativa solo in questi ultimi secoli; orginariamente, ad esempio nell’antica Germania, stava a indicare una forma attiva e produttiva di aggressività, rivolta nei confronti del nemico, e secondo Sloterdijk la perdita di vitalità della nostra cultura si riflette proprio nella storia di questa parola.

Vitalità, affermazione della vita, vivere pienamente sono quindi concetti collegati al kinicismo, come tipicamente riferibili a esso sono le riflessioni espresse unicamente attraverso il corpo e non verbalmente; la difficoltà a rispondere a questo genere di argomenti fece sì che né Platone né Socrate fossero in grado di relazionarsi con Diogene, ritenuto troppo diverso, e l’unica possibile reazione per Platone fu quella del disprezzo, che lo condusse a definire Diogene un “Socrate impazzito”, definizione che implica annientamento, ma che in effetti si traduce nel più alto riconoscimento.

In conclusione, per delineare in modo definitivo in che cosa consista il kinicismo per Sloterdijk, è possibile affermare che, analogamente al cinicismo, è una posizione realista e di rifiuto dell’idealismo, ma che, diversamente dal cinicismo che rende l’essere umano triste e depresso in quanto parte di un ordine precostituito in cui egli stesso non crede, rende l’uomo felice e allegro.

Si potrebbe essere tentati di replicare a Sloterdijk che tale difesa del kinicismo appare in effetti come una posizione non matura, che colloca l’uomo al di fuori delle responsabilità sociali, quindi irrealizzabile, né più né meno di un sogno. A tale replica, Sloterdijk risponde menzionando tre diverse situazioni in cui l’impertinenza propria del kinicismo può essere praticata e tollerata: le feste, l’università e gli ambienti bohemienne. Si tratta, a suo avviso, per la tolleranza che in tali ambienti vige, di tre importantissime valvole di sfogo per ogni essere umano. Le antiche feste, come il Carnevale, furono infatti, per i poveri, come una sorta di surrogato della rivoluzione: uno stravagante re veniva eletto per governare un regno dai valori completamente rovesciati, dove ricchi e poveri avevano la possibilità di far venire alla luce i loro sogni, dimenticandosi della verità, dell’educazione e delle regole. Le istituzioni sociali, secondo Sloterdijk, non sarebbero sopravvissute e non potrebbero sopravvivere a lungo senza questo genere di momenti, e ciò è ancora ampiamente dimostrato dal Carnevale brasiliano e dalle feste indiane.

Relativamente alle università, queste fino al Medioevo rappresentavano importanti centri in cui si formavano le più vivaci intelligenze, le menti più stravaganti e personalità sufficientemente furbe per comprendere che non era il caso di essere troppo riempite di nozioni.

Lo spirito bohemienne, infine, fenomeno relativamente recente, svolse un ruolo fondamentale nel regolare le tensioni fra arte e società borghese. Il bohemienismo fu lo spazio da cui fu possibile per molti testare la vita e allontanarsi dalle regole, usare la libertà al fine di elaborare il rifiuto della società borghese e individuare uno spazio sociale in cui vivere pienamente la propria vità.

Sloterdijk tuttavia ritiene che attualmente queste tre diverse dimensioni non siano più in grado di svolgere adeguatamente il loro ruolo; da molto tempo, infatti, le feste e lo stesso Carnevale non appaiono più come come viaggi in un “mondo invertito”, bensì come voli in mondi sicuri, come anestetici da usare nei confronti di un mondo costantemente invertito e colmo di ogni genere di assurdità. Anche lo spirito bohemienne è morto, relegato e nascosto ormai nei modi di vivere impertinenti delle sottoculture, e anche le università sono ormai spente.

Secondo Sloterdijk, la mutilazione degli impulsi impertinenti indica che la società è entrata in uno stadio di serietà organizzata, in cui i presupposti per una vita veramente consapevole sono completamente bloccati. Noi viviamo, a suo avviso, in un “realismo musone”, che non desidera e non vuole essere tenuto vivo e che gioca il ruolo della rispettabilità. La provocazione si è ormai esaurita e siamo entrati in uno stato di pubblico e rispettabile torpore.

Il criticismo di Sloterdijk consiste proprio nel sottolineare come le tradizionali istituzioni aperte al kinicismo non siano più in grado di assolvere al loro compito e tenta, nel contempo, di introdurre nuovamente l’impertinenza ed elementi dello stile di vita proprio del kinicismo nella nostra società, al fine di rendere le nostre vite allegre e vive. Non vuole certamente fare del kinicismo una nuova religione, ma mira esclusivamente ad accrescere la sua rilevanza, e così facendo va decisamente oltre lo spirito illuminista e la presunta modernità che animano la società e la cultura occidentali. Per queste ragioni, si può definire la posizione assunta da Sloterdijk nella sua Critica della Ragion Cinica come postmoderna.

 

 

“BREVE STORIA DELLA GLOBALIZZAZIONE”: IL MONDO E’ SEMPRE STATO “GLOBAL” Disclaimers

 

Secondo Sloterdijk, l’intera storia dell’Occidente può essere vista come una lunga sequenza di  ondate di globalizzazione: dal suo punto di vista, ciò che ora viene mitizzato dietro questo concetto e presentato come se fosse una novità, non è altro che una tardiva interpretazione di avvenimenti molto più ampi. Egli parla infatti non solo di “archeologia”, ma anche di “metafisica” della globalizzazione: già nel De monarchia di Dante, a suo avviso, si fa cenno a un’umanità globalizzata, a un genere umano agitato da tante sventure e tendente in opposte direzioni e Il giro del mondo in ottanta giorni di J. Verne poteva essere concepito solo in uno spazio e in un mondo visti come globalizzati. Secondo Sloterdijk, nel momento in cui la Terra ha svelato la sua sfericità, ha cessato di essere bella e perfetta, ma è sicuramente divenuta più interessante ed è per questo che nell’Età moderna non sono più i metafisici, bensì i geografi e i navigatori coloro cui spetta il compito di fornire una corretta immagine del mondo. Il mercato globale ha avuto origine proprio con le scoperte geografiche, momento in cui, secondo il nostro autore, il denaro inizia a girare intorno alla Terra e l’allargarsi degli orizzonti dell’uomo inizia a divenire ragione di profitto. In questo panorama, di spaesamento e di crescente sfruttamento, l’uomo non può far altro che sentirsi disorientato per la perdita di contatto con un mondo che gli appare completamente diverso da quello gli è stato tramandato e con la perdita del legame con la terra e con il mondo l’essere umano perde drammaticamente anche la sua consistenza. La contingenza e l’incertezza, dopo questa mutazione antropologica senza precedenti,  divengono quindi, per Sloterdijk, i tratti più evidenti della condizione umana.

 

 

LE “SPHÄREN”: LA FILOSOFIA DELLE “SFERE”

 

I due volumi di Sphären rappresentano per Sloterdijk un nuovo tentativo di elaborare una visione generale della storia umana e della condizione moderna. Le “sfere”, le “bolle”, i “globi”, sono i contenitori attraverso i quali l’uomo pensa se stesso nel mondo, alla ricerca di un “involucro” protettivo che lo “immunizzi” dai pericoli che vengono dall'esterno: dal ventre materno allo stato sociale, l’uomo è infatti sempre guidato dalla ricerca di sicurezza.

L’opera è stata concepita come una trilogia: il primo volume ha come sottotitolo Bolle e tratta della teoria dell’intimità, il secondo ha come sottotitolo Globi e affronta il tema della metafisica dal punto di vista della filosofia europea classica, il terzo volume, ancora da pubblicare, avrà come sottotitolo Schiuma e in esso verrà descritto un mondo in cui si sono esaurite le possibilità di interpretare il tutto a partire dall’intimità.

Dalla pubblicazione della Critica della Ragion Cinica, Sloterdijk opera una presa di distanza dalla filosofia della contestazione per ricercare ed elaborare una teoria di tipo storico e antropologico. In Sfere, in particolare, emerge il tentativo di procedere da una teoria dello spazio costruita  a partire da basi psicanalitiche, cioè da una teoria dello spazio interiore, per approdare ad una concezione generale del mondo e della storia umana. In quest’opera egli cerca di dimostrare che gli uomini, così come gli altri mammiferi, sono esseri che derivano “dall’interno”, nel senso che si costituiscono all’interno della madre, “approfittando” della protezione biologica che il corpo della madre offre. La struttura stessa della memoria umana mostra, secondo Sloterdijk, che noi rimaniamo profondamente legati a quest’idea di madre e pretendiamo che anche al di fuori di essa ci venga garantito lo stesso benessere provato nel ventre materno prima della nascita. Sfere è il tentativo di raccontare la storia umana a partire da questo concetto.

Secondo Sloterdijk, il mondo moderno è un mondo in cui l’assoluta esteriorità e l’estraneità  hanno preso il sopravvento sulla familiarità e la vicinanza; nell’era post-metafisica, gli uomini non possono più costruire nulla a partire dalla loro esigenza di intimità e debbono fare i conti col fatto che, ovunque siamo o ci troviamo, ci viene incontro l’estraneo. A differenza di quel che pensava Hegel, oggi, secondo Sloterdijk, non c’è alcuna strada sicura che ci riporti a casa da questa estraneità.

 


FABBRICARE L’UOMO?

 

Sloterdijk, suscitando scandalo in Germania, ha proposto alcune riflessioni sulla relazione uomo-animale, a partire da due eventi di cronaca: l’uccisione di milioni di capi di animali a causa del diffondersi in Europa della sindrome della “mucca pazza” e l’inizio delle manipolazioni genetiche che hanno portato alla clonazione della pecora Dolly.

Sloterdijk interpreta questi due eventi come tappe nella realizzazione di una nuova futura “antropotecnica” che porterà, a suo avviso, a pianificare l’evoluzione della specie umana. Tale affermazione, ovviamente molto forte, va  interpretata alla luce del suo particolare concetto di humanitas, secondo cui l’uomo, così come lo conosciamo, altro non sarebbe che il prodotto di tecniche di addomesticamento, addestramento ed educazione altamente selettive (si vedano, ad esempio, nell’ambito dell’addestramento scolare, il leggere, lo scrivere, il contare, lo stare seduti, ecc..). Oggi, momento in cui il potere “modellante” e “plasmante” delle teniche educative appare in declino, sembra emergere, a suo avviso, un nuovo progetto di allevamento-addomesticamento di tipo genetico ed è ipotizzabile, dal suo  punto di vista, che una nuova tecnologia possa arrivare a pianificare e a progettare le caratteristiche dell’umanità, fino a cancellare il fatalismo e la casualità e sostituirli con la nascita opzionale e la selezione prenatale.

Si tratta di una prospettiva inquietante, che tuttavia il pensiero critico deve, secondo Sloterdijk, analizzare senza illusioni, ma anche senza perdere contatto che quella prospettiva umanistica che poggiava (e poggia ancora) sull’idea della stabilità (la casa, la terra, gli animali domestici, ecc..) e sull’educazione attraverso la lettura e le lettere in generale. Storicamente, con la costruzione della casa, inizia il rapporto dell’uomo con gli animali e, in particolare, con gli animali domestici: questi non vengono solo addomesticati, ma anche addestrati ed allevati e l’animale domestico diviene lo specchio dell’addestramento/educazione dell’uomo.

L’addestramento altro non è che un’antropotecnica di carattere umanistico, cui potrebbe subentrare, secondo l’autore, un’antropotecnica di tipo genetico; in ogni caso comunque l’uomo si trova a fare i conti con l’animale, quello domestico in un caso, quello mostruoso della manipolazione genetica nell’altro.

Il problema che si pone ora è quello della valutazione delle antropotecniche: come fare a stabilire che quella umanistica tradizionale è preferibile rispetto a quella genetica? Non potrebbe essere quest’ultima la più adatta a produrre quei caratteri di umana tolleranza che si ritiene siano il miglior risultato dell’educazione? Per tali interrogativi, certamente destabilizzanti e provocatori, Peter Sloterdijk è diventato la personalità più controversa della scena culturale tedesca e Jürgen Habermas, indignato per la conferenza di Sloterdijk dal titolo “Il parco degli esseri umani - lettera di risposta sull’Umanesimo”, è stato il primo a dichiarargli guerra.



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