STORIE FIORENTINE

DAL 1378 AL 1509

Francesco Guicciardini

 

I

SOMMARIO DELLA STORIA FIORENTINA

DAL TUMULTO DEI CIOMPI

ALLA MORTE Dl COSIMO IL VECCHIO (ANNI 1378-1464).

Nel 1378 sendo gonfaloniere di giustizia Luigi di messer Piero Guicciardini successe la novità de' Ciompi, di che furno autori gli otto della guerra, e' quali per essere stati raffermati piú volte in magistrato, s'avevano recata adosso grande invidia e grande contradizione da' cittadini potenti, e per questo si erano rivolti a' favori della moltitudine; e però procurorono questo tumulto, non perché e' Ciompi avessino a essere signori della città ma acciò che col mezzo di quegli, sbattuti e' potenti ed inimici sua loro rimanessino padroni del governo. Il che fu per non riuscire perché e' Ciompi, preso lo stato e creato e' magistrati a loro modo e non a arbitrio degli otto, volevano potere tumultuare ogni dí la città, e non arebbono gli otto potuto ritenergli; se non che Michele di Lando' uno de' Ciompi ed allora gonfaloniere di giustizia, vedendo che questi modi partorivano una inevitabile ruina della città, accordatosi cogli otto e cogli aderenti loro, fu cagione di tôrre lo stato a' Ciompi; e cosí el bene e la salute della città nacque di luogo che nessuno l'arebbe mai stimato. Rimase el governo piú tosto in uomini plebei e nella moltitudine che in nobili, e fecionsene capi messer Giorgio Scali e messer Tommaso Strozzi e' quali con questo favore popolare governorono tre anni la città, e feciono in quel tempo molte cose brutte e massime quando senza alcuna colpa, ma solo per levarsi dinanzi gli avversari loro, tagliorono el capo a Piero di Filippo degli Albizzi che soleva essere el piú riputato cittadino di Firenze, a messer Donato Barbadori ed a molti altri innocenti; ed in ultimo, come è usanza, non potendo essere piú soportati, ed abandonati dal popolo, a messer Giorgio fu tagliato el capo; messer Tommaso campò la vita col fuggirsi ed ebbe bando in perpetuo lui e suoi discendenti e messer Benedetto degli Alberti, che era uno de' primi aderenti loro, fu confinato,

Ebbe la città in quegli tempi piú volte molti tumulti, e finalmente con uno parlamento si fermò lo stato nel 93, sendo gonfaloniere di giustizia messer Maso degli Albizzi, el quale in vendetta di Piero suo zio, cacciò di Firenze quasi tutti gli Alberti, e rimase el governo in mano di uomini da bene e savi, e con grandissima unione e sicurtà si continuò insino presso al 1420; e non fa maraviglia, perché gli uomini erano tanti stracchi delle turbulenzie passate, che abattendosi a uno vivere ordinato, tutti volentieri si riposorono. E veramente in quegli tempi si dimostrò quanta fussi la potenzia della città nostra quando era unita, perché soportorono dodici anni la guerra di Giovan Galeazzo con spesa infinita e di eserciti italiani ed esterni, che feciono passare in Italia in diverse volte uno duca di Baviera, uno conte di Ormignacca con quindicimila cavalli, uno imperadore Ruberto; ed a pena sendo usciti di questa guerra, credendosi che la città fussi esausta e per carestia di danari per riposarsi qualche tempo, feciono la impresa di Pisa, nella quale, e nella compera e nella espugnazione, spesono una somma infinita di danari. Ebbono di poi la guerra con Ladislao re di Napoli e difesonsi francamente anzi ne acquistorono Cortona, in ricompenso però di buona somma di danari; comperorono Castrocaro, e finalmente ebbono tanti successi, e nella città che si conservò libera, unita e governata da uomini da bene e buoni e valenti, e fuora, che si difesono da inimici potentissimi ed ampliorono assai lo imperio, che meritamente si dice che quello è stato el piú savio, el piú glorioso, el piú felice governo che mai per alcuno tempo abbi avuto la città nostra.

Dal 1420 poi al 1434 venne la guerra del duca Filippo, e la divisione della città in due parte, d'una di quale era a capo Niccolò da Uzzano, uomo riputato molto savio ed amatore della libertà, dell'altra Giovanni di Bicci de' Medici e di poi Cosimo suo figliuolo e finalmente doppo molte contese ed agitazione, partorirono nel 1433 che sendo gonfaloniere di giustizia, di settembre, Bernardo Guadagni, la parte di Niccolò da Uzzano, el quale era già morto, avendo una signoria a suo proposito, fece sostenere in palagio Cosimo de' Medici e di poi lo confinò insieme con Lorenzo suo fratello ed Averardo suo cugino, a Vinegia; ed in capo di pochi mesi eziandio fu preso messer Agnolo Acciaiuoli, ebbe della fune e fu confinato in Grecia.

Cacciato Cosimo, rimasono capi del governo messer Rinaldo degli Albizzi, Niccolò Barbadori, Peruzzi, Bischeri, Guadagni, Castellani, Strozzi ed altri simili, ma poco lo seppono tenere, perché el settembre seguente che fu in capo dello anno la signoria che ne fu gonfaloniere Niccolò Cocchi, non però sanza grande tumulto e pericolo rispetto a quella parte che prese le arme, fece parlamento e rimesse Cosimo e cacciò e' capi della parte avversa. E perché l'una e l'altra rivoluzione, cioè del 33 e del 34, fu fatta dalla signoria che entra di settembre e che si era tratta el dí di san Giovanni dicollato, però fu ordinato che per lo avenire la signoria non si traessi piú in tal dí, ma el dí dinanzi, e cosí si è sempre osservato, eccetto pochi anni a tempo di fra Girolamo. Furono potissima cagione di questa ritornata di Cosimo, Neri di Gino Capponi, Piero di messer Luigi Guicciardini, Luca di messer Maso degli Albizzi ed Alamanno di messer Iacopo Salviati, ma massime vi si operorono Neri e Piero.

Tornato Cosimo e fatto capo del governo e fatta fare una Balía di cittadini, per sicurtà dello stato cacciò di Firenze in grandissimo numero tutti gli avversari sua, che furono molte famiglie nobilissime e ricchissime, ed in luogo di quelle cominciò a tirare su di molti uomini bassi e di vile condizione, e dicesi che sendo Cosimo ammunito da qualcuno che e' non faceva bene a spegnere tanta nobiltà, e che mancando gli uomini da bene, Firenze rimaneva guasta, rispose che parecchi panni di San Martino riempierebbono Firenze di uomini da bene; volendo inferire che cogli onori e colle ricchezze gli uomini vili diventavano nobili.

Erano allora nella città molte casa nobile che si chiamavano di famiglia, le quali pe' tempi adrieto, sendo grande e soprafaccendo gli uomini di manco forze, erano state per opera di Giano della Bella private de' magistrati della città, massime del priorato e de' collegi, e fatto contra loro molti ordinamenti e legge forte che reprimevano la loro potenzia, e nondimeno era stato riservato loro alcuno uficio, ne' quali per legge avevono a avere una certa parte, ed oltra ciò nelle legazione e ne' dieci della Balía avevono buono corso. Con costoro non aveva Cosimo inimicizia particulare, perché loro sendo alienati dello stato, non l'avevono offeso nelle sue avversità, e nondimeno rispetto alla loro maggioranza e superbia non gli amava, né si sarebbe confidato di loro, e però per tôrre loro quella parte de' magistrati riservata loro dalla legge, e nondimeno in modo che vi avessino a concorrere, fece una provisione, e si disse con consiglio di Puccio Pucci, che quelle tali famiglie che vulgarmente si chiamavano de' grandi, fussino fatte di popolo; e cosí levò loro le legge che gli opprimevano ed abilitogli a tutti gli onori come gli altri cittadini. Di che nel principio acquistò con loro grado grande, e nondimeno lo effetto fu che non vincevano gli squittini e non erano eletti a' magistrati; in modo che non solo non acquistorono di quegli ufici a' quali prima erono inabili, ma vennono anche a perdere quegli che la legge dava loro di necessità.

Legò Cosimo lo stato col fare dare a un numero di cittadini balía per anni cinque, e fece squittini nuovi di tutti e' magistrati della città drento e di fuori; e nondimeno, per la autorità aveva la balía, e' signori quasi sempre a suo tempo non si trassono a sorte, ma si eleggevano dagli accopiatori a modo suo; e quando era a tempo de' cinque anni che durava la balía, faceva prorogare quelle autorità per altri cinque anni

Ebbe sopratutto cura che nessuno di quegli cittadini che erano stati sue fautori non si facessi sí grande che lui avessi da temerne, e per questo rispetto teneva sempre le mani in sulla signoria ed in sulle gravezze per potere esaltare e deprimere chi gli paressi; nelle altre cose e cittadini avevono piú autorità e disponevano piú a loro modo che non feciono poi a tempo di Lorenzo, e lui dava volentieri loro ogni larghezza pure che fussi bene sicuro dello stato. E parendogli che Neri di Gino avessi piú riputazione e forse piú cervello che alcuno altro cittadino di Firenze, dubitando non pigliassi tanto credito che avessi da temerne lo adoperava piú che alcuno altro in tutte le cose importanti della città drento e fuori, e nondimeno cominciò a dare credito a Luca Pitti, el quale non era valente uomo, ma vivo liberale animoso e piú servente e per gli amici che alcuno altro che fussi a Firenze, e cosí uomo da fargli fare ogni cosa sanza rispetto, e non di tal cervello che gli paressi avere da temerne. Cominciò costui molte volte nelle pratiche, massime quando le cose non erano di molta importanza, quando Neri aveva parlato, a dire tutto el contrario di quello che aveva consigliato Neri, e quivi per ordine di Cosimo erano molti che riprovavano el parere di Neri ed approvavano quello di Luca; di che accorgendosi Neri e vedendo lo stato di Cosimo in modo da non potere alterarlo e che volendo rompere con lui sarebbe come dare del capo nel muro, sendo savissimo, mostrava non vedere ed aveva pazienzia aspettando tempo ed occasione.

Era in quello tempo Baldaccio d'Anghiari capitano di fanterie, uomo di grande animo e valente nel mestiero suo e di grande credito apresso a' soldati e molto stretto ed intrinseco amico di Neri; di che temendo Cosimo, e volendo levare a Neri questo instrumento attissimo a fare novità aspettando che Neri fussi fuora di Firenze o imbasciadore o commessario, fece che messer Bartolomeo Orlandini gonfaloniere di giustizia mandò per lui in palagio, ed avutolo in camera lo fece subito da gente ordinate quivi per quello, gittare a terra dalle finestre.

Nel tempo che tornò Cosimo era la città collegata co' viniziani ed i n guerra contro al duca Filippo, la quale si continuò per dodici o quattordici anni, tirandosi eziandio adosso qualche volta la guerra con papa Eugenio e col re Alfonso, delle quali cose perché sono notissime non ne dirò altro; e cosí de' successi del conte Francesco, e come con favore della città acquistassi el ducato di Milano. Solo dirò questo, che quando e' viniziani presono la difesa dello stato di Milano contro al conte Francesco, venuto a Firenze in consulta quello si avessi a fare perché ed el conte ed e' viniziani erano stati amici e collegati della città, la piú parte si accordava che si dovessi conservare la amicizia de' viniziani e favorirgli contro al conte. A Cosimo parve altrimenti, e mostrò con ragione che era meglio favorire el conte: e cosí si segui. Di che lui ne acquistò Milano e nacquene la salute di Italia; perché se cosí non si faceva e' viniziani si facevano sanza dubio signori di quello stato e successivamente in breve di tutta Italia; sí che in questo caso la libertà di Firenze e di tutta Italia s'ha a ricognoscere da Cosimo de' Medici.

Sendo di poi el conte diventato duca di Milano e non avendo fatto pace co' viniziani, fu el disegno loro tenergli questo cocomero in corpo, giudicando che essendo entrato in uno stato nuovo e spogliato e sanza danari e bisognandogli stare armato, si consumerebbe da se medesimo; di che accorgendosi el duca si risolvé essergli necessario, poi che non poteva avere pace ragionevole da' viniziani, accozzare tante forze che potessi rompere loro guerra, e cosí per forza recuperare quello avevono occupato doppo la morte del duca Filippo, e ridurgli a' loro termini. Ed a questo effetto si trovava gente assai, ma gli mancava danari a poterle mettere in ordine, e vedendo non potere sperare nel re Alfonso che gli era inimico, né nel papa che voleva stare neutrale, cercava per fare questi effetti avere sussidio di danari da' fiorentini.

A Cosimo ed a' piú savi pareva da farlo, per ovviare a tanta grandezza de' viniziani, ma bisognando gran somma di danari e vedendo el popolo che si stava in pace e non gustava e' pericoli futuri, alieno in tutto dallo spendere, non si ardivano mettere innanzi questa pratica, e però scrivevano al duca che chi governava era bene disposto, ma che avessi pazienzia perché non era tempo a parlare di simile materia. E certo se e' viniziani si fussino portati prudentemente, ed atteso a tenere bene disposta con umanità e buone parole la città, né ricercala di alcuno aiuto, ma contentatisi si stessino a vedere, era facile cosa conducessino a fine e' loro disegni, dove pel contrario la loro arroganzia e durezza aperse la via a' favori del duca Francesco. Perché avendo fatta lega col re Alfonso, richiesono la città, a chi riservorono el luogo, ci volessi entrare drento, il che sendo loro negato, e risposto che la Italia era in pace e però non bisognava fare nuove leghe, insuperbiti grandemente cacciorono di tutto el loro dominio e' mercatanti fiorentini, fatte loro prima molte stranezze, ed operorono che el re Alfonso fece el medesimo. Il che inteso a Firenze deputorono messer Otto Niccolini imbasciadore a Vinegia; e chiedendo salvocondotto per lui, lo negorono, credendo con questi modi che la città o per paura o per voluntà di potere usare el dominio loro conscendessi a ogni cosa. Ma fu tutto el contrario: perché el popolo se ne sdegnò tanto che fu poca fatica a chi governava persuadere loro che fussi bene pensare a difendersi ed a offendere e' viniziani, e però mandorono al duca Dietisalvi di Nerone, e feciono con lui lega a difesa degli stati servendolo di gran quantità di danari, di che el duca roppe guerra a' viniziani ed el re Alfonso a noi, con quegli effetti che per essere celebrati in su tutte le istorie non si raccontono.

Questi modi de' vinizani non so se nacquono da loro, o pure se chi desiderava favorire el duca in Firenze persuase loro per qualche modo destro che la via d'avere aiuto dalla città era questa, per ridurre con tali inconvenienti el popolo a infiammarsi contra loro; e certo se el disegno fussi nato cosí, non potette uscire se non da uomo di gran prudenzia. Quel che si sia, tal cosa può dare esemplo che chi non può assolutamente comandare a' popoli e sforzargli, gli conduce a ciò che vuole piú tosto colle carezze e modi dolci che colle asprezze; benché altrimenti è in chi può comandare loro e domargli; e questa qualità se è in popolo nessuno, è nel nostro che, come si dimostra ogni dí per mille esempli, quando teme potere essere sforzato di presente si condurrebbe coll'aspro in ogni luogo, ma quando è fuora di questa paura, non si conduce col mostrargli timore minacci o sospetto, ma solo col dolce e colle speranze.

Fatta di poi la pace in Lodi fra 'l duca e fiorentini da una parte, ed e' viniziani dall'altra, e di poi a Napoli pace e lega universale di tutta Italia, eccetto e' genovesi e Sigismondo Malatesta signore di Rimino, la città stette molti anni sanza guerra, nondimeno con sospetti di fuora e con movimento drento; le quale cose secondo la mia notizia narrerò piú particularmente, perché da quello tempo in qua non ci è ancora chi abbi scritto istorie.

Doppo la pace fatta, e' viniziani dettono subito licenzia al conte Iacopo Piccinino loro soldato; e la cagione in verità fu, prima per levarsi da dosso la spesa della condotta sue che era ducati centomila secondo, perché avevano capitoli con Bartolomeo Coglione da Bergamo loro condottiere, che la condotta sua fussi ducati centomila mentre el conte Iacopo era a' soldi loro, e partito lui si riducessi a ducati sessantamila; terzo, per alleggerire e' sudditi loro che dove stanziavano le genti del conte Iacopo pativano disagi e danni innumerabili.

A Milano ed a Firenze dispiacque assai questa cosa, dubitando che el conte Iacopo, per essere soldato di riputazione ed a chi facilmente tutti e' cassi e sviati farebbono capo, non suscitassi qualche movimento in Italia, e forse per ordine occulto de' viniziani, e cosí si raccendessi la guerra passata, e massime che in quegli dí morí papa Niccola che era stato autore della quiete universale e fu in suo luogo creato Calisto. E però el duca e la città feciono grande instanzia per imbasciadori, che e' viniziani lo sopratenessino almeno tanto tempo che le cose di Italia fussino un poco piú assodate. Non vollono e' viniziani farne nulla; e però partitosi de' terreni loro, stando Italia sospesa di quello avessi a fare, roppe guerra a' sanesi sotto pretesto di conti vecchi avevano col padre Niccolò Piccinino; ma risentendosene e' signori della lega e massime el papa ed el duca Francesco che mandorono gran numero di gente in soccorso de' sanesi, fu tanto stretto che per non avere luogo dove ridursi era necessario si spacciassi; se non che el re Alfonso, mandatogli alcune galee, lo ridusse salvo con le sue gente nel reame, di che si vedde che quel che aveva fatto era stato di consentimento del re, el quale era inquietissimo e non poteva vivere in pace. Seguitò poi che el re roppe guerra a' genovesi e mandò, credo, el conte Iacopo in Romagna a' danni de' Malatesti che a sua contemplazione erano fuori della lega universale.

Ne' quali tempi trovandosi ancora e' sanesi in molta disunione e faccendosi ogni dí fuorusciti, la città stava in gran sospetto e paura del re, che ancora teneva le mani ne' casi di Piombino, dubitando che se acquistava la oportunità di alcuno di quegli luoghi, sendo naturalmente tanto ambizioso ed inquieto, questa vicinità non mettessi la città in qualche grave pericolo. Aggiugnevasi che nella città era disunione grande e molti malcontenti e cupidi di cose nuove; di che el governo presente non era gagliardo come soleva, anzi pareva indebolito, e però e' cittadini dello stato si risolvevano, per ovviare a' pericoli e sicurare lo stato, che come avessino uno gonfaloniere di giustizia a loro proposito, fussi da purgare la città di umori cattivi. A Cosimo non pareva, ed ancora Neri, che poco poi morí, era di medesima opinione, giudicando forse che rispetto agli andamenti del re ed e' sospetti di fuora, non fussi bene accrescere travagli alla città. E stando le cose in questi termini, nel 1457 el re, che era tutto vòlto alla espugnazione di Genova, si morí, lasciato el regno a don Ferrando suo unico figliuolo non legittimo, di che posati e' tumulti e pericoli di fuora, Cosimo si risentí e volse lo animo a assicurare lo stato; e però sendo nel 58 gonfaloniere di giustizia Luca Pitti, sonorono a parlamento, e ristretta la autorità ed el governo della città a loro proposito e riformato el reggimento, confinorono ed ammunirono un numero grande di cittadini, in modo che Cosimo e gli aderenti sua rimasono al tutto e sicuramente padroni del governo; e Luca Pitti, che fu poi fatto cavaliere dal popolo, ne acquistò tale riputazione e credito, che doppo Cosimo era assolutamente el primo cittadino di Firenze.

Morí nel medesimo anno 1458 papa Calisto, e fu eletto in suo luogo papa Pio, chiamato prima Enea de' Piccuolomini da Siena, el quale confermò nel regno di Napoli don Ferrando e fece parentado con lui, conciosiaché el re per ottenere le bolle del reame dette una sua figliuola non legittima per moglie a uno nipote del papa, e per dote el ducato di Malfi. Ma poco poi Giovanni d'Angiò chiamato duca di Calavria, e figliuolo del re Rinieri, pretendendo per le antiche differenzie fra gli angioini e ragonesi el reame spettare a lui, partitosi da Genova dove era a governo pel re di Francia, con una grossa armata venne nel reame, dove aveva intelligenzia col duca di Sessa cognato del re Ferrando, col principe di Taranto e con molti altri signori e baroni del regno, di che seguitò molte ribellioni contro al re, e poco di poi el conte Iacopo che era per lui in Romagna, avendo cattivi pagamenti, s'accordò co' franzesi con grandi partiti e vantaggi, e passò nel reame a' favori loro. Di che el re vedendosi oppresso, ricorse a dimandare aiuto a' potentati di Italia, pretendendo che per la lega fatta a Napoli e' fussino obligati; da altra parte e' franzesi facevono grande instanzia che el duca Giovanni fussi favorito; el papa ed el duca Francesco dettono aiuto al re Ferrando; e' viniziani stettono neutrali. Cosí parve a Cosimo ed a' piú savi che la città dovessi starsi a vedere, e tenere e' panni a chi voleva annegarsi, e non mettere pe' casi di altri lo stato suo a pericolo; e massime che per avere el re Alfonso dato nel 54 aiuto al conte Iacopo quando fece impresa contro a' sanesi, si poteva largamente dire avessi contrafatto alla lega, e cosí essere finiti li oblighi avevono gli altri per vigore della lega seco.

Lo effetto di questa guerra fu che avendo avuto el re Ferrando una gran rotta al Sarno colla morte di Simonetto suo primo condottiere, si fece giudicio avessi in brieve a perdere lo stato, e cosí era sanza riparo, se dalla parte del duca Giovanni si fussi con prestezza usata la vittoria. Ma e' principi del reame che erano seco o per fraude per mantenere piú la guerra, o per la buona sorte dei re don Ferrando, che non gli lasciò cognoscere le occasione, furono tanto lenti che ebbe tempo a ripigliare le forze e, sopravenendo aiuti da Roma e da Milano, farsi di nuovo forte alla campagna. E finalmente feciono una altra volta fatti d'arme, dove el duca di Calavria fu rotto, ed el re seguitò in modo la vittoria che fu constretto lasciare el reame ed e' principi amici suoi in preda, e' quali in breve tempo si accordorono col re el meglio potettono, ed el conte Iacopo si patteggiò uscire del reame per mezzo del duca di Milano, ed andonne a Milano a consumare el matrimonio con madonna Drusiana sua donna, che era figliuola bastarda del duca Francesco.

Morí circa a detto tempo, cioè nell'anno 146[4], Cosimo de' Medici, che era stato molti anni in casa amalato di gotte e nondimeno non aveva mai intermesso el governare la città. Lasciò alla morte non gli fussino fatte esequie suntuose, e cosí si seguí, ma furongli dati tutti quegli onori che può una città libera dare a uno suo cittadino, ed intra gli altri fu per publico decreto chiamato padre della patria. Fu tenuto uomo prudentissimo, fu ricchissimo piú che alcuno privato, di chi s'avessi notizia in quella età, fu liberalissimo, massime nello edificare non da cittadino, ma da re. Edificò la casa loro di Firenze, San Lorenzo, la Badia di Fiesole, el convento di San Marco, Careggio, fuori della patria sua in molti luoghi, eziandio in Ierusalem, ed erano gli edifici sua non solo ricchissimi e di grande spesa, ma fatti ancora con somma intelligenzia; e per lo stato grande, ché fu circa a trenta anni capo della città, per la prudenzia, per la ricchezza e per la magnificenzia ebbe tanta riputazione, che forse dalla declinazione di Roma insino a' tempi sua nessuno cittadino privato n'aveva avuta mai tanta. E in tutte queste cose viveva in casa come privato e civilmente, tenendo conto ancora delle possessione, che n'aveva infinite, e delle mercatantíe, nelle quali ebbe tanto successo, che non fu uomo che si impacciassi seco, o come compagno o come governatore, che non ne arricchissi.

 

II

GOVERNO DI PIERO DI COSIMO (1464-1469).

Morto Cosimo, rimase capo dello stato Piero' suo figliuolo, el quale non ebbe quella prudenzia e laudabili parte aveva avuto el padre; nondimeno fu di buona natura e clementissimo, ed ebbono apresso a lui buono essere e' cittadini dello stato, perché oltre alla buona natura, sendo lui molto impedito e quasi perduto di gotte, si lasciava quasi governare; di che alcuni usurporono tanta autorità, che furono per tòrgli lo stato, come di sotto si dirà.

Morí etiam in quel tempo, nel 1464, papa Pio, e fu eletto in luogo suo Pagolo, di nazione veneto, di casa Barbo, che si dimostrò nel principio molto favorevole ed affezionato alle cose della città. La quale buona disposizione fu per interrompersi, perché, sendo morto in levante contro a' turchi el cardinale camarlingo e patriarca di Aquileia, el quale era ricchissimo ed aveva in Firenze grandissima somma di gioie, danari ed altro mobile, ed avendo lasciato per testamento queste sua facultà a certi degli Scarampi, de' quali era uno genero di Luigi Pitti fratello di messer Luca, e volendo el papa questo tesoro come cosa ecclesiastica, la potenzia di messer Luca era tale che per beneficio di questo suo parente non lasciava farne quella risoluzione si conveniva; di che adirandosi el papa molto forte, pure finalmente si deliberò se gli dessino queste robe, e cosí si fece con sua grande satisfazione.

In questo tempo el conte Iacopo Piccinino per opera del duca Francesco suo suocero si riconciliò col re Ferrando e ricondussesi a' soldi sua, ed avendo da lui danari, deliberò da Milano, dove era transferirsi nel reame a visitare el re e fargli capace volere essere suo buono servidore, come e lui ed el padre erano stati di suo padre. Venne adunche a Napoli e fu ricevuto dal re con tanto onore e tanta dimostrazione di benivolenzia che non si sarebbe piú potuto esprimere, ed ogni dí stava seco qualche ora a segreto parlamento; nondimeno quando volle partire, avendo preso buona licenzia dal re, fu ritenuto ed incarcerato insieme con el conte Broccardo suo cancelliere, e pochi dí poi fu morto in prigione. Mostrò el duca Francesco tal cosa dispiacergli assai dolendosi che el conte fussi stato tradito quasi sotto la sua fede e sue braccia; ed essendo madonna Ipolita sua figliuola a Siena, che n'andava a Napoli a marito a Alfonso duca di Calavria primogenito del re, ed in sua compagnia don Federigo figliuolo del re, gli comandò si fermassi quivi insino a tanto avessi altra risoluzione da lui; ed in effetto fece cenni di avere voglia che el parentado non andassi innanzi. La qual cosa dispiacque assai alla città, perché desideravano si conservassi questa unione fra 'l re e duca per commune beneficio; e però s'affaticorono molto e publicamente ed in privato alcuni cittadini suoi familiari in persuadergli non volessi dividere tale amicizia, che portava tanta sicurtà ed a sé ed agli amici sua; e cosí si fece in effetto. Molti credono che el duca, parendogli che el conte Iacopo fussi di troppa riputazione nelle arme, ed inoltre, per la memoria di Niccolò Piccinino suo padre, molto amato dal popolo di Milano, acconsentissi farlo male capitare per le mani del re; nondimeno a me non è manifesta la verità, e chi fa questo giudicio, lo fa per conietture e non per certezza, perché se una tale cosa fu, è da credere si trattassi segretissimamente e nelle conietture è molto facile lo ingannarsi; e massime che chi io crede non si muove per altro, se non perché questa morte, per le cagione sopradette, fu riputata utile al duca; pure può essere stato vero, ed io per me non ne fo giudicio in parte alcuna.

Cominciorono in questi tempi medesimi a scoprirsi nuove divisione nella città, che furono massime causate dalla ambizione di messer Dietisalvi di Nerone; el quale, sendo uomo astutissimo ricchissimo e di grande credito, non contento allo stato e riputazione grande aveva, si congiunse con messer Agnolo Acciaiuoli, uomo anche egli di grande autorità, disegnando volere tôrre lo stato a Piero di Cosimo. E parendo loro che messer Luca Pitti, pel seguito aveva, fussi buono instrumento, entratigli sotto, gli persuasono farlo capo della città, disposti però fra loro, secondo si dice, sbattuto che avessino Piero, tôrre anche lo stato a messer Luca; il che giudicavano facile per non essere lui uomo che valessi. E per dare principio a questi disegni, messono innanzi che le borse si serrassino, cioè che la signoria ed e' magistrati si traessino a sorte e non per elezione, il che fu consentito da Piero, perché la cosa piaceva tanto al popolo, che come era proposta, chi non l'avessi consentita s'arebbe tirato addosso troppo carico. Sendo di poi tratto gonfaloniere di giustizia Niccolò Soderini che era de' loro seguaci, tentorono levare via el consiglio del Cento, che disponeva di tutte le cose importante della città. A che Piero e gli amici sua che ne erano massime capi messer Tommaso Soderini, messer Luigi ed Iacopo Guicciardini messer Antonio Ridolfi messer Otto Niccolini ed altri simili, si opposono alla scoperta e finalmente la impedirono. Tentoronsi ancora per questo gonfaloniere molte altre cose contro allo stato di Piero, e stette la città, mentre che durò quello magistrato, molto alterata, ma sendo uscito, parve le cose quietassino un poco.

Successe a fine di detto anno 1465 la morte del duca Francesco, e successe nello stato Galeazzo suo primogenito, el quale, sendo in Francia a' favori del re Luigi che guerreggiava co' baroni, udita la morte del padre, ne venne scognosciuto in poste. Questo caso dispiacque assai alla città per la amicizia tenuta seco, e perché dubitava che, sendo gli Sforzeschi nuovi in quello stato, non si facessi qualche alterazione, ed inoltre che e' viniziani, che sempre avevano temuta la virtú e riputazione di quello duca morto ora lui, non rompessino guerra a' figliuoli. E si consultò fussi bene fare ogni cosa per conservare quello stato, donde molti anni si era tratta la sicurtà della città; e però subito furno mandati imbasciadori a Milano messer Bernardo Giugni e messer Luigi Guicciardini che, oltre al condolersi e le cerimonie offerissino tutte le forze della città a' bisogni loro, vegghiassino tutti e' casi occorrenti e dessino aviso acciò che si potessi provedere. Giunti a Milano, trovorono e' sudditi avere tutti data la ubidienzia, ma lo stato in gran disordine di danari, e qualche sospetto di guerra da' viniziani; e però furono richiesti scrivessino a Firenze, pregando fussino serviti in prestanza di qualche somma di danari, pigliandone assegnamento in sulle piú vive entrate avessino.

A Firenze si messe in pratica questa dimanda e si concluse si servissino; e cosí si rispose agli imbasciadori offerissino ducati quarantamila, e che subito si provederebbe a fargli. E di poi trattandosi de' modi messer Luca, messer Agnolo e messer Dietisalvi, parendo loro modo da fare perdere la riputazione grande aveva Piero con lo stato di Milano, la cominciorono a impedire, in modo che non si potette mai fare conclusione di pagargli, con grandissimo carico e vituperio della città. Di qui sendo gli animi ogni dí piú gonfiati, e bisognando che questa quistione si terminassi con vittoria delle parte, con tutto fussino ite atorno molte pratiche e simulazione di concordia e giuramenti e obligazione di cittadini, sendo ito Piero a Careggi, disegnorono gli avversari sue nel tornare di amazzarlo, e messono gente armata in Santo Antonio del Vescovo, donde Piero soleva tornare; del quale luogo loro si valevano per essere arcivescovo di Firenze uno fratello di messer Dietisalvi. Volle la buona fortune di Piero e di quella casa che nel tornare non fece la via soleva, ma prese altra via; in modo si condusse salvo a Firenze. Dove, crescendo ogni dí queste divisione e sendo la città tutto di piena di gente armate, ed apparati grandi per l'una parte e l'altra di soccorsi esterni, finalmente, sendo tratto gonfaloniere di giustizia Ruberto Lioni partigiano di Piero ed una signoria a suo proposito, sendo impauriti gli avversari, messer Luca, persuaso cosí astutamente, si riconciliò con Piero; in modo che si fece parlamento e furono confinati di Firenze messer Agnolo Acciaiuoli ed e' figliuoli, messer Dietisalvi co' figliuoli e fratelli, e Niccolò Soderini; e rassettossi in tutto lo stato a modo di Piero, el quale, non seguitando lo stile di Cosimo suo padre, fu clementissimo in questo movimento, né patí si punissino altro che quegli e' quali sanza pericolo grande non potevano rimanere impuniti. Messer Luca rimase in Firenze, ma spennecchiato e senza stato e credito, e cosí patí pena conveniente della stultizia sua, ché, avendo piú bello stato assai che non meritava, per cercare farne un piú bello capitò male.

La mutazione dello stato di Firenze partorí gran novità per Italia, perché fece speranza a' viniziani che sendo la città alterata, non s'avessi opporre alle imprese loro, sendo massime persuasi e sollecitati dagli usciti nostri, messer Dietisalvi e Niccolò Soderini, e' quali transferitisi a Vinegia dimostravano quanto fussi facile voltare lo stato di Firenze e rimettergli in casa, e che sendo poi questa città a' loro propositi, nessuna impresa era difficile. Di che nacque una pratica fra 'l papa, e' viniziani e Borso duca di Ferrara che era amico degli usciti, che Bartolomeo Coglione capitano de' viniziani, finita la condotta sua che durava pochi mesi, come capitano di venture si volgessi a' danni o del duca Galeazzo o nostri. Il che presentendosi a Firenze, furno mandati imbasciadori a Vinegia messer Tommaso Soderini ed Iacopo Guicciardini, per ritrarre, se era possibile, la mente loro circa alla quiete universale, e di poi andarne a Milano a conferire con quello signore e pensare, se accadeva, a rimedi oportuni per la salute commune. Vennono a Vinegia, e ricevuti molto onorevolmente, e cosí per tutto el loro dominio, ritrassono parole ottime in generali, ma in particulare non potettono avere cosa alcuna per la quale si potessino assicurare della mente loro; andoronne a Milano, e quivi consultato quello fussi da fare, in capo di pochi giorni se ne vennono a Firenze E perché questi pericoli si disegnavano communi cosí al re Ferrando come al duca e noi, si contrasse una lega particulare fra queste tre potenzie a difesa degli stati, e si disegnorono gli apparati che s'avevano a fare per la salute di tutti. Ma riscaldandosi ogni dí piú questa mossa di Bartolomeo da Bergamo, parendo alla città che e' signori collegati procedessino a' provvedimenti molto lentamente, fu mandato messer Antonio Ridolfi a Napoli e messer Luigi Guicciardini a Milano a sollecitare si dessi colore a' disegni fatti, e si fece capitano di questa lega Federigo duca di Urbino, che subito colle gente nostre, di che era capitano el signore Ruberto da Sanseverino, si ridusse in Romagna. Dove fra pochi dí el signore Astore di Faenza soldato dalle lega, détte la volta ed accordossi co' viniziani; Bologna ed Imola erano per la lega, Pesero pe' viniziani, Rimino piú tosto neutrale che in altro modo

Partí Bartolomeo de' terreni de' viniziani circa allo aprile e prese la volta di Romagna per passare di quivi in Toscana e fare pruova voltare lo stato di Firenze; ed in sua compagnia era messer Agnolo Acciaiuoli, messer Dietisalvi e Niccolò Soderini. E come fu inteso l'avviarsi delle sue gente, el duca Galeazzo prese anche egli con buone gente la volta di Romagna per congiugnersi col duca di Urbino; fra' quali era duemila cavalli a' soldi nostri, perché di principio abondando al duca gente, ma mancandogli danari da metterle tutte in ordine, e la città non avendo gente abastanza si soldò duemila cavalli di quegli di Milano e cosí si sopplí a' bisogni l'uno dell'altro. Venne ancora in Romagna don Alfonso di Davoles condottiere del re, e si congiunse col duca di Urbino, in modo che el campo nostro stava in campagna a petto di Bartolomeo Coglione; e finalmente, sendo venuto el duca Galeazzo in Firenze, ed alloggiato in casa Piero di Cosimo, si fece un bello fatto di arme alla Mulinella, e benché non vi fussi vittoria notabile, pure el vantaggio fu della lega. E pochi dí poi, ingrossando el campo nostro per gente sopravenute del reame, era la vittoria nelle mani; se non che el duca Galeazzo fanciullescamente, credo per non avere danari da Firenze a suo modo, si partí di campo con buona parte delle sue gente ed andossene a Milano. Di che sendo la cosa pareggiata, ognuno si voltò a' pensieri della quiete, e fatta tregua a disdetta, pochi dí poi si fermò questo tumulto; e Bartolomeo se ne tornò in quello de' viniziani, con effetto della impresa non conveniente alla sua riputazione ed espettazione e' ebbe nel principio di lui.

Tornato Bartolomeo in Lombardia, la città si posò circa uno anno; di poi nel 1469 pretendendo papa Paulo che Rimino, che era nelle mani di Ruberto Malatesta figliuolo bastardo del signore Gismondo, fussi devoluto alla sedia apostolica ed infestando Ruberto con editti e censure e preparandosi alle arme, la lega, dubitando che lui disperato non si gittassi nelle mani de' viniziani, co' quali era in pratica, lo tolse a soldo e preselo in protezione contro a qualunque lo volessi offendere. Di che el papa forte sdegnato, ed avendo da' viniziani promesse di favore, ed anche credendo che la lega non avessi a essere unite alla difesa, mandò el campo a Rimino. Fecesi gran consulta fra' signori collegati circa al modo della difesa; e finalmente, non sendo in molta unione, conchiusono per allora mandare aiuti a Ruberto di qualità che non lasciassino gli inimici espugnare la città, e mandare imbasciadori a Roma a giustificarsi col papa di avere preso Rimino in protezione, non per fare contro alla Chiesa, ma perché non venissi in mano de' viniziani, usati a occupare le cose ecclesiastiche; avere fatta la lega e presa la protezione per conservare la pace di Italia, ed a questo effetto pregarlo fussi contento levare el campo da Arimino, promettendogli si troverrebbe modo a comporre poi queste differenzie e che Ruberto non mancherebbe delle debite reverenzie verso quella sedia, e quando non volessi farlo, protestargli che per conservare la pace di Italia e la fede data a Ruberto, lo difenderebbono in tutti quegli modi fusse possibile, offendendo etiam in qualunque luogo chi offendeva lui. Mandò la città a questo effetto, insieme cogli oratori ducali, a Roma messer Otto Niccolini ed Iacopo Guicciardini, ed in questo mezzo strignendosi lo assedio, el re fece passare el Tronto al duca di Calavria. acciò che don Alonso suo condottiere si potessi sicuramente congiugnere col conte di Urbino, a chi questo soccorso era molto a cuore perché temeva la potenzia della Chiesa, e cosí vi si spinse per la città el signore Ruberto e qualche gente pel duca, ma poche, ché andava freddo a questa impresa, ed accostandosi l'uno esercito all'altro, si fece finalmente fatto di arme, dove el conte di Urbino roppe el campo della chiesa.

Mostrò el papa in pricipio buono animo, di poi mancandogli sotto le promesse e favori de' viniziani, cominciò pure a volgersi alla pace; e perché nella lega non era unione per convenirsi in quello s'aveva a fare, si fece una dieta a Firenze, dove furono imbasciadori pel re e pel duca, e finalmente, non si faccendo alcuna buona conclusione e sendo disparere fra el duca e re, si ridusse la pratica della pace a Napoli dove per la città andò messer Otto Niccolini. Furonvi e' trattati vari, e fu opinione che el re s'avessi a collegare co' viniziani; ma finalmente doppo molte pratiche l'anno 1470 si rinnovò la lega fra re, duca e noi, con certi capitoli risguardanti alla pace e lega generale di tutta Italia, come di sotto si dirà.

Innanzi si conchiudessi la pace e nell'anno 1469 di dicembre, morí in Firenze Piero di Cosimo de' Medici; la morte del quale dolse assai alla città rispetto alla sua facile e clemente natura e tutta volta al bene, come massime mostrò la novità del 66, nella quale non puní piú oltre che si patissi la necessità e piú ancora che non era la voluntà sua, costretto da molti cittadini dello stato. Lasciò due figliuoli, Lorenzo e Giuliano, de' quali Lorenzo, che era el maggiore, era di età di anni venti o ventuno, e benché molti stimassino cosí nella città come fuora, che la sua morte avessi a partorire rivoluzione, nondimeno la sera morí, o vero la sera seguente, si ristrinsono in Santo Antonio piú di seicento cittadini, el fiore della città, e feciono conclusione di mantenere e la unione e lo stato presente e conservare grandi e' figliuoli di Piero; e cosí concorse tutta la città, affaticandosene massime messer Tommaso Soderini che aveva allora piú riputazione che altro cittadino e forse era el piú savio. El quale però si persuase che per essere Lorenzo giovane ed avere quasi a ricognoscere in tutto da lui, l'avessi a governare; il che di poi non gli riuscí. E per dare riputazione allo stato e mostrare la unione della città, richiedendolo anche e' tempi che correvano rispetto al non essere conclusa la pace, si ordinò e vinse prestamente in tutti e' consigli una provisione di trecentomila ducati. e cosí in effetto si continuò lo stato per successione in Lorenzo de' Medici, el quale lo governò insino alla morte sua con quelle virtú e successi che di sotto si diranno.

 

III

PRIMI ANNI DEL GOVERNO Dl LORENZO DE' MEDICI

(1474-1476).

Conclusesi, come di sopra, nel 1470, la lega fra 'l re, duca e fiorentini con uno capitolo che ciascuna di queste tre potenzie avessi insieme a mandare imbasciadori al sommo pontefice a supplicarlo la benedissi e vi entrassi drento, e cosí facessi una lega generale di tutta Italia, con quelle condizioni si era fatta a tempo di papa Niccola nel 55; riservando però la lega particulare contratta a Napoli, alla quale per questa generale non s'avessi a pregiudicare in alcuno modo.

La cagione di questo capitolo fu, perché avendo el Gran turco tolto Negroponte e molti altri luoghi a' viniziani e continuando tuttavia con loro la guerra, pareva al re Ferrando che lo stato suo fussi in gravissimo pericolo per avere molti luoghi e marine, ne' quali el turco poteva facilmente fargli danno, e per questo rispetto desiderava assai congiugnersi e collegarsi co' viniziani, acciò che insieme potessino pensare e provedere a' pericoli communi; ed arebbelo fatto da se medesimo, ma gli pareva che non concorrendo el duca e' fiorentini in questa coniunzione, né e' viniziani né lui rimanessino in modo sicuri delle cose d'ltalia, che potessino attendere espeditamente alle cose del turco. Inoltre pensò che ristringendosi col duca e' fiorentini e poi faccendo lega generale co' viniziani, non solo trarrebbe de' viniziani quello frutto disegnava, ma eziandio sarebbe facile cosa in tanto suo pericolo trarre qualche sussidio da tutta Italia contro al turco, e però saviamente condusse questa lega particulare, inserendovi nondimeno el predetto capitulo della generale. E per dargli esecuzione mandorono communemente imbasciadori a Roma per praticare questa materia, dove per la città fu deputato messer Otto Niccolini e Pierfrancesco de' Medici, ma pochi dí poi, morendo messer Otto, vi fu mandato in suo luogo Iacopo Guicciardini.

La conclusione di questa pratica ebbe in sé molte difficultà, e passò con piú lunghezza di tempo non si stimava, perché la lega voleva a ogni modo si riservassi la sua particulare ed el papa non lo negava, ma diceva volere si facessi in modo vi fussi drento la conservazione dello onore suo, ed in ogni modo gli era proposto, faceva difficultà; ed era la cagione vera che questa conclusione non gli piaceva, perché gli pareva sendo quietata Italia essere necessitato fare impresa contro al turco, il che faceva male volentieri per non spendere; dove non si conchiudendo questa lega, gli pareva avere scusa con dire fussi di bisogno prima pacificare Italia.

Dalla parte della lega era ancora difficultà nel duca di Milano, che male volentieri ci si conduceva; pure finalmente fu tanta la volontà del re che si facessi questa conclusione, e cosí de' viniziani, che el duca, per non rompere col re, ed el papa per non rimanere solo in Italia, vi condescesono. E cosí si concluse una lega generale di tutta Italia, con riservazione della lega particulare del re Ferrando, duca Galeazzo e fiorentini; e cominciossi a praticare di uno sussidio universale contra el turco, faccendone massime grandissima instanzia el re Ferrando, alla quale pratica, per essere Pierfrancesco tornato a Firenze, rimase solo Iacopo Guicciardini.

Ma come avviene che quelle cose che si fanno a male in corpo per ogni piccola difficultà si impediscono, cosí intervenne che, nata differenzia nel distendere le scritture per certe parole che volevono si aggiugnessino gli oratori ducali, non però di molta importanza, ed el papa non le consentiva, lo effetto fu che el duca non ratificò a questa lega; e benché la ratificazione de' fiorentini fussi venuta, pure lo oratore loro non soscrisse le scritture e cosí el cancelliere suo che ne era rogato; perché cosí fu la intenzione di chi governava a Firenze, per non si spiccare dal duca, non però con determinazione publica, per non dare tanto carico a chi aveva lo stato; e cosí in effetto le cose rimasono pendente.

In questo tempo ed anno 1470, Lorenzo de' Medici cominciò in Firenze a pigliare piede perché faccendosi gli accopiatori, che avevano a creare la signoria, pel consiglio del Cento, lo stato usava fare qualche intelligenzia particulare in compagnie di notte, e qui disegnare chi avessi a essere fatto, e di poi con questo ordine, in questo e negli altri magistrati, andare nel consiglio del Cento, el quale era solito a eseguire el disegno. Ma cominciando qualche volta nel Cento a variare le elezione de' disegni dati, Lorenzo e gli amici suoi cominciorono a dubitare che non variassi un tratto negli accopiatori, di che sarebbe facilmente seguita la alterazione dello stato. Di che fatto prima molti consigli in privato, si risolverono che si dessi autorità per cinque anni alla signoria che sedessi di luglio e agosto, che, insieme cogli accopiatori che sedevano, facessino gli accopiatori nuovi; e deliberato questo, subito la signoria, che ne era gonfaloniere messer Agnolo della Stufa, sonato a collegio e a Cento e ragunatogli, la mattina innanzi uscissino dette perfezione a questa provisione. Di che lo stato si assicurò, e Lorenzo ne acquistò grandissima riputazione e forze; in modo che cominciando a pigliare piè, dette principio a volere essere arbitro della città lui ed a non si lasciare governare da altri, ma piú tosto avere cura non si facessino troppo grandi messer Tommaso e gli altri che avevono riputazione e seguito di parentado. E benché non mancassi loro, e nelle legazione ed in tutti gli onori e primi magistrati della città, nondimeno gli riteneva indrieto, non gli lasciando qualche volta tirare le imprese facevano, e dando favore a quegli uomini de' quali non gli pareva potere temere, per essere spogliati di parenti e credito, come fu in quel tempo uno messer Bernardo Buongirolami, uno Antonio di Puccio, e di poi qualche anno uno messer Agnolo Niccolini, uno Bernardo del Nero, uno Pierfilippo Pandolfini e simili; usando etiam di dire che se suo padre avessi fatto cosí, e sforzati un poco messer Luca, messer Dietisalvi, messer Agnolo Acciaiuoli e simili, non sarebbe nel 66 ito a pericolo di perdere lo stato.

Sendosi le cose di Italia un poco quietate, seguitò la morte di papa Paolo, in luogo di chi fu eletto Francesco cardinale di San Pietro in Vincula di nazione saonese, e che era uno de' frati minori e di poi generale di quello ordine, e fu ordinato tosto, el quale sendo eletto di poco, nacque nova alterazione nel dominio nostro. E questo è che sendo in quello di Volterra le allumiere che erano del commune di Volterra, o desiderando Lorenzo di ottenerle per sé, e rinculando e' volterrani, Lorenzo, parendogli che se la impresa non riusciva, intaccare la sua riputazione, e però deliberato di averne onore, cominciò a strignergli in modo che, benché io non sappia bene a punto el particulare loro, si sdegnarono e nato ombra e sospetto, e loro non essendo ubbidienti in tutto alla signoria, finalmente lo effetto fu che nel 1472 e' volterrani, prese le arme e cominciato a non ubbidire a' rettori nostri, si ribellorono.

A Firenze fu dubio assai che o e' viniziani o el re Ferrando, all'uno e l'altro di chi ed etiam quasi a tutta Italia, eccetto che al duca Galeazzo, e' volterrani avevano mandati imbasciadori a darsi, non tenessino acceso questo fuoco; e fecesi risoluzione vedere di spegnerlo con ogni forza e prestezza. E però si dette intorno a questa guerra la balía a venti cittadini, e' primi della città; e' quali, sopravenendo poi massime avisi che non solo el duca, ma etiam el re ed el papa erano vòlti a dare ogni favore perché questo incendio si quietassi, mandorono per commessario generale Iacopo Guicciardini, che, unita la gente nostra, attendessi a recuperare el contado, tanto che ne venissi el duca di Urbino eletto capitano per questa impresa, per chi avevano mandato a Urbino messer Bongianni Gianfigliazzi.

Riebbesi el contado in uno subito e sanza colpo di spada, e poco di poi sopravenne el duca, ed a messer Bongianni fu comandato restassi in campo commessario insieme con Iacopo; e sanza dilazione di tempo si messe campo alla città, mettendo el duca di Urbino ogni industria e adoperando ogni virtú militare per espugnarla. Di che e' volterrani vedendosi stretti e sanza speranza di soccorso di fuora ed in effetto sanza alcuno rimedio, si arrenderono, salvo l'avere e le persone. Ma nello pigliare la possessione della terra nacque tanto tumulto per opera, come si crede, del duca di Urbino, che sanza riparo alcuno la città andò a sacco, benché e' commessari usassino ogni possibile diligenzia che questo non seguissi, e molto dispiacessi alla città nostra, la quale desiderava riavere quella terra intera e ricca come era innanzi alla ribellione. Fu bene opinione di molti e massime de' volterrani che questo fussi stato per ordine publico; nondimeno è falso e non potette la città perturbarsi piú di tale accidente.

Seguitò l'anno 1474 nel quale si fece nuove congiunzione e intelligenzie in Italia; perché essendo papa Sisto molto amico del re Ferrando, ed eziandio el conte di Urbino sendosi dato in anima e corpo al re, e lui con questi mezzi e favori volessi essere arbitro di Italia, sdegnandosene el duca di Milano e gli altri potentati, si contrasse una lega a difesa degli stati fra 'l duca viniziani e fiorentini; dove di poi entrò, non come aderente e nominato, ma come principale, Ercole duca di Ferrara. E cominciò el duca a ristrignersi ed intendersi molto con viniziani e fare segni grandissimi di amore e benivolenzia, faccendo onori supremi agli imbasciadori loro, cedendo loro la precedenzia, di che a Roma ed in tutti e' luoghi di Italia avevano gli oratori loro avuto infinite volte questione, dando loro sussidi nella guerra avevano contro al turco; e cosí ebbono dalla città l'anno 1475 ducati quindicimila in dono per armarne galee.

Al papa ed al re dispiacque assai questa lega; e però lui ed el duca di Urbino vennono personalmente a Roma, solo per pensare modi da interrompere questa unione; e feciono risoluzione che el vero modo fussi che el papa praticassi una lega generale di tutta Italia ne' modi si era fatto a tempo di Niccola e poi di Paolo, mostrando farlo per volere pensare alla difesa della religione contro al turco. E fu la opinione loro che e' viniziani l'avessino a accettare facilmente per trarre sussidi contro a' turchi, da' quali erano molto oppressati, e stando questo, se el duca ed e' fiorentini non ci volessino concorrere, sarebbe rotta la unione loro; concorrendoci col fare questa lega generale sarebbe dissolute la particulare.

Fu cognosciuta da' signori collegati questa arte; e però, mandando imbasciadori unitamente a Roma con ordine non si separassino mai l'uno dall'altro, ma che intervenissino a ogni pratica ed audienzia o col papa o alcuno cardinale, communemente si rispondessi essere contenti di fare la lega generale con riservo nondimeno della particulare. La quale risposta non piacendo al papa e re, si roppe questa pratica e pochi mesi poi si rappiccò, tendendo el papa e re pure al fine di rompere la particulare. El quale disegno diventava loro ogni dí piú facile, per avere e' viniziani uno ardentissimo desiderio che e' principi cristiani concorressino alla impresa contro al turco, e d'altra parte sendo el duca di Milano molto alieno, perché gli pareva, stando e' viniziani in guerra, avere da non temere di loro, dove, quando fussino in pace, non gli pareva essere cosí sicuro del suo stato. Di che fra e' viniziani ed el duca cominciò a nascere qualche ombra, in modo che el duca fu talvolta in disposizione, ed etiam ne tenne pratica, di riunirsi e collegarsi col re; la qual cosa non messe però a effetto, forse presentendo che la città non vi sarebbe concorsa, per dispiacergli volubilità e mutazione tanto spesse.

Seguitò di poi per principio di cose e movimenti grandissimi la morte del duca Galeazzo, el quale nel 1476 a dí 26 di dicembre, el dí di santo Stefano, fu morto in Milano da Giovanni Andrea da Lampognano; e perché era rimasto di lui uno piccolo figliuolo chiamato Giovan Galeazzo, si dubitò assai che e' popoli sudditi non facessino qualche movimento, il che sarebbe dispiaciuto assai alla città, rispetto alla amicizia e congiunzione tenuta tanto tempo con quella casa, e per la sicurtà e riputazione ne traeva lo stato nostro in ogni occorrenzia. Furono adunche subito deputati imbasciadori a Milano messer Tommaso Soderini e messer Luigi Guicciardini, e' quali, andati con somma prestezza, trovorono le cose in buona disposizione e si adoperorono assai a confermarle ed assicurarle per la via buona. E lo effetto fu che lo stato rimase a madonna Bona, state moglie del duca Galeazzo, che lo conservassi e guardassi pel figliuolo; e volsesi el governo di tutto alle mani di messer Cecco Simonetta, el quale sendo di Calavria, di vile condizione, era stato cancelliere e secretario del duca Francesco, in gran conto, e di poi in somma riputazione apresso el duca Galeazzo, ed ultimamente gli dette la fortune, sotto madonna Bona, libera ed assoluta potestà ed amministrazione di tutto quello dominio. Fecesi alcuno appuntamento tra madonna e monsignor Ascanio cardinale e Lodovico Sforza duca di Bari, fratelli del duca Galeazzo; ed assettate queste cose, parendo fussi superfluo tenervi due oratori, fu messer Lulgi rivocato a Firenze, e messer Tommaso rimase in quella legazione, onorevolissima per la coniunzione era tra l'uno e l'altro stato, e consequenter per la fede potenzia ed autorità vi aveva uno imbasciadore fiorentino, e massime qualificato come lui.

Seguitò poi tumulto in quello stato, perché el signor Lodovico e monsignore Ascanio cercavano cose nuove per applicarsi quello governo, e con loro si intendeva el signore Ruberto da Sanseverino; di che venuti in sospetto lo effetto fu che el signore Lodovico fu confinato a Pisa, Ascanio a Roma, ed el signore Ruberto cacciato dal territorio. Il che si fece con consenso e participazione della città e stato nostro che non cercava altro che la conservazione di quello dominio ne' figliuoli del duca Galeazzo e favoriva el governo in madonna Bona e l'autorità in messer Cecco. E se la città nostra si fussi mantenuta in pace e quiete, sanza dubio si conservava ma e' movimenti della città nostra de' quali ora si dirà, furono cagione di molte alterazioni, dissensioni e movimenti in tutta Italia.

In questo tempo essendo morto uno marchese Spinetta, signore di Fivizzano e di molte altre castella, sanza eredi, quegli uomini si dettono a' fiorentini, e vi furono mandati a pigliarne la possessione ed ordinare quello stato, che era di importanza perché assicurava le cose nostre da quella banda messer Antonio Ridolfi ed Iacopo Guicciardini.

 

 

IV

LA CONGIURA DEI PAZZI (1478).

La città di Firenze, come di sopra si è detto, era governata per le mani di Lorenzo de' Medici, e lui era capo dello stato; el quale, benché apresso di sé avessi un numero di cittadini nobili e prudenti ne' quali si distribuivano gli onori della città e si trattavano le cose di importanza, nondimeno in molte cose seguitava solo el suo consiglio e parere contro alla voluntà degli altri e teneva precipua cura che nella città non si facessi alcuno sí potente che lui avessi cagione da temerne.

Era allora in Firenze la famiglia de' Pazzi ricchissima piú che alcuna altra della città, ed aveva trafichi in molti luoghi del mondo e di qui era in grande riputazione in molte parte di Italia e fuori di Italia; era nobile nella città e con parentado grande ed uomini molto magnifichi e liberali, e nondimeno non avevano mai in alcuno tempo avuto molto stato, per essere tenuti troppo superbi ed altieri, la quale cosa gli uomini in una città libera non possono comportare; pure la nobilità, el parentado, le ricchezze ed el distribuirle largamente, faceva loro credito ed amici assai. Capo di questa casa era messer Iacopo uomo d'assai riputato e tutto da bene, se si gli fussi levato el vizio di giucare e bestemmiare; era sanza figliuoli, e per questo rispetto tanto piú tutta la casa concorreva a lui per valersene ed in vita e doppo la morte. Aveva molti nipoti, fra' quali uno, figliuolo di messer Piero suo fratello, si chiamava Renato, tenuto uomo savio e di piú cervello che alcuno che fussi in casa, e, fuora del solito della famiglia, benvoluto dal popolo. Un altro chiamato Guglielmo, figliuolo di Antonio, aveva per donna una figliuola di Piero di Cosimo, e cosí veniva a essere cognato di Lorenzo; un altro vi era, chiamato Francesco, pure figliuolo di Antonio, quale era sanza donna, uomo molto inquieto animoso ed ambizioso, stavasi a Roma el piú del tempo e teneva amicizia grandissima con quegli prelati e massime col conte Girolamo, nipote di papa Sisto ed a chi el papa aveva dato Imola e Furlí.

Pareva a Lorenzo de' Medici che questa casa fussi troppo grande e che, ogni favore che si gli dessi, crescerebbe tanto che sarebbe pericolosa allo stato suo; e però negli onori e magistrati della città gli teneva adrieto né dava loro quello grado si sarebbe convenuto. Cominciorono di qui a gonfiare gli animi, a scoprirsi gli odi e le emulazione, a crescere e' sospetti, e tanto piú quanto, sendo Lorenzo malvoluto da papa Sisto e dal conte Girolamo, gli vedeva essere favoriti dall'uno e l'altro. Il che era nato, perché quando Sisto fu fatto papa, avendosi a vendere Imola, Lorenzo, desideroso che la città comperassi Imola e considerando che per essere el papa nuovo nello stato, non aveva danari da comperarla se non ne fussi servito o da sé che era suo depositario, o da' Pazzi che erano sua tesorieri, gli pregò non lo servissino di danari, acciò che non la potendo comperare el papa, Imola venissi nelle mani nostre. Loro lo promessono, e poco di poi servirono el papa per questa compera di ducati trentamila e rivelorono a lui ed al conte Girolamo la richiesta fatta loro da Lorenzo; di che el papa sdegnato, gli tolse la depositeria che gli era di grande utilità, e Lorenzo si dolse assai de' Pazzi, e caricògli, avendo presa onesta, che per opera loro la città non avessi avuto Imola. Ed in effetto augmentandosi ogni di piú questo umore maligno, e Lorenzo pensando continuamente che non crescessi in loro ricchezza o grandezza, fece nel 76 fare una legge disponente delle eredità ab intestato, per vigore della quale e' furono privati di una eredità d'una donna de' Borromei che, secondo la interpretazione di una legge antiqua, aparteneva loro.

Concepéronne di questo e' Pazzi grandissimo sdegno; in modo che Francesco, quale per essere di statura piccola si chiamava volgarmente Franceschino, che quasi del continuo stava a Roma, cominciò a tenere pratica col conte Girolamo di tôrre lo stato a Lorenzo, persuadendo el conte che, sendo Lorenzo suo inimicissimo, come fussi morto papa Sisto, lo perseguiterebbe tanto gli tòrrebbe lo stato di Romagna. Aggiunsesi a questo trattato messer Francesco Salviati arcivescovo di Pisa, el quale, quando era in minoribus sendo vacato lo arcivescovado fiorentino l'arebbe ottenuto con favore del pontefice, se non che Lorenzo colla autorità publica si gli oppose e fu cagione fussi dato a messer Rinaldo Orsini cognato suo, e di poi vacando quello di Pisa ed avendolo impetrato dal papa, e dispiacendo a Lorenzo, penò tempo assai innanzi ne potessi conseguire la possessione, e per questa offesa era inimicissimo a Lorenzo.

Costoro praticando insieme e' modi a fare tale effetto, si risolverono che el muovere guerra alla città non fussi a proposito per essere cosa lunga pericolosa ed incerta, ed inoltre perché non mancherebbe alla città lo aiuto di qualche potentato di Italia; ma che era una via sola, di amazzare Lorenzo, il che pareva facile, perché lui andava solo disarmato e sanza sospetto alcuno di simile insulto; e massime sperando che, morto Lorenzo, non mancherebbe loro favori, perché oltre al parentado e potenzia loro, credevano che el popolo, pel desiderio e speranza della antica libertà, gli avessi a seguitare. Faceva in questa conclusione difficultà Giuliano fratello di Lorenzo perché a amazzarlo insieme con Lorenzo era tanto piú difficile, e rimanendo lui non era fatto nulla, perché gli era bene voluto dal popolo, ed inoltre perché avendo e' cittadini dello stato un capo a chi ricorrere, si pensava piglierebbono le arme e seguirebbenlo. Conchiusono adunche aspettare tanto che uno di loro fussi fuora della città, e tanto piú quanto credettono avessi a essere presto perché era voce che Giuliano toglieva per donna una figliuola del signore di Piombino, e pareva ragionevole che, togliendola, dovessi andare a Piombino a vederla. Di poi, non succedendo questo parentado, stettono in espettazione che Lorenzo, come aveva dato intenzione, dovessi andare a Roma, con disegno mentre era in Roma di amazzare Giuliano, e che Lorenzo fussi ritenuto. Risolvendosi anche di poi questa speranza, e dubitando che per essere la pratica in bocca di molti non venissi a luce, conchiusono essere necessario non aspettare piú e amazzargli tutt'a dua col modo ed ordine che di sotto si dirà.

Concorreva in questo trattato non solo el conte, ma eziandio la santità del papa ne era conscia e lo desiderava, benché per rispetto dello onore suo faceva menare el trattato al conte Girolamo. Concorrevaci eziandio el re Ferrando, quale, sendo confidatissimo ed in grande intelligenzia col pontefice, si era sdegnato che lo stato di Firenze si fussi aderito e collegato con Vinegia e Milano, e si persuadeva, mettendo uno stato nuovo in Firenze aversi a valere di quella città a modo suo, e di poi rispetto alla potenzia ed autorità sua, a quello si poteva promettere del papa, alla oportunità di questa republica, avere a essere quasi arbitro di tutta Italia, vedendo massime morto el duca Galeazzo, quale se fussi stato vivo, non sarebbe al re entrato in questi farnetichi. Concorrevaci Federigo duca di Urbino, per essersi molti anni innanzi interamente dato e dedicato al re, aggiugnevasi la oportunità di Città di Castello, di che sotto governo della Chiesa era capo messer Lorenzo Iustini da Castello, conscio e fautore di questa pratica ed inimico di Lorenzo, per avere lui sempre favorito messer Nicolò Vitelli da Castello suo avversario.

Questi tanti favori non solo accesono l'arcivescovo e Franceschino, uomini animosi ed inquieti, ma eziandio lo persuasono a messer Iacopo, el quale ci era stato un pezzo freddo e renitente, non perché non avessi odio grande verso Lorenzo, ma perché piú maturamente considerava quanto la cosa fussi pericolosa e difficile e quanto bello stato e ricchezza e' mettessi in sul tavoliere. Risolvendosi adunche mettere a effetto el loro pensiero, ed essendosene lo arcivescovo, secondo lo ordine, ito a Pisa, Franceschino a Firenze, Giovan Francesco da Tollentino se ne andò in Romagna nello stato del conte, e messer Lorenzo ne andò a Castello, ciascuno di loro due con ordine di venirne el dí deputato con cavalli e fanterie verso Firenze.

Fatti questi preparamenti secondo e' disegni loro, partí da Pisa d'aprile 1478 el cardinale di San Giorgio, fratello o vero nipote del conte Girolamo, che vi era a studio, non conscio per la età di questo trattato, e sotto nome di andare a Roma, venne a alloggiare a Montughi al luogo di messer Iacopo de' Pazzi, di poi, innanzi che entrassi in Firenze, sendo convitato da Lorenzo, andò a Fiesole a desinare al luogo suo, e fu el consiglio de' congiurati dare quivi effetto a tanta opera, ma non eseguirno, rispetto che Giuliano, sentendosi indisposto, non vi venne. Differirono adunche per [farla] a Firenze, dove entrato el cardinale, ed avendo la domenica mattina a dí... a desinare con Lorenzo, parve loro non fussi tempo farla in casa di Lorenzo, dubitando che Giuliano non vi mangierebbe, e presono partito per la mattina alla messa, in Santa Liperata, che si ordinava cantare solenne, e dove non facevono dubio s'aveva a trovare Lorenzo e Giuliano.

Venne adunche el cardinale alla messa, accompagnato dall'arcivescovo Salviato, da Giovanni Batista da Montesecco condottiere del conte e che era quivi per quella opera, e da molti perugini, tutti venuti a quello effetto, e come el prete che cantava la messa si communicò, subito, come era dato lo ordine ed el segno, Franceschino de' Pazzi che andava per chiesa a braccia con Giuliano, l'assaltò ed amazzollo. Da altro canto un ser Stefano cancelliere di messer Iacopo con alcuni altri furno adosso a Lorenzo e non bastando loro interamente l'animo lo ferirono in sulla spalla, lui si cominciò a discostare e, tratto fuori un pugnale, a difendersi, e concorrendovi brigata, cominciò a ridursi in salvo, ed in quello furore fu morto Francesco Nori che era seco; finalmente Lorenzo, con aiuto di chi era a torno e de' preti, fu condotto vivo in sagrestia e, chiusa la porta, guardato non potessi essere morto.

Mentre che queste cose si facevano in chiesa, l'arcivescovo, che poco innanzi si era partito accompagnato da molti parenti ed amici de' quali la piú parte non sapeva nulla, ed alcuni sui fidati e perugini, era ito in palagio per occuparlo, sotto colore di volere visitare la signoria; messer Iacopo era in casa a ordine per montare a cavallo e, correndo per la città, gridare "libertà" per sollevare el popolo. Non successe in palagio el disegno allo arcivescovo; anzi, volendo fare violenzia, fu ributtato e rinchiusesi in certe stanze che vi sono, da se medesimo, di che la signoria, veduto questo tumulto, fece serrare le porte del palagio, con animo di guardarlo e difenderlo da ciascuno. Sopravenne intanto messer Iacopo, e vedendo la porta chiusa volle sforzare el palagio; ma fu ributtato da' sassi che erano gittati da e' ballatoi.

Era in questo mezzo corso el romore per la città, e benché in quel principio ognuno fussi spaventato, pure intendendosi Lorenzo essere vivo ed el palagio essere assaltato e difendersi, gli amici dello stato ripresono vigore e prese le arme parte ne andò a soccorso del palagio, parte in Santa Liperata a cavarne Lorenzo e conducerlo vivo a casa. El popolo ancora parendogli lo amazzare Giuliano, che aveva benivolenzia, stato uno atto molto brutto e contra ogni civiltà, massime in chiesa in dí solenne; e vedendo el palagio per quella parte, e la vittoria aviarsi di là, e parendo che el volere occupare el palagio fussi un volere occupare la libertà, cominciorno a correre per la terra, gridando "palle palle", ché tal segno ha l'arme de' Medici; in modo che sendo el concorso universale per Lorenzo, messer Iacopo si fuggí fuora di Firenze e gli amici di Lorenzo insignoriti dello stato cominciorno a usare la vittoria.

Fu preso lo arcivescovo, che, come dissi, era rinchiuso in palagio, e subito fu impiccato alle finestre del bargello; fu impiccato con lui Iacopo suo fratello, consapevole di ogni cosa, fu impiccato un altro Iacopo Salviati, el quale era stato piú anni inimico dello arcivescovo, e di poi riconciliatosi, non sapendo nulla, per la sua mala sorte l'aveva la mattina accompagnato in palagio; furono impiccati tutti quegli perugini ed armati erano seco ed in tanta confusione e furore alcuni etiam innocenti. Fu preso Franceschino, che sendosi per la furia ferito da se medesimo in uno calcagno e però non avendo potuto fuggirsi, si era ridotto in casa, donde sendo cavato e condotto in palagio, fu subito al luogo degli altri impiccato, fu preso el cardinale in Santa Liperata, e per la furia e rabbia del popolo a pena vi fu condutto salvo; fu preso Giovan Batista da Montesecco; furono impiccati el dí piú di cinquanta, né credo mai Firenze vedessi un dí di tanto travaglio. El dí sequente messer Iacopo, che si era fuggito, non sendo ancora fuora del territorio nostro fu preso ed esaminato fu impiccato. Confessò che poi si era fatta la legge sopra le eredità, aveva sempre avuto in animo farne simile vendetta; dicono ancora disse che oltre agli altri favori e fondamenti in su' quali aveva preso animo ed appoggiatosi, era stata la buona sorte di Franceschino, in che molto si confidava, e gli fu risposto per messer Bongianni Gianfigliazzi, che era degli esaminatori, che doveva piú sbigottirsi per la sorte ottima di Lorenzo. Renato fu etiam impiccato el dí medesimo. Costui prevedendo molto innanzi quale fussi la intenzione di messer Iacopo e degli altri contro a Lorenzo, gli aveva confortati avessino pazienzia e lasciassino fare al tempo, perché Lorenzo nelle mercatantie era in tanto disordine che in pochi anni bisognava fallissi, e perduto le ricchezze ed el credito era perduto lo stato, dicendo: "diangli a cambio e' danari vuole, perché questi, benché con qualche nostra perdita, lo aiuteranno fallire piú presto". Finalmente non giovando le sue parole, e presentendo per conietture, perché da lui si guardavano, quello ordinassino di fare, era, per non vi si trovare, itosene in villa, fu preso quivi e impiccato. Nocegli lo essere tenuto savio ed avere credito e benivolenzia nel popolo, perché però parve utile a chi aveva lo stato levarselo dinanzi.

Giovan Batista da Montesecco fu tenuto parecchi giorni preso; esaminato diligentemente, confessò essere venuto a Firenze per comandamento del conte suo padrone ed avere preso el carico di amazzare Lorenzo; e nondimeno quando si prese lo ordine per in Santa Liperata, essergli venuto orrore rispetto al luogo, e ricusato farlo di che nacque la salute di Lorenzo, perché se lui pigliava la cura, sendo uomo valente animoso ed esercitato lo amazzava, fugli tagliato el capo. Fu el cardinale sostenuto molti dí per avere una sicurtà in mano, acciò che el papa non facessi villania a' mercatanti nostri erano in Roma; finalmente assicurata questa parte, fu licenziato e accompagnato onorevolmente. Fuggirono ser Stefano e Bernardo Bandini, che tutt'a dua avevono assaltato Lorenzo, e per piú sicurtà Bernardo ne andò in Turchia, donde l'anno seguente lo cavò Lorenzo, e condotto a Firenze fu impiccato. Fu preso Guglielmo e rispetto al parentado e prieghi della moglie sorella di Lorenzo, fu liberato e mandato a' confini. Furono presi Giovanni fratello di Guglielmo, Andrea, Niccolò e Galeotto fratelli di Renato, tutti innocenti, e furono confinati in perpetuo nelle carcere di Volterra. Fu confiscata la roba di tutti, levate le arme per la città, ordinato che alcuni rimasono di quella famiglia mutassino, massime nelle cose del palagio, el nome, fatto decreto che le figliuole e sorelle de' morti e confinati non si potessino per alcuno tempo maritare. El quale decreto fu parecchi anni poi levato via, e quegli incarcerati a Volterra furono confinati in perpetuo del territorio e cavati di carcere.

Questo tumulto fu di pericolo assai a Lorenzo di perdere e lo stato e la vita, ma gli dette tanta riputazione ed utilità, che quello dí si può chiamare per lui felicissimo: morígli Giuliano suo fratello, col quale arebbe avuta a dividere la roba e lo stato messo in contesa; furongli levati via gloriosamente e coi braccio publico gli inimici sua e quanta ombra e sospetto aveva nella città; el popolo prese le arme per lui e, dubitando della vita, corse a casa gridando volere vederlo, e lui si fece alle finestre con grande gaudio di tutti, e finalmente in quello giorno lo ricognobbe padrone della città; fugli dato per privilegio dal publico potessi per sicurtà della sua vita menare quanti famigli armati voleva drieto, ed in effetto si insignorí in modo dello stato, che in futurum rimase liberamente ed interamente arbitro e quasi signore della città, e quella potenzia che insino a quello dí era stata in lui grande ma sospettosa, diventò grandissima e sicura. E questo è el fine delle divisione e discordie civile: lo esterminio di una parte, el capo dell'altra diventa signore della città, e' fautori ed aderenti sua, di compagni quasi sudditi, el popolo e lo universale ne rimane schiavo, vanne lo stato per eredità e spesse volte di uno savio viene in uno pazzo, che poi dà l'ultimo tuffo alla città.

 

 

V

GUERRA DI SISTO IV E DI FERDINANDO D'ARAGONA

CONTRO FIRENZE (1479).

Di questa novità di Firenze e pericolo dello stato nacque alla città una guerra gravissima, perché el re Ferrando e papa Sisto, considerando quanta offesa avessino fatta a chi aveva el governo della città, e che mai piú vi potrebbe essere fede o amicizia, deliberorono apertamente e colla forza di fuora fare pruova di quello che aveano tentato occultamente e colle arme civile, e per dare qualche principio iuridico alla impresa loro, el papa escomunicò Lorenzo ed interdisse la città per avere impiccato lo arcivescovo di Pisa e sostenuto el cardinale di San Giorgio. Fu per parte della città risposto gagliardamente a questa ingiuria, mandando in publico lettere a tutti e' principi cristiani in giustificazione loro e carico del papa, facendo etiam consigliare a tutti e' primi dottori di Italia che de iure questo interdetto era nullo e non valeva. Finalmente venendosi dalle censure e guerra spirituale alle arme e guerra temporale, el papa e re, condotto per capitano, a spesa commune, Federigo duca di Urbino, e fatto intelligenzia co' sanesi', mandorono le gente loro per la via di Siena a' danni nostri. Fu in questo esercito ancora Alfonso duca di Calavria, primogenito del re ed apresso a lui ed el duca Federigo era la cura del tutto. Dall'altra banda e' viniziani e lo stato di Milano, secondo gli oblighi della lega, mandorno gente di arme e fanterie in favore de' fiorentini, ma non quello numero sarebbe suto necessario, in modo che trovandosi superiore di forze lo esercito inimico, el nostro non potendogli stare a petto alla campagna, si ridusse in sul Poggio Imperiale, sendo commessari generali messer Luigi ed Iacopo Guicciardini. E non andavano le cose bene, perché mancando un capitano generale che fussi condotto da tutta la lega, le gente de' collegati non erano in quella ubidienzia che bisognava; di che lo esercito inimico, oltre allo essere superiore di forze, andava sanza rispetto campeggiando e' luoghi gli pareva. Presono adunche Radda, Rencine, Brolio, Cacchiano e la Castellina, dove stettono a campo ventinove dí.

Era venuto in questo mezzo in campo, capitano di tutta la lega Ercole duca di Ferrara, el quale però, per non essere pari agli inimici di gente, non scese del Poggio, ma molestava e' sanesi con prede e scorrerie, tenendo sempre fermo gli alloggiamenti in sul Poggio, per essere quello sito fortissimo, ed un freno agli inimici, che, poi che ebbono espugnati e' primi luoghi in sulle frontiere, non ardissino distendersi piú verso e' luoghi vicini alla città. Di che gli inimici, per non perdere tempo, volsono alla fine dello anno lo esercito verso la Valdichiana ed accamporonsi al Monte a San Sovino. Dette questa cosa alterazione grande alla città, per essere el Monte luogo di importanza per la qualità del castello e per la oportunità alle altre terre del paese; e però si fece risoluzione si soccorressi in ogni modo, e subito fu mandato in quella parte commessario messer Bongianni Gianfigliazzi, acciò che insieme col conte di Pitigliano disegnassino e' modi necessari e gli alloggiamenti oportuni a questo soccorso. Ed in questo mezzo si scrisse nel campo nostro (el quale, rimasto per la partita degli inimici superiore da quella banda, aveva fatte grande prede in sul sanese e presi alcuni luoghi di non molta importanza) che el capitano insieme con Iacopo Guicciardini, lasciate le gente bastavano per guardia del paese, si transferissino alla volta del Monte ed agli alloggiamenti che si disegnassino pel conte di Pitigliano e per messer Bongianni. Volsonsi a quella volta e doppo molte dispute e dispareri alloggiorono presso al campo inimico; dove sendo, si fece tregua per alcuni giorni. La quale fu accettata da' nostri, perché sendo nello autunno pareva loro utile ogni tempo si togliessi agli inimici, sendosi allo stremo dello anno; fu accettata da loro, perché, sendo la natura del duca di Urbino fare le cose sue piú sicuramente poteva, si volle fortificare da una banda donde dubitava potere essere offeso, e la quale però non era stata prevista da' nostri. Finalmente, spirata la triegua, gli uomini del Monte si dettono loro spontaneamente, benché da par loro si fussino potuti tenere alcuni dí, ed inoltre avessino la speranza propinqua del soccorso ed el tempo di natura da credere che el campo fussi necessitato a levarsene presto.

Questa perdita del Monte sbigottí ed alterò assai l'universale della città, perché fu contro la opinione commune, riputandosi che quel luogo fussi forte ed eziandio molto fedele ed ebbonne el capitano e commessari e le gente nostre gran biasimo, ed imputatine di viltà, come se non fussi bastato loro lo animo a soccorrerlo e di qui gli uomini del Monte, privati di speranza del soccorso, si fussino dati. Nondimeno pe' piú savi si ritrasse essere stata malignità di parecchi capi della terra, e' quali a poco a poco avevano persuaso la moltitudine, che da sé naturalmente era inclinata alla divozione nostra e cosí che le gente nostre meritavano scusa, perché non potevano avere a fare con gli inimici, se non con gran disavantaggio.

Nel medesimo tempo fu in Firenze un poco di disordine causato dagli otto della balía. Quello magistrato ne' tempi passati era stato creato con grandissima autorità nelle cose criminali, sottoposta pure nel giudicare, benché non nel procedere, alle leggi e statuti della città, e con potestà libera ed assoluta e fuora di ogni legge, ne' peccati concernenti lo stato; e fu invenzione di chi si trovava nelle mani el reggimento, per avere un bastone a loro posta, col quale potessino stiacciare el capo a chi volessi malignare ed alterare el governo. E benché la origine sua nascessi da violenzia e tirannide, riuscí nondimeno un ordine molto salutifero; perché come sa chi è pratico nella terra, se el timore di questo magistrato, che nasce dalla prontezza del trovare e' delitti e giudicargli, non raffrenassi gli animi cattivi a Firenze non si potrebbe vivere; e cosí come detto ufficio fu pienissimo circa alle cose criminali, gli fu proibito per espresso non potessi impacciarsi nel civile. El quale ordine non si osservò interamente, perché a poco a poco per spezialità di chi era nell'ufficio e pe' mezzi e favori degli uomini che vi venivano vi si cominciò a introdurre molti casi civili, chamandogli, per qualche ragione indiretta, criminali, la qual cosa sendo molto trascorsa, parve a Lorenzo di correggerla, e però si fece una riforma che dichiarò e distinse molti casi, ne' quali gli otto non potessino cognoscere. E perché la fu ordinata da Gismondo dalla Stufa che allora si trovava degli otto fu chiamata la gismondina; e sendosi osservata per qualche uficio, gli otto che si trovorono in questo tempo, non piacendo loro, un dí subito sanza conferirne o con magistrati o con chi governava la città, la stracciorono ed arsono. La qual cosa parendo fussi un toccare lo stato avendolo fatto di loro propria autorità, e massime ne' tempi che correvano, dispiacque a chi reggeva, e subito furono cassi dello uficio e fatti altri in loro scambio. Né fu fatta loro altra punizione, perché si ritrasse non era stata malignità contro al governo, ma piú tosto leggerezza; ed essere stati messi su da' cancellieri dello uficio, a' quali piaceva vi si cognoscessi di ogni caso, perché si valevano piú; e si riconfermò la gismondina, benché oggi non si osservi, e quietossi la cosa.

Gli inimici, preso el Monte, se ne andorno alle stanze; ed in Firenze, pensandosi all'anno sequente, si attese a pensare e' preparamenti per tempo nuovo, ed a questo effetto ristrignersi co' collegati, mostrando loro e' nostri pericoli e strignendogli a' soccorsi. Fu però mandato a Vinegia oratore messer Tommaso Soderini ed a Milano si trovava Girolamo Morelli; e' quali molte volte discorsono e mostrorno come gli eserciti che noi avevamo avuti fra nostri e loro la state passata, non erano bastanti stare in campagna ed a petto agli inimici, e però non si faccendo maggiore sforzo, che loro continuamente si insignorirebbono de' luoghi nostri ed indebolirebbonci in modo che noi saremo constretti pigliare con gran disavantaggio nostro e di tutta la lega qualche partito con loro, benché la intenzione nostra fussi prima morire che abandonare la lega e mancare della fede nostra, essere necessario, se ci volevano conservare lo stato secondo gli oblighi mandare aiuti piú gagliardi e fare altri disegni che l'anno passato. Soggiunsono di poi che, quando bene ci mandassino l'esercito che fussi per resistere agli inimici ad essere loro mai nondimeno non bastare per la salute nostra, perché e' danni che si facevano cosí da' soldati nostri come dagli inimici a' nostri cittadini e sudditi erano tanto grandi e sí innumerabili che continuandosi piú tempo era impossibile a reggerli, avendo massime tanto peso d'avere colle borse private a sostenere tutte le spese ed incarichi della guerra; consumarsi a poco a poco questo corpo ed in modo diminuirsi, che, non si rilevando, cadrebbe da se medesimo, la vera ed unica medicina di questo male essere che fra noi ed e' nostri collegati si facessi tanta forza che si potessi cacciare gli inimici di su' nostri terreni e perseguitargli in ogni luogo e fare la guerra potentemente a casa loro.

Questi discorsi e ragione introdussono in pratica molti modi da fare questo effetto, e disegnossi due modi: uno di fare armata per mare e con essa infestare le marine del re Ferrando, e cosí divertire la guerra in Toscana, l'altra chiamare in Italia angioini e voltargli alla impresa di Napoli. Finalmente dolendo la spesa a' collegati, non se ne fece la conclusione si doveva, ma si deliberò per difesa nostra in questa forma: condussesi a' soldi nostri per capitano nostro Ruberto Malatesta signore di Rimino, e si disegnò con lui fare uno campo in quello di Perugia per levare quella città dalla divozione della Chiesa e di poi potere ferire negli altri luoghi nello stato del papa; e per fare questa impresa piú riuscibile, si disegnò per questo campo el conte Carlo del Montone, sperando che la riputazione la benivolenzia e parte aveva in Perugia, l'avessi facilmente a fare ribellare, dalla parte di Siena e verso el campo inimico fu disegnato el duca di Ferrara capitano generale di tutta la lega, ed el marchese di Mantova capitano dello stato di Milano. Furono etiam in qualche speranza d'avere aiuti dal re di Francia, al quale sendosi mandati imbasciadori da tutta la lega, che vi andò per la nostra città messer Guidantonio Vespucci a fare querela del pontefice e tentarlo volessi insieme cogli altri principi chiamare il papa a concilio e cosí richiederlo di aiuti per la difesa nostra, aveva quel re piú volte promesso mandare buono numero di gente d'arme in Italia, ed in effetto ogni cosa fu vana se non che con lettere e con ambasciadori al pontefice, con minacci e protesti favorí assai la causa nostra.

Disegnati l'anno 1479 questi apparati, e venendone el tempo nuovo da esercitargli, el signore Ruberto da Sanseverino fuoruscito dello stato di Milano, con gente e favori del re scorse di quello di Genova insino in sulle porte di Pisa; la quale città, per non aspettare la guerra, era improvista di tutte le cose necessarie. Ma subito vi furono mandati commessari messer Bongianni Gianfigliazzi ed Iacopo Guicciardini, e di poi presto vi si volse el duca di Ferrara, ed in modo si raffrenorno gli impeti degli inimici, ed eziandio si scoprí in Pisa uno trattato, che el signore Ruberto vedendosi inferiore di gente e dubitando ancora, venendo aiuto da Milano, non essere rinchiuso, si ritirò e partissi d'in sul nostro.

Cessato questo pericolo, el duca e messer Bongianni se ne andorono verso el Poggio, ed Iacopo ne venne in quello di Arezzo, dove pochi dí poi giunse el nostro capitano magnifico Ruberto Malatesta, ed aspettavasi el conte Carlo del Montone el quale, sendo amalato, si fermò in Cortona e quivi pochi dí poi si morí, tagliando una grande speranza si era conceputa per la venuta sua, rispetto al credito ed alla parte aveva in Perugia, nondimeno colle gente vi erano si seguitò la impresa e presesi alcune castella del perugino. E perché lo esercito del papa e re, colla persona de' due duchi Calavria ed Urbino campeggiava dalla banda di Siena e però non attendeva alla difesa del perugino, fu mandato dagli inimici in quella parte un altro esercito sotto la cura del prefetto, nipote del papa, e di messer Matteo da Capua; e' quali arrivati si affrontorono co' nostri e, doppo un bello fatto di arme in che molto apparí la prudenzia ed ordine grande del capitano magnifico Ruberto, e' nostri ebbono una gloriosa vittoria, pigliando gran numero di uomini e cavalli degli inimici e spogliandogli insieme degli alloggiamenti.

Dalla parte di Siena non si era fatto ancora cosa notabile, perché e' nostri stavano in sul Poggio, donde operavano piú in difesa de' paesi nostri che in offesa degli inimici, e gli avversari, temendo dello esercito nostro, non potevano sforzare le nostre terre e non ardivano volere fare fazione co' nostri rispetto al disavantaggio arebbono avuto per la fortezza del Poggio. Ma avendo le nuove della rotta di Perugia e dubitando di quello stato, si volsono a gran giornate in là; il che presentendosi pe' nostri che già erano accampati a alcune castella in sul lago di Perugia, perché erano di numero molto inferiori agli inimici, si ritrassono a salvamento a piè di Cortona ma el campo del Poggio, rimanendo per la partita del campo opposito sanza riscontro, scese del Poggio ed andò a campo a Casoli, castello grosso de' sanesi che confina con noi dalla parte di Volterra; e piantatovi le artiglierie, lo prese per forza e saccheggiollo. Di che nel saccheggiare e dividere la preda nacque gran quistione e contesa fra quegli del duca di Ferrara e quegli del marchese di Mantova, e vennono alle mani, e con gran difficultà furono divisi da' commessari nostri messer Bongianni e Girolamo degli Albizzi.

Furono, e per la rotta del perugino e per la avuta di Casoli, e' successi nostri tanto felici, che indubitatamente eravamo al disopra della guerra, e si faceva giudicio che la vittoria dovessi essere dal nostro; ma mutossi la fortuna e recò quella gloria e felicità agli avversari, che ragionevolmente doveva essere nostra; perché la quistione nata nel sacco di Casoli fra e' ferraresi e mantovani fu di tanta efficacia, sendo massime fra quegli dua principi qualche sdegno ed inimicizia antica, che per fuggire maggiore scandolo, fu necessario pigliare partito di separargli. E però fu mandato el marchese di Mantova nel perugino a congiugnersi col magnifico Ruberto ed el duca di Ferrara insieme col signor Gostanzo di Pesero rimase a fare la guerra nella parte di Siena.

Sendo adunche le gente nostre divise in due parte quasi pari, ed in modo che, se bene unite insieme sarebbono stati superiori agli inimici, nondimeno cosí separate ciascuna di loro era molto inferiore gli inimici, esaminando e' casi loro, si risolverono tenere lo esercito unito in mezzo quello di Siena e la Valdichiana, acciò che, come el campo del Poggio facessi movimento, potessino in tre o quattro dí essere loro adosso; e cosí con questo terrore ritenergli che non ardissino campeggiare con artiglierie, e cosí che non rimanessi loro da fare fazione, se non prede e scorrerie e cose di poco momento; e cosí medesimamente raffrenare, quando si movessi, lo esercito di verso Perugia. E parve loro con questi modi che el campo loro, piú grosso che alcuno degli inimici, potessi facilmente avere occasione di opprimerne uno, e quando pure questo non fussi, stimavano assai consumare questo anno e tenerci colla guerra addosso, e fu parola del duca di Urbino, che e' fiorentini el primo anno della guerra erano vivi e gagliardi, el secondo mediocri, el terzo spacciati; e che ci aspettava al terzo anno.

Questi loro ordini cosí disegnati riuscirono in buona parte, perché come el campo nostro di Perugia si moveva, subito gli inimici andavano alla volta loro, in modo che vedendogli superiori erano constretti a ritirarsi a luoghi salvi; e per questo rispetto non si accampavano a terra alcuna con artiglierie, riputandosi vergogna l'aversi di poi a levare, ed erano constretti infestare e' perugini con scorrerie solo, e se pure andavano a un castello, non potevano combatterlo con altro che con battaglia di mano. El medesimo interveniva a' nostri di verso Siena, in modo che gli inimici con questa astuzia tenevano impedite molte piú gente che loro non erano, e consultandosi del rimedio a questo male, pareva necessario unire insieme questi due eserciti, co' quali per essere in piú numero si sarieno sanza dubio urtati gli inimici, ma non si poteva, per la quistione stata tra e' ferraresi e mantovani, e cosí perché el magnifico Ruberto Malatesta ed el signore Gostanzo di Pesero, nostro soldato, erano inimici ed incompatibili in uno campo medesimo. Restava ingrossare tanto l'uno e l'altro campo che separati potessino stare a petto agli inimici; il che non ebbe effetto, percné gli aiuti de' viniziani erano freddi e deboli, e cosí dello stato di Milano; massime che in quello tempo el signore Lodovico, monsignore Ascanio ed el signore Ruberto da Sanseverino con spalle e favore del re presono Tortona ed alcune terre di quello stato; e lo effetto fu che madonna Bona, mossa da paura e da persuasioni come donna, gli richiamò al governo del figliuolo, e loro subito entrati incarcerorno messer Cecco e poi gli feciono tagliare el capo.

Fu necessario, intendendosi questi movimenti di Milano, che el marchese di Mantova loro soldato ed el duca Ercole, capitano di tutta la lega, andassino a Milano benché Ercole lasciassi in sul Poggio le sue gente a governo di messer Gismondo da Esti suo fratello. Indebolito in questo modo e' nostri campi, e continuando gli inimici la astuzia loro, si consumò tutta la state; pure finalmente e' perugini, non volendo piú soportare la guerra ed avendo cosí protestato al papa, erano alle strette di pigliare accordo colla lega; quando gli inimici intendendo farsi in sul Poggio Imperiale mala guardia ed essere disordinato molto quel campo, di che era a governo messer Gismondo e commessario Girolamo degli Albizzi, ed avendo certa intelligenzia in una bastía vi era, partitisi dal ponte a Chiusi a grandissime giornate, assalirono improvisamente e' nostri in sul Poggio, e' quali per questo assalto sí subito sbigottiti, né si rifidando al sito fortissimo, sanza fare alcuna difesa vilissimamente si fuggirono e furono rotti.

Fu questa rotta una percossa nel cuore alla città, la quale impaurita e pensando solamente alla difesa della libertà, attese a riordinare el piú poteva le gente rotte, richiese instantissimamente di aiuto e' collegati e subito revocò le gente del perugino, in modo che le pratiche dello accordo non ebbono conclusione. Mandossi in quello di Arezzo el signore Gostanzo per guardia del paese; e perché non poteva essere in uno luogo medesimo col magnifico Ruberto, ridussesi el campo nostro a San Casciano, e gli inimici doppo una tanta vittoria ne vennono a campo a Colle, dove stettono circa a sessanta dí; e finalmente non sendo soccorso, l'ebbono a patti, del mese di...

 

VI

VIAGGIO A NAPOLI Dl LORENZO DE' MEDICI (1479).

PACE CON FERDINANDO D'ARAGONA (1480).

NUOVI ORDINAMENTI A FIRENZE.

La città in questo mezzo, benché doppo la rotta dal Poggio avessi avuto qualche soccorso da Vinegia, nondimeno veduto Colle in modo stretto che era da credere si potessi poco tenere, e benché el tempo dello ire alle stanze si appressassi, pure considerando in quanti pericoli avessino a essere lo anno futuro, e massime perché si dubitava lo stato di Milano non seguitassi la parte del re o saltem si stessi neutrale, e vedendo bisognare pigliare modo alla salute sua o coll'avere altri soccorsi da' collegati che pel passato o col pigliare la pace con piú tollerabili condizioni si potessi, mandorono imbasciadore a Vinegia messer Luigi Guicciardini a fare intendere a quella signoria, come etiam si era fatto l'anno passato mediante messer Tommaso Soderini, in che condizione si trovava lo stato nostro, e che ci era uno unico rimedio, di transferire la guerra in su' terreni degli inimici, el quale, rispetto alla debolezza nostra e la mutazione del governo di Milano, era fondato in gran parte in quella signoria. Le quali cose sendo mostre per lo oratore, non feciono quello frutto che meritamente dovevono fare. Di che sendo a Firenze per lettere di messer Luigi certificati, e come da loro non si poteva sperare piú che pel passato, Lorenzo de' Medici, considerando in che pericolo si trovava lo stato suo e dubitando che questa guerra lunga e pericolosa non straccassi in modo la città, che e' cittadini, per levarsi questa febre da dosso, non gli togliessino lo stato, voltosi tutto a' pensieri della pace, né gli parendo altro modo che di placare lo animo del re, massime disperandosi del pontefice, e conferito questo suo pensiero con pochi o con nessuno, fatto una sera a dí 6 di dicembre chiamare da' dieci una pratica di circa quaranta cittadini de' principali, disse avergli fatto chiamare per conferire loro una sua deliberazione, nella quale non ricercava lo consigliassino, ma solo lo sapessino; avere considerato quanto la città avessi bisogno di pace, non potendo difendersi per se medesima da sí potenti inimici, né volendo e' collegati fare el debito loro; e perché gli avversari pretendevano lo odio essere piú tosto seco che colla città, ed el re in particulare aveva detto non essere inimico della città, ma amarla e desiderare la amicizia sua e cercare di ottenerla colle battiture sua, poi che altro modo non gli era giovato, però essere disposto transferirsi personalmente a Napoli; la quale andata gli pareva utilissima, perché, se gli inimici desideravano lui solo, l'arebbono nelle mani e per saziarsi di lui non bisognerebbe perseguitassino piú la città; se e' desideravano non lui, ma la amicizia publica, questo essere modo a intendergli presto ed a potere ancora migliorare le condizioni della pace; se e' volevano altro, questa andata lo dimostrerebbe, e intendendosi quello che e' volessino, e' cittadini si sforzerebbono con qualche modo piú vivo difendere la libertà e lo imperio; cognoscere in quanto pericolo si mettessi ma essere disposto preporre la salute publica al bene privato e pel debito universale di tutti e' cittadini verso la patria e pel particulare suo, rispetto a avere avuti dalla città piú benefíci e piú condizione che alcuno altro; sperare che quegli cittadini che erano presenti non mancherebbono in conservare lo stato e l'essere suo, e cosí raccomandare loro sé, la sua casa e famiglia; e sopratutto sperare che Dio, risguardando alla iustizia publica ed alla sua buona intenzione privata, aiuterebbe questo pensiero; e quella guerra che si era principiata col sangue del suo fratello e suo, si poserebbe e quieterebbe per le sue mani.

Dette questo parlare ammirazione a tutti quegli che non avevano prima notizia, ed e' pareri furono in sé vari come si fa nelle cose grande; nondimeno, perché gli aveva detto non ci ricercare drento consiglio, nessuno la contradisse. E cosí lui, raccomandata la città ed el governo agli amici dello stato, si partí la notte medesima; ed el dí sequente giunto a San Miniato al Tedesco, scrisse una lettera alla signoria, scusandosi non gli avere prima communicato questo suo disegno, perché gli pareva che el tempo ricercassi piú tosto fatti che parole, ed allegando le cagione della andata sua, quasi in quel medesimo modo aveva viva voce fatto co' dieci e colla pratica. Giunto di poi a Livorno e trovatovi due o tre galee mandate dal re Ferrando per levarlo, come ebbe avuto da Firenze el mandato di potere conchiudere quanto voleva el popolo fiorentino, se ne andò per acqua alla volta di Napoli. Aveva el re Ferrando, avisato di tale deliberazione, credo dagli oratori milanesi che praticavano a Napoli la pace, mandato a sua richiesta le galee in Porto Pisano, e per dare uno saggio di pace innanzi che Lorenzo partissi, fatto che el duca di Calavria aveva richiesta la città di levare le offese a disdetta di dieci dí, e cosí si era consentito.

Questa andata di Lorenzo alterò assai e' viniziani per essere fatta sanza saputa loro, e feciono concetto la pace essere conchiusa, e Lorenzo essere ito a cosa fatta, e loro essere lasciati a discrezione; e nondimeno per impedirla se la non fussi pure conchiusa, veramente sendo conchiusa, per accertarsene, ed in ogni evento per trovarsi forti ed armati, subito feciono tornare in Romagna le gente loro che erano in Toscana in aiuto de' fiorentini; richiesono lo stato di Milano e fiorentini di rinnovare la lega, allegando che per qualche accidente si era divulgato a Roma ed in piú luoghi che la era rotta per non si essere osservata secondo e' capitoli, e però essere bene per tôrre ogni ombra potessi nascere, rinnovarla, e concorrendovi lo stato di Milano, la città, per non perturbare le pratiche di Napoli, la negò. Tolsono per loro capitano el magnifico Ruberto Malatesta; e perché gli era capitano de' fiorentini, e durava la condotta sua qualche anno, e non voleva obligarsi a' viniziani se non in caso avessi licenzia da' fiorentini, feciono tanta instanzia si dessi questa lincenza, che la città, per non alienarsegli in tutto se pure seguissi guerra, lo fece, benché molto male volentieri. Levate le offese, messer Lodovico e messer Agostino da Campofregoso ci tolsono furtivamente Serezzana, e querelandosene la città al duca di Calavria e di Urbino che fussi stata tolta sotto la fede loro dagli uomini loro, dimostrorno averlo per male e fare ogni instanzia con lettere ed imbasciadori ci fussi restituita; il che non ebbe effetto, o per la ostinazione de' Fregosi, o perché egli operassino in fatto el contrario.

La città in quel tempo si trovava molto inferma, e diminuita assai la virtú, sí per la lunga guerra, sí etiam perché assai avevano preso animo di sparlare del governo, e cercare novità e gridare che gli era bene che gli onori e le gravezze non si distribuissino a arbitrio di pochi, ma de' consigli. Nasceva questa audacia, perché molti facevano giudicio che el re avessi a tenere Lorenzo, dicendo che lui, disperato potere sostenere questo, si era gittato nelle braccia di quel re suo inimico temerariamente e sanza avere da lui fede o sicurtà alcuna; e se pure l'aveva avuta, che el re non la osserverebbe, sendo uomo sanza fede, come aveva mostro la esperienza passata nel conte Iacopo ed in altri. E multiplicando ogni dí questo omore nella città, non si poteva pensare a fare provedimenti alla guerra; e massime che molti delle casa dello stato, o perché dispiacessi loro el governo presente, o per credere che Lorenzo non avessi a tornare, cercavano cose nuove e volgevano credito a Girolamo Morelli; el quale, sendo di riputazione grandissima e forse cosí savio come altri che fussi nella città, avendo forse la medesima opinione di Lorenzo, era in qualche sospetto collo stato, nata forse non meno della autorità che egli aveva, che da alcuno suo sinistro portamento. Gli amici del reggimento pareva loro assai conservare lo stato sanza mutazione, tanto che Lorenzo tornassi, ed ingegnavansi creare signorie di qualità da potersene fidare.

Lorenzo, giunto a Napoli, fu ricevuto dal re con onore grandissimo e sforzossi persuadergli che se gli dava la pace e conservavalo nello stato, si varrebbe molto piú della città a suo proposito che se lo spacciassi; perché se si mutassi a Firenze governo, potrebbe venire in mano di tali, che el re non ne disporrebbe come di lui solo. Stette el re molti dí dubio, sendo da un canto molto stimolato dal papa di spacciarlo, da altro parendogli vere le sua ragione, ed aspettava vedere se questa suspensione facessi in Firenze novità alcuna. Finalmente non si alterando nulla a Firenze, si risolvé alla pace ed a conservare Lorenzo, el quale vedendosi menare in lunga si ritrovava in gran paura; e nondimeno si soprasedé molti dí la conclusione, perché el re voleva farlo con meno alterazione del papa fussi possibile, e non venendo da Roma la licenzia, fu contento che Lorenzo si partissi, avendolo certificato di quello voleva fare in ogni modo. Di che Lorenzo tornò per acqua e subito ritornato a Firenze, dove fu ricevuto con grandissimi segni di letizia e benivolenzia, venne la nuova della pace cosa molto desiderata e che gli recò grandissima riputazione, in modo che quanto la sua deliberazione fu pericolosa e forse troppo animosa, tanto gli fu lieto e glorioso il fine.

La pace dal canto nostro ebbe quelle condizione in qualche parte che sogliono avere e' vinti; perché non vi furono inclusi e' signori di Romagna che erano sotto la protezione della nostra lega, ma ne fu fatto compromesso nel re, el quale aveva a parole dato speranza di salvargli; non ci fu problema la restituzione delle terre perdute, ma rimesse in arbitrio del re, el quale di poi nello 1481, alla fine di marzo, restituí Vico, Certaldo, Poggibonzi, Colle ed el Monte a San Sovino; la Castellina e le altre rimasono a' sanesi secondo le convenzione avevano col re; pagossi certa somma di danari, e nondimeno fu pace con meno disavantaggio non ricercavano le condizioni nostre. Aggiunsesi una lega universale di Italia, non riservando la particulare e si dispose che perché e' viniziani avessino cagione di acconsentirla, avessino tutti e' principi di Italia a mandare loro imbasciadori, come altra volta si era fatto nel 54, al re Alfonso. Fu ratificato ogni cosa dal re, Milano, Ferrara e noi; el papa ratificò la pace; e' viniziani, non piacendo loro nuova lega, non ratificorono, anzi feciono, fuora della opinione di tutti, una nuova lega col pontefice. A Firenze si elesse imbasciadori al papa e re ed a rallegrarsi messer Antonio Ridolfi e Piero di Lutozzo Nasi, di poi si deputò undici imbasciadori a Roma a chiedere la assoluzione dalle censure messer Francesco Soderini vescovo di Volterra, messer Luigi Guicciardini, messer Bongianni Gianfigliazzi, messer Piero Minerbetti, messer Guidantonio Vespucci, Gino Capponi Domenico Pandolfini, Antonio de' Medici, Iacopo Lanfredini Piero Mellini... e' quali usate molte cerimonie e supplicazione la ottennono.

Quietate le cose della città di fuori, parendo agli uomini del reggimento le cose drento essere disordinate, attesono a restrignere lo stato e dettono pegli oportuni consigli balía a trenta cittadini per piú mesi, e di poi a dugentodieci, e' quali feciono squittino nuovo, ordinorono nuova gravezza, dettono a que' trenta arroti quaranta, e' quali per cinque anni avessino molte autorità, e di creare la signoria ed altro e circa le provisioni della città, che si chiamorono el consiglio de' settanta, el quale si continuò poi di tempo in tempo in modo che fu un consiglio a vita. E perché el magistrato de' dieci vacava, finita la guerra, ordinorono si eleggessi di sei mesi in sei mesi, del numero de' settanta, otto cittadini chiamati otto di pratica, e' quali avessino a vegghiare le cose importante dello stato di fuora ed a tenerne quella cura nella pace, che tenevano e' dieci nella guerra; e cosí rilegorono e riformorono lo stato con piú grandezza e stabilità di Lorenzo.

 

 

VII

GUERRA TRA VENEZIA E FERRARA (1482).

PACE Dl BAGNOLO. IMPRESA Dl PIETRASANTA.

Fatta questa pace, stette Italia in quiete insino all'armo 1482, nel qual tempo sendo nate alcune discordie tra e' viniziani ed Ercole duca di Ferrara rispetto a' confini ed antique convenzione loro, e non potendo e' viniziani sopportarle sí per la loro superbia naturale, sí etiam per essere usi a disporre molto di quello stato; e da altra parte Ercole faccendo piú renitenzia che pel passato, per confidarsi in essere genero del re Ferrando e nella lega aveva con lui, con Milano e Firenze; ed ultimamente sendo el vicedomine che stava in Ferrara per la signoria di Vinegia scomunicato dal vicario dello vescovo, lo effetto fu che e' viniziani deliberorono rompergli guerra con consiglio e consenso ancora di papa Sisto. E parendo loro che la vittoria consistessi nella prestezza, disegnorono una armata grossa in Po e due campi per terra, uno dalla banda di Ferrara sotto el signore Ruberto da Sanseverino, l'altro in Romagna sotto el magnifico Ruberto Malatesta e cominciorono potentemente a infestare lo stato di Ferrara. Da altra banda e' signori collegati risentendosi non tanto per gli oblighi della lega, quanto pel pericolo commune a tutta Italia se e' viniziani si insignorivano di quello stato mandorono gente e commessari a Ferrara, non in quello numero bisognava, e per capitano Federigo duca di Urbino, sperando che la presenzia ed autorità sua avessi a fare frutto.

Partissi del reame el duca di Calavria per soccorrere el suo cognato ma sendogli dinegato el passo dal papa che favoriva e' viniziani, congiuntosi con Savelli e Colonnesi, cominciorono a infestare le terre della Chiesa; e sendo el papa, il conte Girolamo e signore Verginio Orsino occupati alla difesa, e' fiorentini levorono Città di Castello da obidienzia della Chiesa, rimettendovi a governo messer Niccolò Vitelli che ne era stato, cacciato da messer Lorenzo Iustino capo della parte avversa. E perché el papa potessi difendersi dal duca di Calavria, e' viniziani gli mandorono el magnifico Ruberto; e cosí la guerra dello stato di Ferrara si alleggerí dalla parte di Romagna. Ma di verso Ferrara e' viniziani non avendo riscontro, presono Rovigo con tutto el Pulesine e vennono a campo a Ficheruolo, strignendolo per terra e per acqua; ma difendendosi ferocemente, per esservi drento a guardia valenti uomini e perché el duca Federigo, accampato in sull'altra riva di Po, gli dava tutti quegli favori era possibile, non l'ebbono se non in spazio di quaranta o cinquanta dí. Nel qual tempo el duca Federigo, sendo amalato per la cattiva aria di quegli paludi, morí con grandissimo danno di tutta la lega, rispetto alla sua grandissima fede virtú ed autorità, e ne' medesimi dí el magnifico Ruberto colle gente ecclesiastiche presso a Velletri a un luogo detto Campo Morto, si appiccò col duca di Calavria, dove doppo un lungo fiero e bellissimo fatto di arme, el duca di Calavria fu rotto, presi assai di quegli baroni romani erano con lui, e lui colla fuga scampò le mani degli inimici. Doppo la quale gloriosa vittoria Ruberto, sendo amalato per la grandissima fatica durata nel fatto dell'arme, portato a Roma pochi dí poi morí in grandissima fama, e fu sepulto in San Pietro con uno epitafio vulgare:

Ruberto sono che venni vidi e vinsi

lo invitto duca e Roma liberai

e lui di fama e me di vita 'stinsi.

Morí in quegli giorni medesimi e, come dicono alcuni, in quello dí medesimo che morí a Ferrara el duca di Urbino.

Furono questi successi tanto in favore de' viniziani, sendo rotto el duca di Calavria, espugnato Ficheruolo, morto Federigo duca di Urbino, che, non avendo ostaculo, el signore Ruberto coll'esercito passò Po, fatti ne' luoghi oportuni molti ponti e bastioni, massime uno al Lagoscuro di grandissima importanza alla infermità di quello paese, e venne insino alle porte di Ferrara, sendo molto impaurito el duca e deliberato abandonare Ferrara ed andarsene a Modona, se da messer Bongianni Gianfigliazzi, che vi era commessario de' fiorentini, non fussi stato con gagliarde parole e conforti ritenuto. E certo la vittoria pareva in mano de' viniziani, avendo stretto el collo a Ferrara con uno esercito potentissimo, con una grossa armata per Po, e sendovi gli aiuti de' collegati molto deboli, e sperandovisene pochi altri, perché el re, poiché era rotto, non pareva sufficiente a sforzare el papa di dargli el passo; lo stato di Milano aveva guerra co' Rossi di Parmigiana, e' quali sotto la speranza de' viniziani si erano ribellati, e tutto lo sforzo di quello stato era vòlto a espugnare San Secondo, luogo fortissimo, ed e' fiorentini soli non potevano né volevano difendere questa piena, e come accade nelle cose che s'hanno a fare per piú, comunemente la freddezza dell'uno intepidiva gli altri.

Ma perché lo imperio di Italia non era ancora disegnato a' viniziani, si volse nuovo vento, in modo che mutate la condizione delle cose, non solo si salvò Ferrara, ma furono e' viniziani in grandissimo pericolo perdere tutto lo stato avevano in Italia in terraferma; perché el papa e conte Girolamo che avevano insino a quel dí dato loro favore, si rivolsono e collegoronsi colla lega alla difesa di Ferrara. La cagione può essere varia, o perché fussino sdegnati co' viniziani d'avere loro mancato forse in qualche convenzione avevano insieme, o perché fussino allettati da qualche promessa de' collegati, o perché fussino impauriti, considerando che se e' vinizani ottenevano, verrebbono in tanta grandezza, che e gli amici e gli inimici arebbono a stare a loro discrezione. Comandò dunche el papa a' viniziani che levassino le offese da Ferrara e restituissino le cose occupate a quello stato; e non ubbidendo loro successivamente, benché con qualche intervallo di tempo, gli dichiarò scomunicati ed interdetti; e per pigliare el modo della difesa, si fece una dieta a Cremona, dove oltra gli oratori di tutti gli altri stati di Italia, eccetto e' genovesi, vi intervenne personalmente el duca di Calavria, el signore Lodovico Sforza, Lorenzo de' Medici, el marchese di Mantova, messer Giovanni Bentivogli, e credo el conte Girolamo, oltre a Francesco da Gonzaga, cardinale mantovano, legato del papa. E finita la dieta, el legato e duca di Calavria si transferirono a Ferrara; dove attendendo alla difesa ed ingrossando continuamente di gente, el signore Lodovico espugnò San Secondo e spacciò tutto lo stato de' Rossi, in modo che potendosi valere di tutte le gente sforzesche, si conchiuse, per piú difesa di Ferrara, rompere a' viniziani dalla banda di Milano in sul bresciano. La qual cosa si accelerò, perché el signore Ruberto sperando avere parte in Milano e potervi fare movimento, partito del ferrarese e fatto un ponte in sull'Adda, ne venne insino in sulle porte di Milano, dove non si vedendo novità, si ritornò adrieto, non avendo fatto alcuno acquisto; e perché gli era molto tardi al campeggiare, le fazioni dell'arme si riposorono.

Nella medesima state la città recuperò le terre tenevano e' sanesi di nostro, acquistate nella guerra del 78, perché avendo e' sanesi fatto novità e cacciati molti cittadini, e loro ridottosi in su' confini, dove si stimava avessino favore o dal papa o dal re, entrò gran sospetto a quegli reggevano, in modo che per loro sicurtà e appoggio feciono lega colla città e restituirono la Castellina e gli altri luoghi. E di poi andorono a campo a Serezzana la quale non s'ebbe, per avere in Lunigiana poche gente e quelle non potendo tardare, perché avevono a essere in Lombardia.

L'anno sequente lo esercito della lega, sendo potentissimo e molto superiore a' viniziani, prese Asola e molti luoghi del bresciano e bergamasco; e continuando tuttavia la vittoria, avendo el duca di Calavria notizia che el bastione del Lagoscuro non era tanto guardato che giugnendolo alla improvista non si espugnassi e cosí si levassi tutta la guerra da Ferrara, cavalcò con le gente subitamente verso Ferrara. Ma fu in que' giorni tanta tempesta in Po, che le barche ordinate da lui non furono a ostia a tempo potessi passare; in modo che, soprastandovi a aspettarle, el signore Ruberto che egli era cavalcato drieto collo esercito, lo raggiunse e fu al bastione innanzi a lui.

Nel medesimo anno Giovan Francesco conte di Caiazzo e messer Galeazzo, figliuoli del signor Ruberto, tennono stretta pratica col signore Lodovico venire a' soldi sua e dettono speranza a principio del signore Ruberto loro padre; di poi vedendo che lui non lo farebbe, con alcuni loro fidati fuggirono occultamente del campo de' viniziani e vennono in quello della lega. Il che si stimò assai, perché fu opinione che e' viniziani avessino a insospettire del signore Ruberto e volersene assicurare o veramente non lo adoperare; ma lui prudentissimamente, come intese el caso, se ne andò a un castello de' viniziani, e quivi fatto chiamare el castellano, gli comandò per l'autorità aveva dalla signoria per conto del capitanato, lo ritenessi a stanza della signoria; il che lui non volle fare. E con questi ed altri modi in modo assicurò e' viniziani, che loro gli mandorono imbasciadori a confortarlo, ed a mostrargli avere in lui piú fede che mai.

Avevano e' viniziani tenute astutamente molte pratiche di pace, massime col papa, non tanto per farla, quanto per ingegnarsi di mettere qualche ombra tra e' signori della lega, a fine che questa unione si dissolvessi, o almeno che la speranza della pace gli raffreddassi ne' provedimenti s'avevono a fare, le quale arte sendo cognosciute, non solo si pensava alla pace, ma nella fine di quello anno si consultorono in una dieta a Milano gli ordini del continuare l'anno sequente potentemente la guerra; in modo che in quella vernata furono e' viniziani in grande angustie di pensare e provedere gente e danari per difendersi. E sopravenendo la state, uscí alla campagna el duca di Calavria collo esercito della lega tanto potente che non potendo el signore Ruberto stare alla campagna a petto agli inimici, sforzavano tutti e' luoghi dove si accampavano. Di qui e' viniziani, diminuendo ogni dí la riputazione, sbigottiti e con poca speranza, mancavano ne' provedimenti necessari ed ogni dí diventavano piú deboli, benché l'armata loro avessi nel reame preso Galipoli; in modo che gli era manifesto che non avevano riparo che gli inimici non pigliassino o Brescia o Bergamo, e di poi con maggiore forza e riputazione, e favoriti da popoli di conto, togliessino loro lo imperio di terraferma di Italia.

Ma quella fortuna che gli ha piú volte conservati per riputazione difesa ed ornamento di Italia fuori di Italia, per peste e calamità di Italia in Italia, in tanto pericolo non abbandonò. Perché sendo lo esercito della lega a Bagnuolo, el signore Lodovico dubitando da un canto che, spacciati e' viniziani, el duca di Calavria seguitato da' collegati non lo levassi dal governo dello stato di Milano, quale lui governava in nome di Giovan Galeazzo suo nipote e genero del duca di Calavria, da altro sendogli occultamente promesso da' viniziani favorirlo in continuarlo nel governo e forse in farlo duca di quello stato, e correndovi anche forse sotto mano qualche somma di danari, tenuto pratica di pace col signore Ruberto da Sanseverino, finalmente la conchiuse con condizione disonorevole alla lega: restituissi la lega tutte le terre e luoghi tolti in questa guerra a' viniziani, ed e converso e' viniziani restituissino al re, al duca di Ferrara tutti e' luoghi occupati, eccetto Rovigo con tutto el Polesine e ritenessino in Ferrara e nel ferrarese l'antique immunità privilegi e preeminenzie, ritenessi lo stato di Milano e' luoghi tolti a' Rossi; delle differenzie de' fiorentini e Fregosi circa allo stato di Serezzana non si parlò, e cosí dello includere nella lega el presente stato di Siena; rimanessi el signor Ruberto soldato de' viniziani ed avessi titolo di capitano generale di tutta Italia.

Dispiacque questa pace universalmente a tutti e' collegati, parendo loro perduta una grandissima occasione di assicurare Italia per qualche tempo da' viniziani, e dolendosi delle condizioni vituperose; dispiacque particularmente al duca di Ferrara, e per tornare nelle antique servitú e per vedersi sanza el Pulesine, luogo importantissimo allo stato suo ed e' viniziani presso alle porte di Ferrara a quattro miglia, dispiacque a' fiorentini per non si essere tenuto conto delle particularità loro di Serezzana e di Siena, la qual cosa desideravano, dolendosi che avendo fatto per difesa di Ferrara e per commune beneficio piú che non toccava loro, fussino stati lasciati adrieto; e nondimeno perché la guerra non si poteva sanza lo stato di Milano seguitare, fu ratificata da tutti la pace.

Fatta la pace, subito morí papa Sisto, quale era stato uomo valentissimo ed inquieto e tanto inimico della pace, che a suo tempo Italia stette sempre in guerra; e per essergli naturale questo appetito e perché era noto che della pace ultima aveva avuto dispiacere ed alterazione grandissima, nacque una voce che era morto per dolore della pace, donde vulgarmente se ne celebrò uno distico:

Nulla vis saevam potuit extinguere Xistum;

Audito tantum nomine pacis obit

Fu eletto in suo luogo... cardinale di Malfetta, di nazione genovese, e chiamato Innocenzio ottavo.

Nel quale tempo e' fiorentini, desiderosi recuperare Serezzana con favore del re e dello stato di Milano, ordinorono mandarvi el campo e provistosi di gente e forze necessarie, e mandato commessario Iacopo Guicciardini, e di già sendo quasi all'intorno di Serezzana, accadde che Paolo dal Borgo loro connestabole passando da Pietrasanta, che era de' genovesi, per scorta di alcuni muli carichi di vettovaglie che andavano in campo, fu assaltato e svaligiato, e presi e' muli da quegli della terra; in modo che el campo di Serezzana ne venne subito alla volta di Pietrasanta, e quivi si accamporono, fondandosi in su uno capitolo della pace: che qualunque andassi a recuperare le cose sue e fussi impedito da alcuna altra terra, potessi voltarsi a quella. E fu questa occasione procurata artificiosamente dalla città, stimando molto piú Pietrasanta per la qualità del luogo e per la commodità ed importanza, se mai s'avessi a fare impresa di Lucca.

Sendo le gente nostre accampate a Pietrasanta, venne per soccorrerla dalle riviere di Genova parecchi migliaia di fanti, e' quali non ebbono resistenzia, perché el campo nostro aveva carestia di fanterie, ed in quegli luoghi aspri non si poteva adoperare cavalli; in modo che el campo nostro venne in tanto pericolo che fu constretto levarsi da campo e ritirarsi. Ma non volendo la città a nessuno modo soportare questa vergogna, fu ingrossato el campo di fanterie e di altre cose necessarie, e per piú riputiazione della impresa e per portare ordine di danari, furono mandati in campo commessari, in compagnia di Iacopo Guicciardini, messer Bongianni Gianfigliazzi ed Antonio Pucci; e ristrinsesi in modo la terra, che non era possibile vi entrassi soccorso alcuno. Difendevansi quegli di drento francamente, e per la cattiva aria nel campo nostro amalò molti, e tutt'a tre e' commesari ne furono portati a Pisa infermi, dove pochi dí poi morirono messer Bongianni ed Antonio di Puccio. Finalmente sendo quegli di drento disperati di soccorso, dettono la terra, salvo l'avere e le persone; e cosí fu loro osservato. Fu questo buono acquisto perché, oltre alla qualità della terra era una scala a fare piú facile la impresa di Serezzana, era una briglia in bocca a' lucchesi, di natura che erano forzati stare sempre in continuo sospetto, ed uno instrumento potente alle altre terre e luoghi di Lunigiana quivi propinqui.

 

VIII

CONGIURA DEI BARONI (1484).

POLITICA Dl LORENZO.

Creato Innocenzio ottavo si suscitorono in Italia nuove guerre e tumulti; e la cagione fu che l'anno 1484 molti baroni e principi del regno di Napoli, sendo male contenti del re Ferrando, e con loro gli aquilani, si ribellorono da lui e furono presi in difesa da Innocenzio el quale entrato in speranza potere per questo mezzo disfare el re e valersi di quello reame e disporne a arbitrio suo, tolse a soldo el signore Ruberto da Sanseverino per mandarlo contro al re. Questa impresa dispiacque assai a Milano e Firenze, e presentendo questo appetito del papa, già innanzi avevano disposto, per ovviare all'ambizione de preti la quale sarebbe state infinita, e per gli oblighi della lega, favorire con ogni sforzo el re Ferrando, ed ingegnatisi persuadere al papa non ci mettessi le mani, mostrando che quando facessi altrimenti erano obligati a risentirsene. Cosí el signore Lodovico, avendo mostro a' viniziani quanto questo movimento fussi pernizioso a tutta Italia, gli aveva pregati che per conservare la quiete commune non volessino dare licenzia al signore Ruberto che andassi a' soldi del papa, perché toltogli questo instrumento di mano, gli rimaneva poche arme da perturbare Italia. Loro avevano promesso farlo, di poi gli dettono pure licenzia, o per non si recare el papa inimico, perché avessino caro le guerre di altri, standosi neutrali per guadagnarne, secondo la loro consuetudine.

Erano le cose del regno per le molte ribellione in grande disfavore del re e riducevansi in peggiore condizione per questa passata del signore Ruberto, ed in modo tale che sanza soccorso de' collegati non aveva redenzione alcuna; ed in ogni forma se la guerra s'avessi avuta a fare tutta nel reame, si trovava in modo condizionato che e' rimedi sarebbono stati difficili. Parve adunque, per divertire l'omore i transferire la guerra in quello di Roma; e però si tolsono a soldo ei signore Virginio, el conte Niccola da Pitigliano e gli altri signori Orsini, ed el duca di Calavria con parte delle gente della lega venne in terra di Roma, dove aspettando ingro