JOHN TOLAND

 

 

 

A cura di Daesty

 

 

"Io penso di poter ora concludere che nessuna cosa è un mistero, solo perché non conosciamo la sua essenza, dal momento che essa non risulta conoscibile in sé, né mai pensata da noi: sicchè lo stesso esser divino non può essere considerato sotto questo aspetto più misterioso della più vile delle sue creature" (“Cristianesimo senza misteri”).


INDICE

INTRODUZIONE
IL NAZARENUS

 

 

 

VITA E OPERE


TOLANDJohn Toland (1670-1722) ebbe un ruolo di rilevante importanza nella storia del panteismo; fu infatti il primo ad avere una concezione davvero particolare del panteismo, del quale inoltre coniò il termine. Egli aveva una visione prettamente scientifica e materialista, idealizzava l'unione di diverse società accomunate dalla religione panteista.

È significativo evidenziare cosa Toland stesso intendesse con il termine panteismo: ovvero che la sola divinità fosse l'Universo stesso. In seguito, furono aggiunte nei dizionari diverse definizioni che, talvolta con degli errori, crearono confusioni sul termine. Nonostante ciò, il significato fondamentale e originale che maggiormente si avvicina a tale pensiero è il “Panteismo Scientifico”.

Toland ebbe una carriera piuttosto travagliata, nacque nei pressi di Derry (nell'Irlanda del Nord) il 30 novembre 1670. Ebbe un'educazione religiosa-cattolica ma, all'età di sedici anni si convertì al Protestantesimo. Studiò in diverse città, passando per Glasgow ed Edimburgo e, successivamente, a Leida ed Utrecht. Dopo un ciclo di lezioni a Oxford, si stabilì a Londra nel 1695.

L'anno seguente pubblicò la sua prima e più famosa opera – Cristianesimo senza misteri –, un attacco frontale ai falsi culti delle immagini,  paramenti, altari, processioni, rituali e al clero, tutte forme di culto che erano state aggiunte all'originaria e semplice dottrina di Cristo. Nella prima edizione, Toland restò cautamente nell’anonimato. In seguito all'inaspettato successo, legato fortemente allo scandalo provocato, Toland firmò il libro, attirando su di sé una catena di guai e di proteste da cui non si libererà per tutta la vita: il risultato fu che Toland venne via via emarginato dalla società Inglese.

Il suo libro fu duramente criticato, in Inghilterra se ne discusse parecchio fra i membri del Parlamento e fra i vescovi che si sentivano offesi (fu infatti condannato dal Grand Juri del Middlesex). Ritiratosi in Irlanda, Toland vi trovò le stesse critiche, se non maggiori. La Camera Irlandese, nel settembre 1697, stabilì che il libro fosse bruciato pubblicamente e che l'autore venisse arrestato e processato dal Procuratore Generale. Un amico di John Locke, William Molyneaux scrisse:

 

"Quest'uomo disperato, con la suo comportamento incauto, ha sollevato contro di lui una riprovazione così univarsale, che il solo fatto di aver parlato con lui per una sola volta potrebbe esser pernicioso".

 

Ritornando in Inghilterra, solo e povero, Toland cercò di guadagnarsi da vivere trovandosi un protettore della famiglia reale e, per questo, sostenne la causa degli Hannover nei confronti della corona Inglese; tentò inoltre di influire sull'elettrice Sofia di Brunswick, ipotetica erede al trono, del favore della quale godette grazie alla mediazione di Leibniz. A lei sono indirizzate le celebri Lettere a Serena (1704).

 A Brunswick e a Berlino tenne delle letture e fu coinvolto in dispute accademiche con Leibniz stesso.

Quando nel corso delle sue letture gli chiesero di riassumere il suo pensiero egli esordì in questo modo:

 

"Il sole è mio padre, la terra mia madre, il mondo è la mia patria e tutti gli uomini sono miei fratelli".

 

Scrisse,inoltre, dei pamphlets per il Tory Robert Harleye; quando questi perse il potere, lo fece per i Whigs. Nel 1702, Toland dichiarò di appartenere alla Chiesa  d'Inghilterra ma, il suo passato da notorio eretico e le sue disavventure politiche lo rendevano sospetto; ragion per cui  non riuscì mai ad ottenere la fiducia di coloro ai quali aveva chiesto protezione. Il filo conduttore degli scritti di Toland è la difesa della libertà d'espressione, dei diritti civili e di un Cristianesimo illuminato. Il più delle volte, però, era costretto a scrivere trattati a pagamento nei quali non poteva esprimere le sue "vere" opinioni sulla religione. Trascorse il resto della sua vita in povertà e coperto da debiti, rovinato da investimenti nelle azioni dei Mari del Sud nel 1720. Questo fu un anno disgraziato per Toland, poichè iniziò a bere pesantemente ed a soffrire di calcoli biliari che a lungo andare lo portarono alla morte l'anno seguente. 

 

 

IL PENSIERO

 

Poichè Toland doveva il più possibile nascondere il suo panteismo per non suscitare troppi scandali, non è chiaro quando per la prima volta adottò questo tipo di filosofia: forse all'epoca dei suoi primi giorni a Oxford, nel 1693-95. Nel suo ultimo anno lì, egli scrisse che tutte le cose sono riempite da Dio, e citò con entusiasmo l'asserzione di Strabone (Geografia, XVI, 2.25) che Mosè identificava Dio con l'universo:

 

"In accordo con lui, Dio è l'unica e sola cosa che comprende tutti noi e la terra e il mare-tutto ciò che noi chiamiamo cielo, universo, la natura di tutto ciò che esiste".


Toland fu molto influenzato dal materialismo di Lucrezio, di cui lesse con interesse il De rerum natura La seconda e potente influenza esercitata su Toland fu quella del panteismo di Giordano Bruno. Nel 1698 Toland acquistò una copia rilegata della regina Elisabetta di quattro dialoghi di Bruno, e a partire da allora Toland divenne un entusiasta divulgatore delle idee di Bruno sia in Inghilterra che in Europa. Le idee di Toland erano una miscela di quelle di Lucrezio e di quelle di Bruno, non originali in dettaglio, ma originali se combinate insieme. A meno che noi non consideriamo Lucrezio stesso un panteista, è fuor di dubbio che Toland debba essere considerato il padre del panteismo scientifico moderno, il primo a combinare uno stretto materialismo con il rispetto per la scienza dei suoi tempi, con una religiosa venerazione dell'universo. Toland usò per la prima volta il termine “panteismo” nel 1705, senza alcuna spiegazione, nel titolo della sua opera Socinianism Truly Stated, by a pantheist. Nel 1710, in una lettera a Leibniz, egli fornì alcuni contenuti al termine quando affermò esplicitamente che "il panteismo crede che non esista nulla di eterno se non l'universo stesso" [14 febbraio 1710]. Ma solo nel 1720 che Toland chiaramente definì se stesso come panteista. In quell'anno, povero, indebitato, ignoto ai più, non avendo nulla da perdere, pubblicò il suo Pantheisticon, mettendo a punto la filosofia. Anche la pubblicazione del libro fu a suo modo segreta: fu pubblicato in latino, in modo da renderlo accessibile solo alle persone di cultura elevata. Fu stampato a sue spese e distribuito da Toland solo agli amici più fidati. In un'età di libertà di parola e di pluralismo religioso sarebbe troppo semplice considerare questi sotterfugi come segni di viltà: bisogna infatti ricordare che Toland viveva in un'epoca in cui le persecuzioni erano finite da pochissimo (ancora nel 1697 Thomas Aitkenhead era stato brutalmente messo a morte per aver messo in dubbio il dogma della trinità). La persecuzione sociale era ancora diffusa e Toland stesso aveva messo in pericolo la sua carriera con le sue critiche del Cristianesimo convenzionale. In questo suo lavoro Toland asserisce che l'Universo è costituito di sola materia, che contiene entro se stesso il suo proprio principio di movimento. L'Universo è infinito senza centro nè periferia, con un infinito numero di pianeti e stelle. Tutte le cose sono in continuo cambiamento, una "incessante rivoluzione di tutti gli esseri e forme esistenti" alle quali, dato un tempo infinito, tutte le combinazioni si potranno un giorno verificare. La mente umana e l'anima sono proprietà del cervello, che è anch’esso un organo materiale. Toland affermava che i panteisti avrebbero dovuto avere una doppia filosofia, una per uso pubblico e una per uso privato. In pubblico, essi avrebbero dovuto conformarsi alla religione stabilita dalla società nella quale vivevano. "Il Panteista non dovrebbe mai scontrarsi apertamente con la teologia, se da ciò può derivargli un danno", scriveva nel Pantheisticon; e aggiungeva: "ma egualmente egli non dovrà rimanere in silenzio se dovesse avere l'occasione di parlare senza rischiare la vita". Toland non disponeva di nessun piano per diffondere il panteismo fra le masse dei suoi tempi. Le masse ignoranti, egli sosteneva, avrebbero preferito farsi raccontare favole e miti piuttosto che la verità, mentre gli avidi di potere e i corrotti, sia nella Chiesa che nello stato, avrebbero sempre preferito fare i baciapile per conto di una religione formale al fine di ottenerne vantaggi personali. I Panteisti avrebbero dovuto condividere e discutere le loro idee al riparo da orecchie indiscrete, in ritrovi esclusivi solo per persone colte. Ogni club avrebbe dovuto avere un presidente che avrebbe dovuto essere a capo delle liturgie. I membri avrebbero dovuto essere morigerati da tutti i punti di vista e intrattenere seri dibattiti sulle loro opinioni. D'estate, avrebbero dovuto pranzare all'aria aperta, d'inverno ai raggi del sole o di fronte a un fuoco scoppiettante. La liturgia che Toland offriva era una pittoresca e malinconica combinazione di un breve credo, lodi degli antichi filosofi, la recita di odi di Orazio e frasi tratte da opere di Catone e Cicerone. L'inizio della cerimonia si svolgeva in modo alquanto comico, fra scene da romanzo di cappa e spada e alta filosofia. Sembra molto probabile che Toland non abbia mai organizzato una società specificamente panteista del tipo che egli ha descritto. Anche nel Pantheisticon stesso, egli lascia trasparire dei riferimenti a ciò:

 

"La gente mi può chiedere se davvero possa esistere una società come questa, o se è solo una finzione. Può anche darsi che sia così, ma se anche così fosse, cosa importa? Se anche non è vero, come minimo può essere di aiuto il solo pensare che così potrebbe essere".

 

 

Abbiamo già accennato a come, il recupero del panteismo, coincida in Toland con la critica del Cristianesimo e si traduca in un deismo panteistico e critico, che rigetta il dogma del miracolo, la separazione della morale dalla religione, la riconduzione del nucleo religioso alla “verità rivelata”. Seguace della Ragionevolezza del Cristianesimo di Locke (il quale però rifiutò tale paternità spirituale), anche Toland, in sintonia con gli altri deisti inglesi (Collins, Tindal, ecc) si propone di ricondurre la religione ai dettami della ragione, epurandola da ogni aspetto che non si accordi con la ragione stessa. La tesi della “ragionevolezza del Cristianesimo” era usata da Locke in funzione apologetica: ora, Toland la usa invece in funzione polemica, ritenendo che sia necessario eliminare dalla Scrittura tutto quel che è irriducibile alla ragione, tutto ciò che è misterioso. Non esistono verità “al di sopra della ragione” che non siano anche “contrarie alla ragione”. 

Ecco perché, in Cristianesimo senza misteri, egli critica la nozione di mistero inteso come realtà ultima che va al di là delle specie sensibili e conoscibili dalla ragione umana: egli recupera la distinzione lockeana tra “essenza nominale” (semplice sintesi, perfettamente conoscibile, delle qualità sensibili di una cosa) ed “essenza reale” (la sostanza che sta sotto alle qualità sensibili come loro principio metafisico). Quando si parla di misteri, dice Toland, ci si riferisce all’ “essenza reale”, che però sfugge sempre alla presa della ragione umana, la quale può conoscere solo le proprietà delle cose e mai la sostanza. Ma poiché è sufficiente conoscere le proprietà per avere una conoscenza adeguata (che fornisca cioè indicazioni pratiche senza per questo essere onnicomprensiva), ne segue che la rinuncia alla comprensione della sostanza delle cose si traduce in abbandono del concetto di mistero.    

Toland sviluppa anche un nuovo criterio di esegesi biblica, individuando i due piani sui quali deve poggiare una corretta interpretazione delle Scritture: quello filosofico, che consente di mettere il Testo Sacro in relazione con la razionalità umana, e quello storico, legato, in particolare, alla conoscenza dei documenti e della tradizione della religione ebraica. A tal proposito, così scrive Toland:

 

Chiunque fa una rivelazione, cioè chiunque ci informa di qualcosa che non sapevamo prima, deve parlare con parole comprensibili, e il fatto deve essere possibile. Questa regola si mantiene valida sia che l’autore della rivelazione sia Dio o l’uomo. Se consideriamo folle la persona che esige il nostro assenso a ciò che è evidentemente incredibile, come osiamo attribuire in modo sacrilego all’essere piú perfetto un difetto riconosciuto come tale in uno di noi? Per quanto riguarda i messaggi incomprensibili, non possiamo credervi per rivelazione divina, piú che per quella umana; infatti le idee che si formano delle cose sono i soli oggetti degli atti di credere, negare e approvare, e di ogni altra attività dell’intelletto: perciò tutte le cose rivelate da Dio o dall’uomo devono essere ugualmente comprensibili e possibili; e fin qui l’una e l’altra rivelazione coincidono. Ma esse sono differenti in questo, che per quanto la rivelazione dell’uomo presenti tali requisiti, egli può tuttavia ingannarmi riguardo alla verità del fatto, mentre ciò che a Dio piace di rivelarmi non è soltanto chiaro alla mia ragione (senza di che la sua rivelazione non potrebbe rendermi piú saggio), ma è anche sempre vero. Una persona ad esempio mi informa di aver trovato un tesoro: questo è chiaro e possibile, ma egli può facilmente ingannarmi. Dio mi assicura che ha formato l’uomo dalla terra: questo non soltanto è possibile a Dio, e molto comprensibile per me, ma è anche una cosa assolutamente certa, poiché Dio non è capace di ingannarmi come l’uomo. Dobbiamo dunque aspettarci lo stesso grado di chiarezza da parte di Dio e dell’uomo, ma una maggiore certezza da parte del primo che del secondo” (Cristianesimo senza misteri, Sez. II, Cap.II).



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