ANTONIO NEGRI

 

 

A cura di Mai Saroh Tassinari e Diego Fusaro

 

 

"Siete soltanto un mucchio di anarchici, ci dirà qualche nuovo Platone. Ma non è vero. Saremmo degli anarchici (come Trasimaco e Callicle, gli immortali interlocutori di Platone) se non ragionassimo dal punto di vista della materialità costituita nelle reti della cooperazione produttiva – o, in altre parole, se non ragionassimo dalla prospettiva di un’umanità che si costituisce produttivamente attraverso il ‘nome comune’ della libertà. No, non siamo anarchici, siamo comunisti che hanno visto in quale misura la repressione e la distruzione dell’umanità siano state portate avanti dai big government socialisti e liberali. E abbiamo anche visto come tutto ciò venga ora riesumato nel governo imperiale, nel momento in cui i circuiti della cooperazione produttiva hanno reso la forza lavoro nel suo complesso capace di autocostituirsi in governo" (Impero, p. 325).


 

 

TONY NEGRIAntonio (Tony) Negri, nato a Padova nel 1933, è stato uno dei soci fondatori di “Potere Operaio” e, successivamente, del gruppo Autonomia. Ha lavorato al fianco di molti altri autonomisti famosi, studenti e femministe degli anni 60 e 70, inclusi Raniero Panzieri, Mario Tronti, Sergio Bologna, Romano Alquati, Mariarosa Dalla Costa e François Berardi. Inoltre, ha scritto per Futur Antérieur con persone del calibro di Paolo Virno.

Meglio conosciuto come il co-autore, con Michael Hardt, di Impero (Rizzoli, Milano 2002), Negri è libero (ma non gli è permesso di prendere parte alle elezioni, né di insegnare) dalla primavera del 2003, dopo aver trascorso un periodo in carcere per propositi criminosi, con l’accusa che egli e i suoi scritti fossero ‘moralmente colpevoli’ in atti di violenza che erano causati dal suo sostegno all’ ‘insurrezione armata’ contro lo stato italiano durante gli anni 60 e 70. Nel 1997, Negri è ritornato volontariamente da un esilio di quattordici anni in Francia, dopo essere stato eletto nel 1983 al corpo legislativo, mentre veniva imprigionato e poi rilasciato per immunità parlamentare.

Le sue opere prolifiche, iconoclastiche, cosmopolite, altamente originali e spesso di densa e difficile filosofia tentano di attuare una critica nei confronti della maggior parte dei principali movimenti intellettuali degli ultimi cinquant’anni, in difesa di una nuova analisi marxista del capitalismo. La polemica tesi di Impero, secondo la quale la globalizzazione e l’informatizzazione dei mercati mondiali a partire dalla fine degli anni 60 hanno prodotto uno sviluppo storico mai visto prima – ciò che egli chiama “la vera sottomissione dell’esistenza sociale per opera del capitale” – tocca in maniera piuttosto diretta un numero di temi collegati alla Società dell’Informazione, alla Network Economy e alla globalizzazione, che forse possono spiegare il grado relativamente alto di interesse che hanno attratto quando il libro è stato pubblicato nel 2000.

Impero, che come sottotitolo recita Il nuovo ordine della globalizzazione, è diventato sempre più influente col passare degli anni e ha ispirato molti progetti in tutto il mondo. Alcuni di questi includono i no-borders, Libre Society, KEIN.ORG, NEURO-Networking Europe, D-A-S-H e molti altri.

Il seguito di Impero, Moltitudine, è stato pubblicato nell’agosto 2004: in esso, Negri recupera molti punti trattati soprattutto quando s’era accostato al pensiero di Spinoza (L’anomalia selvaggia, 1991; Spinoza sovversivo, 1992; Democrazia ed eternità in Spinoza, 1995); nella sua lettura, il filosofo veneto stringe il pensiero spinoziano in un rapporto unitario di produzione-costituzione. Il problema che Spinoza pone è, per Negri, quello della rottura della unidimensionalità dello sviluppo capitalistico e dell'istituzione del suo potere. L'opera di Spinoza è la definizione di un progetto rivoluzionario che attraversa il moderno, nell'ontologia, nella scienza, nella politica. L'immaginazione produttiva è potenza etica: Spinoza la descrive come una facoltà che presiede alla costruzione e allo sviluppo della libertà, che sostiene la storia della liberazione. Essere vuol sempre dire essere partecipi della moltitudine. La nostra esistenza è sempre, in sé, comune. Spinoza insegna che vivere è la selvaggia scoperta di sempre nuovi territori dell'essere, territori costituiti dall'intelligenza, dalla volontà etica, dal piacere dell'innovazione, dallo slargarsi del desiderio, mostra la vita come sovversione - è questo il senso dello spinozismo quale Negri lo intende.

Forse la sintesi più significativa del progetto filosofico di Negri è quella del critico neoliberale John Reilly, che definisce Impero “una congiura postmoderna per abbattere la Città di Dio.”

In effetti, l’adesione di Negri, nei primi anni Cinquanta, al movimento dei cattolici lavoratori e alla teologia liberale sembra aver lasciato un marchio indelebile nel suo pensiero: una delle sue opere più recenti, Il tempo per la rivoluzione (2003), riguarda soprattutto temi tratti da Agostino di Ippona e Baruch Spinoza, e può essere descritto come un tentativo di trovare la Città di Dio senza l’aiuto delle ‘illusioni trascendentali’ e della ‘teologia di Potere’, che egli trova in pensatori come Martin Heidegger e John Maynard Keynes, ampliando e tentando di correggere la critica dell’ideologia in quanto falsa coscienza esposta da Karl Marx.

Tra le tematiche centrali di Negri ci sono il marxismo, l’anti-globalizzazione, l’anti-capitalismo, il postmodernismo, il neoliberalismo, la democrazia, la proprietà comune e le masse. Anche se riconosce l’influenza di Michel Foucault, de La condizione della Postmodernità (1989) di David Harvey, de Il postmodernismo o la cultura logica del tardo capitalismo (1991) di Fredric Jameson e de L’anti-edipo: schizofrenia e capitalismo di Gilles Deleuze e Felix Guattari, in generale Negri ha una considerazione molto scarsa nei confronti del postmodernismo, di cui il solo merito, secondo lui, è quello di essere stato un sintomo della transizione storica le cui dinamiche egli stesso e Hardt hanno cercato di spiegare in Impero. Il mondo sorto dopo il crollo del blocco sovietico è, secondo Negri e Hardt, il mondo del libero mercato che ha travolto le frontiere dei vecchi stati-nazione: la sovranità è passata a una nuova entità, l'Impero, che non accetta limiti né confini, non ha centro né periferie, vuole controllare tutti gli aspetti del corpo e della mente, superare la storia e porsi come la fonte della pace, della legittimità, della giustizia. L'Impero, come lo stato romano secondo Polibio, è una sintesi delle tre fondamentali forme di governo: la monarchia è impersonata in primo luogo dal monopolio della forza militare da parte degli Stati Uniti, e poi dal potere politico delle nazioni del G8, da agenzie militari come la Nato, dagli organismi di controllo dei flussi finanziari come la Banca mondiale o il Fondo monetario. L'aristocrazia è quella del denaro: le grandi multinazionali che organizzano la produzione e la distribuzione dei beni, e in generale i detentori del potere economico. La democrazia è costituita dagli organismi che tutelano gli interessi popolari: le organizzazioni non governative, non-profit, per la difesa dei diritti umani sono i moderni tribuni della plebe. E alla moltitudine - l'incarnazione postmoderna del popolo, cioé gli individui che vivono nel mercato globale, ne subiscono le ineguaglianze, sono espropriati del loro lavoro, anzi della loro vita - si aprono gli spazi per una rivoluzione dell'ordine mondiale. Dopo alcune premesse di tipo generale, il saggio si articola in quattro parti e un "Intermezzo" dal titolo suggestivo, "Il controImpero". Se la prima sezione ha come tematica su cui poggiare l'analisi "La costituzione politica del presente", la seconda esamina i "Passaggi di sovranità" e prende in considerazione Europa e Stati Uniti, mentre nella terza il tema è prevalentemente economico, titolo della sezione è appunto, "Passaggi di produzione". La quarta e ultima parte è particolarmente coinvolgente e merita approfondite riflessioni, trattando appunto non solo del presente, quanto di quello che sta germinando del prossimo futuro sia come possibili contromisure che come progetto. Ed è proprio questa parte che vede numerose consonanze con l'elaborazione teorica di quello che è ormai universalmente definito "il popolo di Seattle", nuovo soggetto politico di cui non è più possibile non tenere conto. È questa la visione di "Impero", il libro di Michael Hardt e Antonio Negri che è stato salutato dai giornali americani, inglesi, francesi come il più importante tentativo di interpretazione della nostra epoca, addirittura accostato al Capitale di Marx, la 'grande idea' che dominerà la scena culturale del decennio. È una profonda riflessione teorica, fondata sugli strumenti d'indagine di molte discipline, dalla filosofia alla storia, dall'economia all'antropologia, dalla sociologia alla politica alla storia delle idee. È analisi del presente, storia del passato e utopia rivolta al futuro. Ma che cosa intende esattamente Negri quando parla di Impero, di questo “nuovo soggetto politico che regola gli scambi mondiali, il potere sovrano che governa il mondo”? Col crollo dell’Unione Sovietica, come abbiamo detto, è venuta meno la dicotomia che aveva caratterizzato la situazione politica mondiale del dopoguerra e che aveva trovato espressione nella “Guerra fredda”: all’idea dei due “blocchi” contrapposti in una guerra imminente ma mai combattuta, salvo nei “punti caldi” (Korea, Vietnam, ecc), si è allora sostituita l’idea di un unico grande Impero, rizomatico e dotato di innumerevoli gangli più che di una sola testa; un Impero che, profilandosi come una “nuova forma di sovranità globale”, assorbe ogni angolo del mondo entro i suoi confini in espansione: alla vecchia distinzione tra Paesi allineati con un blocco anziché con l’altro, si sostituisce quella tra ciò che è interno all’Impero e ciò che ancora non lo è e che, pertanto, è combattuto come un nemico pericoloso perché non ancora riassorbito. Di per sé, tuttavia, l’Impero non deve essere visto come il male assoluto: non diversamente da quel che scriveva Marx nel Manifesto a proposito della borghesia, Negri e Hardt scrivono che l’Impero è sicuramente “meglio di ciò che l’ha preceduto” (p. 56), nella misura in cui esso spazza via “i crudeli regimi del potere moderno” e incrementa “i potenziali di liberazione” (p. 56). Nella prefazione all’opera, Negri spiega l’inconfutabile realtà dell’Impero:

 

“L'impero si sta materializzando proprio sotto i nostri occhi. Nel corso degli ultimi decenni, con la fine dei regimi coloniali e, ancora più rapidamente, in seguito al crollo dell'Unione Sovietica e delle barriere da essa opposte al mercato mondiale capitalistico, abbiamo assistito a un'irresistibile e irreversibile globalizzazione degli scambi economici e culturali. Assieme al mercato mondiale e ai circuiti globali della produzione sono emersi un nuovo ordine globale, una nuova logica e una nuova struttura di potere: in breve, una nuova forma di sovranità”.

 

Chiarita la realtà fattuale dell’Impero, Negri ne esamina da vicino il concetto:

 

Il concetto di Impero è caratterizzato, soprattutto, dalla mancanza di confini: il potere dell'Impero non ha limiti. In primo luogo, allora, il concetto di Impero indica un regime che di fatto si estende all'intero pianeta, o che dirige l'intero mondo «civilizzato». Nessun confine territoriale limita il suo regno. In secondo luogo, il concetto di Impero non rimanda a un regime storicamente determinato che trae la propria origine da una conquista ma, piuttosto, a un ordine che, sospendendo la storia, cristalizza l'ordine attuale delle cose per l'eternità”.

 

E Negri precisa che l’impero non dev’essere confuso con l’imperialismo:

 

“L'Impero emerge al crepuscolo della sovranità europea. Al contrario dell'imperialismo, l'impero non stabilisce alcun centro di potere e non poggia su confini e barriere fisse. Si tratta di un apparato di potere decentrato e deterritorializzante che progressivamente incorpora l'intero spazio mondiale all'interno delle sue frontiere aperte e in continua espansione. L'Impero amministra delle identità ibride, delle gerarchie flessibili e degli scambi plurali modulando reti di comando. I singoli colori nazionali della carta imperialista del mondo sono stati mescolati in un arcobaleno globale e imperiale”.

 

Contro questa forma di dominio sempre più assoluta e onnifagocitante si muove non più la sola classe operaia (come pensava un tempo Marx), bensì poteri alternativi, forze di resistenza, in particolare la “moltitudine”, eco postmoderna dell’antagonismo tipico della modernità: il popolo. In questo senso la filosofia torna con Negri ad essere intesa come prassi, come “proposizione soggettiva, desiderio e prassi che si applicano all’evento” (p. 60). Impero si chiude appunto con una suggestiva descrizione della prassi del rivoluzionario che lotta contro l’Impero e che Negri accosta a San Francesco, giacchè come il frate umbro deve identificarsi “nella condizione comune della moltitudine” e impegnarsi per “contrapporre la gioia di essere alla miseria del potere”.    

 

 

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