JOSEPH DE MAISTRE

INDICE
INTRODUZIONE AL PENSIERO
BRANI ANTOLOGICI
COMMENTO DEL PENSIERO


INTRODUZIONE AL PENSIERO

DE MAISTREJoseph-Marie de Maistre nacque a Chambery nel 1753 e ben presto entrò nella massoneria e fu al servizio della monarchia sabauda, che nel 1802 lo mandò in veste di plenipotenziario a Pietroburgo al cospetto dello zar Alessandro. Vi rimase fino al 1817, allorché – per via di forti dissensi con lo zar – venne richiamato a Torino, città in cui, l’anno seguente, fu nominato reggente della Grande Cancelleria del Regno. Le sue opere più importanti sono Sulla sovranità del popolo (1794) – rimasta incompiuta -, le Considerazioni sulla Francia (pubblicate anonime nel 1796), il Saggio sul principio generatore delle costituzioni politiche e delle altre costituzioni (pubblicato senza che de Maistre lo sapesse nel 1814, a Parigi, da Louis de Bonald), Sul papa (1819), le Serate di San Pietroburgo (uscite nel 1821, poco dopo la morte dell’autore). Le travolgenti vicende della Rivoluzione francese paiono a Maistre come la più evidente conferma dell’agire della Provvidenza: da un lato, esse sembrano il meritato castigo per una nobiltà e un clero corrotti e, dall’altro lato, paiono la dimostrazione più lampante che la Provvidenza si serve degli uomini (anche dei giacobini) come strumenti per realizzare i propri fini imperscrutabili. La convinzione di fondo che percorre l’intera riflessione di Maistre è infatti che gli uomini non siano padroni delle proprie vicende e dei propri accadimenti: ciò pare del resto incontrovertibilmente provato dal fatto che, quando al Rivoluzione raggiunse l’apice della tirannide, ci volle poco per rovesciarla; il XVIII secolo si è presentato come rivolta contro Dio, il quale ha punito questo efferato delitto ritirandosi dalla storia, lasciando fare agli uomini. Proprio in virtù di ciò "il mondo andò in frantumi", dice Maistre. L’imperdonabile errore commesso dalla filosofia moderna sta nel ritenere che tutto sia bene, mentre in realtà l’uomo è profondamente segnato dalla colpa del peccato originale e, in forza di ciò, nel mondo, dove ogni cosa è stravolta, v’è soltanto violenza, crudeltà, efferatezza, cosicché anche gli innocenti finiscono col pagare per i colpevoli. Nelle Serate di San Pietroburgo Maistre torna con rinnovato interesse sul problema del male e del dolore, asserendo che il vero male – quello di natura morale – è imputabile esclusivamente all’uomo, il quale impiega in maniera distorta la propria libertà, mentre il male fisico non è che la conseguenza di tale colpa. E’ soltanto il sacrificio a poter espiare le colpe di cui l’umanità si è macchiata, in primis il sacrificio di Cristo, ma poi anche quello degli innocenti che si fanno carico delle colpe e soffrono anche per i colpevoli. L’agire di Dio (che è l’unico e autentico padrone della storia) può apparire dispotico e crudele, ma ciò dipende solamente dalle colpe degli uomini, che rivendicano per se stessi una libertà assoluta. Maistre, in perfetta sintonia con Bonald, attacca duramente le teorie contrattualistiche e le vane pretese di creare una società nuova, tutte pretese chimeriche della dilagante mentalità illuministica e dei rivoluzionari, che confidavano esclusivamente nella ragion umana. La conclusione cui Maistre addiviene è che "il più grande flagello dell’universo è sempre stato in tutti i secoli ciò che chiamiamo filosofia", ovvero l’umana ragione che agisce autonomamente e – presa da orgoglio – senza accompagnarsi alla fede, giungendo per tale via ad esiti esclusivamente distruttivi. Ne segue, allora, che la costituzione politica non può né deve essere opera dell’uomo e assumere artificiosamente una codificazione scritta, giacché l’uomo non può creare nulla e ciò vale non solo sul piano naturale, ma anche su quello morale e politico. La costituzione è, al contrario, il modo di esistere che un potere superiore (cioè divino) assegna a ciascuna nazione, cosicché il potere non può essere del popolo e l’unico modo di ricostruire la vera sovranità dipende da un potere unico e assoluto. La legge, infatti, è realmente tale se e solo se emana da una volontà superiore, non dalla volontà di tutti o dei più. Sicché la forma naturale di governo (quella che rispecchia il volere divino) è la monarchia, ove al potere del monarca non si possono porre limiti di alcun tipo. In antitesi con quel che credevano i rivoluzionari, il re può essere ucciso ma non legittimamente giudicato. Conseguentemente, la monarchia ereditaria, finalizzata a perpetuare il potere unico e assoluto, è la forma di governo avente la massima stabilità e il massimo vigore. Nell’opera Sul papa, Maistre accentua esponenzialmente la dimensione teocratica del suo pensiero, arrivando a sostenere l’urgente necessità di ripristinare il primato e la funzione universale che il papato aveva avuto nel Medioevo, in quanto unico potere superiore e infallibile, in grado di impedire alle monarchie stesse di degenerare in tirannidi e di ricostruire l’unità che è bene (di contro alla divisione, che è sempre male). Allo scritto Sul papa (pubblicato nel 1819, in pieno clima di restaurazione) arrise grande successo, a tal punto da avere cinquanta edizioni nel corso del XIX secolo: di fronte allo spettacolo della carneficina prodotta dalla Rivoluzione francese e, più in generale, dalla storia, paragonata a un immenso "mattatoio" (Hegel stesso ricorre a questo paragone), quand’è affidata alla sola ragione umana, Maistre presenta come unico salvifico rimedio il ripristino di un’autentica autorità indivisa, al di sopra dei monarchi stessi: il papa. Senza il papa, il cristianesimo stesso si riduce ad una credenza fra le tante, priva di potenza: il papa serve per mantenere l’unità della cristianità, anche nelle zone più periferiche. Non a caso Maistre lo paragona al Sole nel sistema dei pianeti, che tutto illumina e tutto alimenta: è "il grande demiurgo della civiltà universale", in cui l’autorità spirituale infallibile e la sovranità temporale fanno tutt’uno. Una pari importanza alla figura del papa in sede politica sarà ammessa anche da Vincenzo Gioberti (anch’egli operante a Torino), che - nel 1842 – con lo scritto sul Primato civile e morale degli italiani prospetta come soluzione della questione italiana una confederazione di Stati, governati ciascuno dal proprio principe, sotto la guida morale del papa (il neoguelfismo): "l'opera del risorgimento é opera di educazione, bisogna promuovere un'altissima aspirazione idealistica, un ritorno alle tradizioni e ai valori, che in Italia sono quelli del cattolicesimo,  ristabilire  il dominio di quell'Idea, che in Italia sede del papato, ha la sua naturale dimora".



BRANI ANTOLOGICI

Il potere dev’essere assoluto

Contro la concezione democratica del potere fondato sulla volontà del popolo, Joseph de Maistre ripropone la teoria del potere che viene da Dio, e in quanto tale assoluto e infallibile. Si noti la vicinanza con la dottrina di Hobbes: il potere deve essere assoluto o non può esistere.

[J. de Maistre, Del papa]

"Che non si è mai detto dell’infallibilità considerata sotto l’aspetto teologico!

Sarebbe difficile aggiunger nuovi argomenti a quelli che i difensori di quest’alta prerogativa hanno accumulato per appoggiarla sopra autorità incrollabili, e levarle d’attorno i fantasmi di cui l’han cinta i nemici del cristianesimo e dell’unità, nella speranza di renderla, se non altro, per lo meno odiosa.

Ma io non so se per questa grande questione, come per tante altre, sia stato abbastanza notato che le verità teologiche sono semplicemente delle verità generali, manifestate e divinizzate sul piano religioso, di modo che non si potrebbe assalirne una senza assalire anche una legge mondiale.

L’infallibilità nell’ordine spirituale, e la sovranità nell’ordine temporale, sono due parole perfettamente sinonime. L’una e l’altra esprimono quell’alto potere che ad ogni altro impera, da cui ogni altro deriva, che governa e non è governato, giudica e non è giudicato.

Quando noi diciamo che la Chiesa è infallibile, non chiediamo per essa – è essenzialissimo osservarlo – nessun privilegio particolare; chiediamo soltanto ch’ella goda del diritto comune a tutte le sovranità possibili, le quali agiscono tutte necessariamente come infallibili; perché tutti i governi sono assoluti; e non esisterebbero piú, quando si potesse loro resistere sotto pretesto d’errore o d’ingiustizia. [...]

Lo stesso è per la Chiesa; in un modo o in un altro bisogna che sia governata, come qualunque altra associazione; altrimenti non vi sarebbe piú aggregazione, non insieme, non unità. Questo governo è dunque di sua natura infallibile, ossia assoluto, senza di che non governerebbe piú.

Nell’ordine giudiziario, che è una delle parti del governo, non è fuor di dubbio che bisogna assolutamente giungere a un potere che giudica e non è giudicato, precisamente perché sentenzia in nome del potere supremo di cui è ritenuto organo e voce?"

Le origini divine delle costituzioni

Joseph de Maistre paragona la critica di Cicerone alla dottrina atomistica di Epicuro con la sua critica all’idea, propria dei rivoluzionari, che le costituzioni possano essere scritte a priori, astrattamente.

[J. de Maistre, Saggio sul principio generatore delle costituzioni politiche]

"Notissimo è il paragone di Cicerone a proposito del sistema di Epicuro per il quale il mondo si costruisce con gli atomi che precipitano a caso nel vuoto. Sarebbe piú facile farmi credere, diceva il grande oratore, che lettere gettate in aria possano, cadendo, disporsi in modo da formare un poema. Migliaia di volte si è ripetuto e celebrato questo pensiero; ma nessuno ha pensato di completarlo come esso esige. Supponiamo che caratteri di stampa gettati a piene mani dall’alto di una torre formino in terra l’Athalie di Racine; che cosa ne deriverà? Che una intelligenza ha presieduto alla caduta ed alla disposizione dei caratteri. Il buon senso non concluderà mai diversamente [...]

La costituzione è opera delle circostanze, ed il numero delle circostanze è infinito. Le leggi romane, le leggi ecclesiastiche, le leggi feudali, i costumi sassoni, normanni e danesi; i privilegi, i pregiudizi e le pretese di ogni genere, le guerre, le rivoluzioni, le conquiste, le crociate; tutte le virtú, tutti i vizi, tutte le conoscenze, tutti gli errori, tutte le passioni: tutti questi elementi, dunque confluendo insieme a formare con la loro mescolanza e reciproca unione combinazioni moltiplicate indefinitamente, hanno prodotto, dopo molti secoli, l’unità piú complessa ed il piú bell’equilibrio di forze politiche che si sia visto nel mondo [...]

Ora, poiché questi elementi proiettati nello spazio si sono disposti in cosí bell’ordine, senza che tra l’innumerevole folla di uomini che hanno agito in questo vasto campo, uno soltanto abbia mai saputo ciò che faceva in rapporto al tutto, o previsto ciò che ne doveva conseguire, ne deriva che questi elementi erano guidati nella loro caduta da una mano infallibile, superiore all’uomo. La piú grande follia del secolo delle follie fu forse il credere che le leggi fondamentali potessero essere scritte a priori; mentre evidentemente sono opera di una forza superiore all’umana, e la stessa scrittura, molto posteriore, è, al paragone. il segno piú evidente della nostra negatività".

La dignità del latino

Secondo Joseph de Maistre la grandezza della lingua latina è data dalla sua storia. I Romani le hanno impresso il senso della maestà. Essa poi è stata usata per civilizzare i barbari. Infine i grandi scienziati l’hanno usata per scrivere le loro opere.

[J. de Maistre, Saggio sul principio generatore delle costituzioni politiche]

"Niente uguaglia la dignità della lingua latina. Fu parlata dal popolo-re, il quale le impresse quel marchio di grandezza unico nella storia del linguaggio umano, che nessuna lingua, neppure la piú perfetta, è mai riuscita a conquistare. Il termine di maestà appartiene al latino. La Grecia l’ignora; ed è soltanto per la maestà che essa rimase inferiore a Roma, nelle lettere come sui campi di battaglia. Nata per comandare, questa lingua comanda ancora nei libri di coloro che la parlarono. È la lingua dei conquistatori romani e dei missionari della Chiesa romana: uomini che differiscono soltanto per lo scopo ed il risultato della loro azione. Per i primi si trattava di asservire, umiliare, sconvolgere il genere umano; i secondi venivano ad illuminarlo, risanarlo, salvarlo; ma si trattava sempre di vincere e di conquistare e, da una parte e dall’altra, si trova la stessa potenza. [...]

È la lingua della civiltà. Mescolata a quella dei nostri padri, i Barbari, ha saputo affinare, ingentilire e, per cosí dire, spiritualizzare quei rozzi idiomi che soltanto cosí sono diventati quel che vediamo. Forti di questa lingua, gli inviati del Pontefice romano andarono incontro a quei popoli che piú non li avvicinavano. Dal giorno del loro battesimo, costoro non l’hanno piú dimenticata. Si dia uno sguardo a un mappamondo; la linea d’arresto di questa lingua universale segna i confini della civiltà e della fraternità europea; al di là troverete soltanto quella parentela umana che si trova fortunatamente dovunque. Il segno distintivo dello spirito europeo è la lingua latina. [...]

Dopo essere stato lo strumento della civiltà, mancava al latino un solo genere di gloria, e lo conquistò, quando maturò il momento, divenendo la lingua della scienza. I geni creatori l’adottarono per comunicare al mondo i loro grandi pensieri. Copernico, Keplero, Descartes, Newton e cento altri ancora, importantissimi anche se meno celebri, hanno scritto in latino. Una enorme quantità di storici, pubblicisti, teologi, medici, antiquari, ecc., inondarono l’Europa di opere latine di ogni genere. Piacevoli poeti, letterati di prim’ordine restituirono alla lingua di Roma le antiche forme e la riportarono ad un grado di perfezione che non cessa di stupire gli uomini che paragonano i nuovi scrittori ai loro modelli. Tutte le altre lingue, per quanto studiate ed intese, tacciono tuttavia nei monumenti antichi, probabilmente per sempre.

Sola tra tutte le lingue morte, quella di Roma è veramente risuscitata; e, simile a colui che celebra dopo venti secoli, una volta risuscitata, non morirà piú".


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