JOSEPH DE MAISTRE: commento del pensiero

A cura di Carlo Galli

Laureatosi in giurisprudenza a Torino, poi membro della magistratura del suo paese natale, Joseph de Maistre (1753-1821) è in gioventù massone, adepto di una loggia legata all'esoterismo martinista; saluta con un certo favore le prime fasi della Rivoluzione francese, fin tanto che questa gli pare consistere nella richiesta di una costituzione moderata di tipo inglese, ma dopo la proclamazione dei diritti dell'uomo assume verso di essa atteggiamenti di radicale ostilità; quando le truppe francesi invadono la Savoia nel 1792, fugge in esilio in Svizzera, dove scrive le Lettres d'un royaliste savoisien (1793) e dove pubblica le Considérations sur la France (1796). Serve poi l'amministrazione savoiarda in Sardegna, e come plenipotenziario a Pietroburgo, fino al 1817. Per comprendere il fenomeno rivoluzionario Maistre elabora una teoria ampia e articolata, anche se non sistematica, della politica, della religione, e dei rapporti fra ordine, natura, storia, legittimità del potere, così che la sua interpretazione della Rivoluzione non può essere disgiunta dall'esame, anche se sommario, di buona parte della sua prestazione teorica, che dalla Rivoluzione è condizionata almeno quanto a genesi polemica. Fin dai primi scritti dell'esilio - e particolarmente nelle Considerazioni, che ebbero una certa notorietà - l'interpretazione maistriana della Rivoluzione è completa, convinta e pienamente articolata: la produzione successiva non porterà, al riguardo, che variazioni marginali, o approfondimenti nella direzione di una teoria generale della politica e della storia. Nelle Considerazioni si afferma infatti che "la rivoluzione francese, senza dubbio, ha percorso un cammino i cui momenti non si somigliano tutti; però, nel fondo, la sua natura non è mai cambiata, e fin dalla culla ha mostrato tutto quel che sarebbe stata"; a partire dall'abolizione dei privilegi cetuali, attraverso la Dichiarazione dei diritti dell'uomo, la proclamazione della repubblica, il regicidio e il Terrore, fino alla fase termidoriana e direttoriale (il colpo di Stato del 27 luglio 1794 consiste, secondo l'autore, solo in questo, che "alcuni scellerati hanno ucciso altri scellerati") per giungere - negli scritti più tardi - a tutto il periodo napoleonico, non si tratta per Maistre che di un'unica catena di crimini, di un'unica strutturale instabilità istituzionale, storica, morale, che al di là delle analisi differenziate, legate alla concretezza degli sviluppi effettuali, ha un'unica origine ed un'unica spiegazione.
E’ convinzione di Maistre che non ci possa essere discontinuità fra teoria e prassi; ciò lo porta a sostenere che un ordine politico sussiste solo grazie a fondamenti metafisici, e che, ove questi siano corrotti, ne risulta immediatamente corrotta anche la dimensione concreta della politica (emerge qui il cosciente rifiuto maistriano della moderna separazione di morale e potere, di religione e politica). Gli antecedenti della Rivoluzione stanno quindi per Maistre nella dimensione religiosa e metafisica, cioè nell'incontro fra l'antica tradizione dell'ateismo scettico e il razionalismo rivoluzionario di origine protestante; quell'incontro ha dato origine ad una filosofia - il razionalismo illuministico e individualistico - radicalmente erronea tanto sul piano teorico quanto nelle sue conseguenze politiche Queste sono l'assolutismo ma anche il contrattualismo e le teorie della sovranità popolare e della rivoluzione che Maistre pone in reciproca continuità, al di là delle loro apparenti e transitorie opposizioni: infatti, l'antica costituzione del regno francese e la tradizionale struttura cetuale dell'ordinamento politico - particolarmente le sue "colonne", il clero e la nobiltà - sono state, secondo Maistre, poste in crisi tanto dall'azione del potere regio fattosi assoluto e razionalistico quanto dall' azione prima teorica e poi pratica dei philosophes e della loro ragione libertina e atea: la Rivoluzione sopravviene quindi, per lui, in un paese già corrotto, come compimento di un progetto di lunga data, il progetto moderno.
Il nucleo della modernità è individuato da Maistre nella volontà di uscire dallo stato di natura attraverso l'uso autonomo e individualistico della ragione, cioè nello sforzo di ricreare l'uomo ex novo e di negare quindi i principi naturali dell'ordine sociale. Questi, secondo Maistre, consistono in primo luogo nella relazione fondativa, immediata e diretta, fra trascendenza e potere politico, e nella conseguente impossibilità, per la ragione umana, di creare una stabile forma politica al di fuori di quella sanzionata dalla religione. Quest'ultima ha per lui il ruolo di confermare e di legittimare il fatto che le leggi dell'ordine politico sono naturali, in quanto create, volute e mantenute da Dio, almeno per l'essenziale, cioè per la subordinazione degli uomini ad un potere a cui non si può richiedere di esibire una legittimazione razionale nel senso moderno (ma è da notare che Maistre non intende per nulla elaborare una filosofia politica irrazionalistica: la ragione ha per lui il compito di riconoscere la struttura " autentica" del reale).
Sulla base del presupposto che l'ordine politico è metafisicamente fondato e che l'uomo non può crearne i fondamenti, Maistre si oppone quindi alla dicotomia moderna natura/artificio ed alle relative teorie individualistiche e contrattualistiche. L'uomo moderno è così da Maistre elevato a protagonista, almeno negativo, dell'evento rivoluzionario e dei suoi antecedenti: è opera sua quella rivendicazione di libertà individuale che - inappagata nello Stato assoluto, che tuttavia la prepara - è all'origine della rivoluzione e del suo disordine radicale; questa, infatti, sovverte la naturale costituzione morale (con la pretesa centralità del soggetto e della sua ragione), economica (e a questo riguardo Maistre condanna la pratica degli assegnati, come distruttrice del buon diritto antico e come frutto di uno spirito puramente possessivo) e politica (come è testimoniato dal vano susseguirsi di costituzioni che caratterizza la Rivoluzione francese) A fronte dell'intrinseca incapacità della rivoluzione di costruire un ordine stabile e duraturo, Maistre sostiene che non devono essere assemblee e leggi innovative a dettare la costituzione di un popolo, ma che questa si deve manifestare come " religione nazionale", come " fede politica", cioè come "annientamento dei dogmi individuali e come regno assoluto e generale dei dogmi nazionali, cioè dei pregiudizi utili". Un potere che si pretende, come quello moderno e popolare, fondato solo sui diritti dei singoli, è quindi per Maistre illegittimo e instabile; è allora significativo che uno dei bersagli privilegiati della critica maistriana sia la nozione rivoluzionaria di "rappresentanza nazionale", con i suoi presupposti costruttivistici, ugualitari e individualistici, a cui l'autore contrappone la rappresentanza medievale, anticoncettuale e articolata per differenze organiche e naturali. E' questo l'aspetto tradizionalistico del pensiero di Maistre e della sua interpretazione della Rivoluzione, riconducibile al rifiuto integrale e frontale dei "principi dell'Ottantanove" e all'affermazione della necessità dei loro esiti negativi; all'interno di una struttura argomentativa rigidamente dicotomica, la rivoluzione, per Maistre, oblia l'autorità per sostituirvi il puro potere dispotico della sovranità popolare, distrugge ogni legittimità sostituendola con il mero esercizio della legalità, e, infine, pretende che il nuovo sia come tale superiore al vecchio. In essa egli vede un crimine non solo verso l'Antico Regime - non amato per le sue componenti assolutistiche e libertine ma soprattutto contro un ordine eterno che garantiva all'uomo un concreto e sensato "posto" nella scala gerarchica del cosmo morale e politico: quel crimine è quindi, prima di tutto, un'empietà. Confluiscono in questo sistema argomentativo tanto la tradizione dell'apologetica cattolica di Bossuet e di Fontenelle e della polemica antilibertina di Garasse, quanto la ripresa delle tesi dì Boulainvflliers sulla classe nobiliare come depositaria dell'antica libertà franco-germanica, piegate da Maistre a dimostrare l'impossibilità della libertà politica quando non sia garantita dalla tradizione; ma è soprattutto evidente il debito di Maistre, insieme però a importanti differenze, rispetto alle argomentazioni di Burke e di Barruel. E di chiarissima e conclamata origine burkiana, infatti, il far risalire l'instabilità intrinseca del fenomeno rivoluzionario all'astratta pretesa di rinunciare alla concretezza delle istituzioni tradizionali, per sostituirvi i dettami di una ragione che si pretende valida universalmente per tutti gli uomini. Ma è da sottolineare che il nucleo delle argomentazioni dei due controrivoluzionari differisce radicalmente: la logica del whig, infatti, è già protostoricistica e si affida in ogni caso ad una nozione di "perfettibilità" dell'uomo e delle istituzioni realmente dinamica, anche se il dinamismo non è individuato nel cosciente progetto razionale, quanto piuttosto nelle modificazioni che il longum tempus introduce nelle istituzioni tradizionali che ogni popolo si è formato reagendo alle diverse sfide della storia e della geografia; per Maistre, invece, la storia è solo "il primo ministro di Dio in questo mondo", è la "politica sperimentale", nel senso che in essa, nella durata, si rivelano verità metastoriche, cioè la forma e i contenuti dell'ordine naturale in quanto tale voluto da Dio e sostanzialmente immutabile: la "perfettibilità" che Maistre contrappone al sogno moderno di riformare radicalmente la natura e di creare una società artificiale consiste soltanto nel fatto che gli uomini, nel corso della storia, sempre meglio possono prendere consapevolezza delle verità metastoriche dell'ordine naturale (tesi, questa, che ha origine da Malebranche). Balza poi evidente la discontinuità delle posizioni di Maistre rispetto a quelle dell'abate Barruel: questi, nei Memoires pour servir à l'histoire du jacobinisme, sostiene la tesi del complotto massonico-illuministico come causa della Rivoluzione, che da quello sarebbe stata preparata e prevista in ogni particolare. Al contrario, Maistre, pur riconoscendo la razionalità moderna e i suoi fautori all'origine della Rivoluzione, afferma, nella sua tesi più originale, che la rivoluzione è non solo un sistema unitario, ma anche e soprattutto un soggetto attivo, animato da dinamiche sue proprie e in un certo senso necessarie, pur nella loro inconsistenza ontologica, e tali da trascendere ogni calcolo umano. Questa tesi è sostenuta da Maistre attraverso l'affermazione che la rivoluzione ha caratteri miracolosi, a un tempo satanici e provvidenziali, in un contesto argomentativo non di pacata interpretazione scientifica ma di stupefatta partecipazione emotiva. Infatti, già dal loro inizio le Considerazioni affermano che "in alcune epoche vediamo azioni sospese, cause paralizzate ed effetti nuovi" e che, "forza travolgente che piega tutti gli ostacoli", evento " ineluttabile", la rivoluzione è definibile solo come un " miracolo". Con ciò Maistre non vuole certo sostenere l'irresponsabilità o l'innocenza dei rivoluzionari - anzi, tutta la Francia è colpevole in solido dell'empietà rivoluzionaria e del regicidio -quanto piuttosto vuole sottolineare il lato a suo parere enigmatico della Rivoluzione, cioè che essa è un effetto sproporzionato rispetto alle cause: se fosse solo dovuta all'accecamento delle menti umane - sempre possibile, dopo il peccato originale la Rivoluzione non potrebbe infatti, a rigore, avere la forza di sovvertire un ordine stabile, voluto da Dio, immanente alla natura, sancito dalla storia, ma dovrebbe anzi automaticamente ricadere all'interno della necessità dell'ordine e del potere. Allora, proprio la durata e gli apparenti successi della Rivoluzione testimoniano per Maistre che questa è un miracolo, nel senso che è voluta direttamente da Dio, il quale ha permesso che le forze sataniche che rendono l'uomo ribelle trionfassero (cosa altrimenti impossibile), allo scopo provvidenziale di punire la corruzione dell'Antico Regime e la follia razionalistico-protestante moderna, che ne è quindi l'origine ma non propriamente la causa autentica. E il "mondo fantastico" evocato dalla "magia nera" della Rivoluzione acquisisce infatti, secondo Maistre, momentanea realtà allo scopo non solo di castigare la Francia (la teoria della reversibilità della colpa e della pena rende di fatto tutti gli uomini peccatori e punibili) ma anche di rigenerarla: "il comitato di salute pubblica, che fu un miracolo, il cui spirito ancora vince le battaglie", ha ricoperto il ruolo che Dio gli ha assegnato, di cui, peraltro, i Giacobini non sono consapevoli, essendo solo strumenti; il ruolo, cioè, di salvate la Francia dagli attacchi delle potenze europee e di preservarla in vista della controrivoluzione che da essa dovrà irradiarsi su tutta l'Europa per ricristianizzarla. Emerge qui la caratteristica principale - dal punto di vista del metodo dell'interpretazione maistriana della Rivoluzione, di essere cioè contrapposizione frontale rispetto ai principi "satanici" che l'hanno determinata, e al tempo stesso di volerli interamente ricomprendere in una teoria della storia non solo antimoderna ma anche complessivamente positiva. Che la Rivoluzione sia, per Maistre, un'"epoca", non implica che egli coscientemente si adegui alla moderna semantica del termine "rivoluzione "e alle categorie di "rottura" e di tempo lineare e progressivo che vi sono implicite: la rivoluzione è da Maistre interpretata nella tradizionale ottica etimologica di "allontanamento" e di necessario "ritorno" rispetto ad un centro fisso (l'ordine metafisicamente fondato) attorno a cui ruota una storia a un tempo sacra e naturale. La Rivoluzione francese non ha in sé la propria spiegazione e il proprio fine: i suoi fini sono sottoposti ad una provvidenziale eterogenesi che garantisce implicitamente la palingenesi; il preteso progresso storico dei Lumi è così reinterpretato da Maistre all'interno di una vera e propria teodicea di cui quello non costituisce che un brano rispetto al quale la vera rivoluzione sarà il sicuro ristabilirsi contro l'astrattezza dei diritti dell'uomo e dopo un "secolo di futilità criminali" - della serietà ordinata dei "diritti di Dio". La vicenda rivoluzionaria ha quindi un esito "positivo" garantito a priori, anche se il pathos controrivoluzionario maistriano assurge in qualche caso a vertici di angoscia (si ricordi, ad esempio, la celebre affermazione "io muoio insieme all'Europa") contraddittoria rispetto alla sua teodicea che in quanto tale vorrebbe sottrarsi sia ad ogni disperazione sia alle dicotomie destra/sinistra, conservazione/progresso. La stessa controrivoluzione, quindi, non è per Maistre un'ideologia concorrenziale di quella rivoluzionaria, e neppure, a rigore, un'attività politica in senso proprio: in quanto "contrario della rivoluzione " essa è automatico ristabilimento dell'ordine tradizionale cristiano. Naturalmente, gli aspetti di "destra" del pensiero di Maistre - oggettivamente inevitabili - sono evidentissimi per la critica liberale, ad esempio di Benjamin Constant, che dell'autore fa un esempio di cieco passatismo. Ma, oltre che essere un idolo polemico per la cultura "progressiva", l'interpretazione maistriana della Rivoluzione ha un'efficacia storica che si articola su quattro direttrici principali: è in primo luogo una delle fonti privilegiate del legittimismo tradizionalistico, e come tale nutrirà di suggestioni gran parte della cultura "retrograda" dei cattolici del XIX secolo (per l'Italia, si ricorderanno solo, a titolo d'esempio, Taparelli d'Azeglio e Monaldo Leopardi) e in generale, ma a prezzo di una forte decontestualizzazione (in senso più spesso storicistico) dei suoi argomenti dal quadro metafisico che li caratterizza, fornirà spunti a tutto il pensiero conservatore europeo e alla sua capacità "riflessiva" (superiore, secondo Mannheim, a quella "ingenua" del tradizionalismo) di criticare le tendenze degenerative della moderna razionalizzazione; in secondo luogo, nella tesi maistriana secondo cui la Rivoluzione instaura un " mondo fantastico " si può vedere un prodromo della piu' elaborata intuizione di Cochin sulla Rivoluzione come tentativo di costruire una "società immaginaria", e in generale un'anticipazione - pur nella ovvia distanza ideologica - degli sforzi della recente storiografia revisionistica di uscire dalle letture apologetiche della Rivoluzione; in terzo luogo, Maistre è stato assunto dalla destra radicale di Maurras - con ancora maggiore stravolgimento della ratio del suo pensiero - come un ideologo a cui si deve l'idea di uno scontro frontale e decisivo fra controrivoluzione e spirito rivoluzionario; infine, teorici politici come Carì Schrnitt e altri studiosi a diverso titolo a lui collegati, di Maistre accolgono non certo la teodicea, quanto piuttosto l'indicazione metodologica che la Rivoluzione francese apra un periodo storico caratterizzato da radicali difficoltà per quanto da la legittimazione degli ordini politici (liberalismo, democrazia, socialismo): i problemi che ne derivano potrebbero essere interpretati, in sede di storia delle idee e dei concetti politici, anche attraverso l'indagine (priva però del pathos tipicamente controrivoluzionario) del grado di consapevolezza specificamente metafisica con cui le argomentazioni giuridico-politiche cercano di legittimare gli assetti politici postrivoluzionari e secolarizzati.

 

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