Nature

ALIENAZIONE

“La svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose”. (K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844)






A cura di Diego Fusaro

Alienazione è un concetto che, a rigore, non si trova sviluppato presso la filosofia greca. Deriva dal latino “alienatio”, termine che rinvia direttamente all’“alius”, all’“altro” inteso come “diverso”. Vero è che, presso voi greci, si usava l’espressione “alloiosis” per indicare il “mutamento”: espressione che racchiude in sé, come il nostro “alienazione”, il riferimento all’“altro” (“àllos”). Infatti il concetto di alienazione indica, nel suo significato più immediato, il passaggio verso qualcos’altro. Così lo si ritrova, ad esempio, nella sfera specifica del diritto: l’alienazione è il negozio mediante il quale un soggetto, detto “alienante”, cede a un altro (chiamato “alienatario”) una proprietà o un diritto su beni che rientrano nel proprio patrimonio. È, tuttavia, solo con la modernità che il lemma alienazione entra pienamente a far parte del vocabolario della filosofia. E prende a indicare il processo attraverso il quale ciò che in origine appartiene all’uomo ed è opera del suo agire gli diviene estraneo, finendo, in ultimo, per signoreggiarlo e asservirlo. Nella filosofia dell’idealista Fichte, a cavallo tra XVIII e XIX secolo, troviamo il dispositivo fondamentale del pensiero dell’alienazione, quale prenderà forma compiuta, dopo di lui, con Hegel, Feuerbach e Marx. La tesi portante della filosofia di Fichte è che il mondo obiettivo, in ogni sua determinazione, dipende dall’attività del soggetto che lo pone: ciò vale sia per gli enti materiali (come il bicchiere sul tavolo qui dinanzi a me), che esistono mediati dall’atto del mio pensare, sia per le istituzioni sociali, economiche e politiche (che sempre sono poste dall’attività del soggetto umano). Fichte esprime ciò asserendo che l’Io si pone come determinante il non-Io. Accade, però, che l’Io, che è all’origine del mondo circostante, non sappia più riconoscersi in esso e lo pensi come indipendente e superiore rispetto al soggetto stesso. Il Soggetto si smarrisce nelle proprie oggettivazioni: si aliena, ossia, letteralmente, diventa straniero a se stesso. Esso deve ritrovarsi, superando quell’alienazione: la vita pratica non è altro, per Fichte, che un ininterrotto superamento delle alienazioni che l’Io pone dinanzi a sé per poi superarle, così procedendo sempre oltre se stesso. Dopo Fichte, dicevo, sarà Hegel, nell’Ottocento, a sviluppare, pur diversamente, questa impostazione: il movimento dello Spirito è, nella sua linea essenziale, quello per cui esso si aliena, negandosi, e poi ritrova se stesso nel proprio essere altro. Sempre nell’Ottocento, Feuerbach, dal canto suo, applica questo modello di pensiero alla religione: non è Dio a crearci a sua immagine e somiglianza, come vorrebbero le religioni della tradizione. Siamo, al contrario, noi che creiamo Dio, nel pensiero, a nostra immagine e somiglianza: in questo senso, il segreto della teologia sta, per Feuerbach, nell’antropologia. Dio è il modo in cui l’umanità diventa straniera a se stessa, alienando le sue prerogative (amore, potenza, ecc.) in un ente che le possiede in sommo grado e dal quale gli uomini finiscono per dipendere. Con Marx, infine, questo modello è ricondotto, dalle nebulose regioni celesti della teologia, alla sfera della mondanità: il mondo capitalistico è il regno dell’alienazione. Come nella religione investigata da Feuerbach l’uomo dipende dal prodotto della sua testa (in una sorta di alienazione mentale), così nell’ambito della società capitalistica dipendiamo tutti dai prodotti del nostro lavoro, ossia dalle merci. L’uomo, che nel lavoro dovrebbe realizzare la propria essenza di animale razionale e attivo, diviene invece straniero a se stesso: tale è l’essenza del lavoro alienato proprio della società capitalistica, nei cui spazi l’umanità, anziché realizzarsi, si smarrisce in forme che contraddicono la sua natura specifica. Dal punto di vista di Marx, in effetti, l’umanità non sarebbe fatta per vivere e pensare nella sola dimensione della produzione e dello scambio di merci: e, invece, la società del capitale è – oggi più di ieri – quella che tutto riconduce alla forma della merce. Le stesse relazioni tra gli umani si mercificano, nella forma vuoi degli “investimenti affettivi”, vuoi dei “debiti e crediti” nelle scuole, vuoi ancora del “capitale umano” come macabra definizione in auge dell’umano. Il mondo del capitale è, in effetti, una realtà rovesciata, che dell’alienazione segna l’apice: è una società in cui i veri protagonisti sono le merci e gli uomini stessi figurano come semplici mediatori di merci. Che fare? Se prestiamo ascolto a Marx, ma poi anche a Fichte e a Hegel, sappiamo che questa situazione è tragica e, insieme, provvisoria: infatti, la storia umana è sempre la storia delle alienazioni e delle disalienazioni dell’uomo, che si perde per poi ritrovarsi e rendersi libero. Per superare l’alienazione, occorre anzitutto acquisire la consapevolezza della sua esistenza. Non v’è, infatti, schiavo peggiore di quello che non sappia di esserlo.

Citazioni

"Non vivere come se avessi diecimila anni da vivere ancora". (M. Aurelio, "Pensieri")
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