Nature

CORPO

“Dicono alcuni che il corpo è séma (segno, tomba) dell’anima, quasi che ella vi sia sepolta durante la vita presente”.
(Platone, Cratilo)






A cura di Diego Fusaro

Che cos’è nella sua essenza il corpo? In prima approssimazione, propongo una definizione di questo tipo: il corpo è una entità estesa nello spazio e percepibile attraverso i sensi. Sue ulteriori prerogative essenziali sono la divisibilità, la solidità e l’impenetrabilità. Per questo, può definirsi “corpo” ogni ente che sia divisibile, occupi uno spazio, sia impenetrabile e risulti solido. Dal punto di vista della filosofia atomistica di Democrito o di Epicuro, ogni corpo può essere scomposto negli elementi che lo compongono, secondo una divisione che culmina negli elementi primi che costituiscono gli aggregati corporei e che vanno sotto il nome di “atomi”: l’atomo è, per così dire, il “corpo” più piccolo, non ulteriormente divisibile, che aggregandosi ad altri dà luogo ai corpi che costantemente percepiamo nel tempo e nello spazio. Anche noi abbiamo un corpo. Ma, a questo riguardo, sorge una domanda fondamentale, che subito formulo: noi “abbiamo” un corpo o “siamo” un corpo? Sembra una questione puramente nominale, legata al linguaggio, e invece da essa dipendono concezioni del mondo del tutto differenti. Se “siamo” un corpo, allora la nostra essenza specifica è essa stessa corporea: e il nostro essere si risolve interamente nel corpo che siamo. Tale è la visione propria del materialismo, ad avviso del quale non v’è nulla al di là della realtà materiale, corporea, di cui constiamo. Se, invece, “abbiamo” un corpo, ciò vuol dire che la nostra essenza più profonda non coincide con esso, senza il quale pure non potremmo esistere. Già Platone, e prima di lui gli Orfici, avevano sviluppato una prospettiva di questo genere, peraltro estremizzandola: a loro avviso, il corpo sarebbe una sorta di “carcere” che imprigiona la parte di noi con cui realmente ci identifichiamo, la quale coinciderebbe con l’anima, con il principio spirituale. Con l’ovvia conseguenza per cui, per essere davvero liberi, dobbiamo attendere che l’anima si affranchi dal carcere del corpo. Al di là della soluzione di Platone, è importante rilevare come la prospettiva dell’“avere un corpo” introduca un dualismo fondamentale: noi siamo un’anima dentro un corpo, cosicché partecipiamo di due diverse sostanze. Da un lato, v’è la “sostanza estesa” del corpo (Cartesio la appellerà res extensa) e, dall’altro, si dà la “sostanza pensante” dell’anima (che lo stesso Cartesio qualifica come res cogitans). La prospettiva dell’“essere un corpo” semplifica le cose e pecca di riduzionismo, perché si trova, di fatto, in difficoltà nello spiegare fenomeni spirituali come il pensare e l’immaginare. Per parte sua, la posizione dell’“avere un corpo”, che è sicuramente più complessa e articolata, si trova nella difficoltà di dover spiegare quale tipo di rapporto si dia tra il corpo e l’anima, tra l’estensione e il pensiero. Larga parte della filosofia moderna si è, in effetti, soffermata su questo problema, con soluzioni assai diverse. Il problema, se vogliamo chiarirlo con un esempio, potrebbe così essere formulato: com’è possibile che se decido di alzare il braccio (momento del pensiero, della res cogitans), esso effettivamente si alza (momento del corpo, della res extensa)? Come può il pensiero, che è essenzialmente altro dal corpo, interagire con quest’ultimo? Cartesio, che ho già citato, non riesce davvero a fornire una spiegazione convincente. Spinoza, dal canto suo, la propone ammettendo che pensiero e corpo siano due “attributi” diversi della medesima sostanza, Dio. Leibniz, invece, parlerà di “armonia prestabilita”, immaginando che sia stato Dio ad accordare, in origine, queste due realtà, di modo che esse si accordassero già da sempre. La filosofia dell’Occasionalismo, invece, pensa che vi sia un costante intervento di Dio, che sempre di nuovo agisce nel mondo per accordare spirito e corpo. Hobbes, dal canto suo, risolve la questione annullando la dimensione dello spirito e riconducendo ogni realtà – compreso il pensiero – all’elemento corporeo. Tali e tante sono le questioni e qui ne ho, per ragioni di spazio, dovute trascurare molte altre, non meno importanti.

Citazioni

"Per cattive compagnie non mi riferisco solo a gente cattiva, viziosa o distruttiva; di quelle si dovrebbe evitare la compagnia perché la loro influenza è velenosa e deprimente. Mi riferisco soprattutto alla compagnia di persone amorfe, di gente la cui anima è morta, sebbene il corpo sia vivo; di gente i cui pensieri e la cui conversazione sono banali; che chiacchiera anziché parlare, e che esprime opinioni a cliché invece di pensare". (E. Fromm, “L'arte di amare”)
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