Nature

LIBERTÀ

“La libertà è la facoltà di iniziare da sé uno stato”.
(I. Kant, Critica della ragion pratica)






A cura di Diego Fusaro

Quanto sono lontani dal vero coloro i quali si ostinano a criticare la filosofia per la sua astrattezza! Essa, in realtà, è la scienza più concreta: il suo oggetto è la vita stessa, nel suo scorrere incessante. I suoi problemi sono, di conseguenza, quelli che è la vita stessa a sollevare. Tra questi, uno spazio decisivo è occupato dal tema della libertà. Che cos’è? E che cosa vuol dire essere liberi? Nella sua determinazione più generale e astratta, la libertà corrisponde con la facoltà di pensare, scegliere e agire in modo autonomo, senza impedimenti. Kant, nel Settecento, ne ha proposto una definizione convergente: la libertà è la facoltà di iniziare da sé un nuovo stato. Questa definizione, mi rendo conto, non è affatto esaustiva e chiede di essere problematizzata. Occorre, anzitutto, che vi sono due differenti determinazioni della libertà, che così vorrei compendiare: v’è la libertà “da”, ossia quella libertà in negativo, che coincide semplicemente con l’assenza di impedimenti, che possono essere di tipo esterno (come le catene) o di tipo interno (come le passioni). E v’è, poi, la libertà “di”, ossia quella in positivo, che corrisponde con la possibilità concreta di determinarsi scegliendo e operando in modi specifici. Essere senza catene, ad esempio, è una forma di libertà “da”: non vi sono vincoli materiali che ci impediscano di spostarci. Ma essere senza catene non è ancora, di per sé, una libertà “di”: la quale subentra quando, ad esempio, decidiamo di recarci a Parigi per una esperienza di studio. Resa possibile dalla libertà in negativo, la libertà in positivo si determina concretamente nelle scelte che facciamo. Si potrebbe, non di meno, obiettare – come in molti hanno fatto – che anche nel compiere scelte che riteniamo libere, siamo in realtà determinati dalla necessità. Ad esempio, Spinoza sosterrà, in epoca moderna, che la nostra libertà è analoga a quella di una pietra che sta cadendo: coincide, dunque, con la necessità assoluta. Non pretendo di risolvere questo dilemma fondamentale: mi limito a ricordare come il concetto di libertà, che qui abbiamo richiamato nella sua valenza ontologica (legata, cioè, alle strutture essenziali dell’essere: esiste la libertà? E che cos’è?), presenti anche una sua decisiva rilevanza politica. Che cosa vuol dire per il soggetto essere libero? Quali forme sociali, politiche ed economiche – quale forma di governo, avrebbe chiesto un greco – possono realizzare appieno la libertà dell’uomo? È questa la domanda fondamentale della filosofia politica, a cui i filosofi hanno prospettato soluzioni incredibilmente differenziate. Non intendo qui ripercorrerle, ma desidero evidenziare un punto che mi pare importante: siamo nel falso quando immaginiamo che la libertà sia una sorta di “cosa” che possediamo in quanto individui. È questa, in effetti, la concezione dominante nel mio tempo: in accordo con la quale si sarebbe possessori della libertà come lo si è di qualsiasi altra merce resa disponibile dalla civiltà dei consumi. L’erramento insito in questa prospettiva mi pare duplice. In primo luogo, essa risolve in forma individualistica una questione che, a rigore, riguarda la società. In secondo luogo, snatura l’idea stessa di libertà, abbassandola al rango delle cose e delle merci: la libertà è, invece, una relazione e, più precisamente, una relazione tra individui egualmente liberi. Libera è, appunto, quella società nei cui spazi gli individui siano portatori di eguale libertà e, dunque, tali da relazionarsi secondo rapporti di eguale riconoscimento. Per questa ragione, come acutamente rilevò Hegel, nelle società dispotiche dell’antico Oriente, dove solo uno – il desposta, appunto – era libero, in verità nessuno era libero: mancava, infatti, quella relazione tra liberi che è il fondamento stesso della libertà. In maniera egualmente erronea, la mia epoca tende, nel suo complesso, a confondere la libertà con la licenza, ossia con la possibilità, per l’individuo, di fare senza impedimenti e – come usa dire – in modo “deregolamentato” tutto ciò che desidera. Questa, però, non è libertà: o, se lo è, lo è nella sua forma più bassa e indeterminata. Tipico della libertà o, almeno della libertà intesa nella sua forma più alta, è la scelta di ciò che è bene sia per il soggetto, sia per la comunità di cui è parte: né solo per l’uno, né solo per l’altra.

Citazioni

“La cosa, in realtà, è enorme: è un fenomeno, insisto, di ‘mutazione antropologica’. Soprattutto forse perché ciò ha mutato i caratteri necessari del Potere. La ‘cultura di massa, per esempio, non può essere una cultura ecclesiastica, moralistica e patriottica: essa è infatti direttamente legata al consumo; che ha delle sue leggi interne e una sua autosufficienza ideologica, tali da creare automaticamente un Potere che non sa più che farsene di Chiesa, Patria, Famiglia”. (P.P. Pasolini, "Scritti corsari")
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