Nature

RESPONSABILITÀ

“Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra”.
(H. Jonas, Il principio responsabilità)






A cura di Diego Fusaro

Che cosa vuol dire essere responsabili? E perché è tanto importante questa determinazione concettuale per la nostra vita? Nella sua definizione più generale, la “responsabilità” è connessa con il “rispondere”: allude alla facoltà di prevedere le conseguenze future del proprio agire o non agire nel presente, correggendolo sul fondamento di tale previsione. Di conseguenza, la responsabilità rimanda al rispondere, da parte del soggetto, del proprio comportamento e delle conseguenze che da esso scaturiscono. Il fondamento dell’agire responsabile è, allora, la sua capacità di guardare al di là del semplice orizzonte del presente: chi agisce responsabilmente, infatti, opera nel presente, ma con lo sguardo rivolto al domani, ben sapendo che l’agire non si misura solo nel suo estrinsecarsi immediato, ma anche nei suoi esiti a venire, ossia, appunto, nelle conseguenze che, presto o tardi, ne deriveranno. A questo proposito, è possibile operare una distinzione tra la responsabilità giuridica e quella morale: nel primo caso, il soggetto compie determinate azioni (o si esime dal compierle) semplicemente in ragione del fatto che, in caso contrario, dovrebbe risponderne davanti alla legge in termini di sanzioni. Nel caso della responsabilità morale, invece, il soggetto agisce in accordo ai suoi dettati non perché vincolato da una legge che, in cuor suo, egli potrebbe anche avvertire come ingiusta, pur dovendola egualmente rispettare. Al contario, la responsabilità morale prevede che il soggetto scelga un determinato comportamento perché lo sente in sé come giusto, quand’anche non sia la forza della legge a vincolarlo. In molti casi, v’è corrispondenza tra la responsabilità morale e quella giuridica: e rispettiamo la legge non sono per evitare le sanzioni, ma anche perché la riteniamo giusta in sé. In casi estremi, può, tuttavia, anche darsi il caso di una responsabilità morale che entra in conflitto con la responsabilità giuridica: la storia è costellata di esempi di uomini che hanno violato una legge che, ad esempio, imponeva di uccidere, e l’hanno fatto sulla base della responsabilità non giuridica, bensì morale. Pensiamo, tra i tanti esempi possibili, a chi nella Seconda Guerra Mondiale, si è opposto alla legge che prescriveva di deportare esseri umani nei campi di sterminio: la responsabilità morale prevaleva su quella giuridica. V’è un aspetto della responsabilità, nel suo senso più largo, su cui vorrei brevemente soffermare l’attenzione. Riguarda quello che vorrei definire come il suo carattere inaggirabilmente individuale o, se preferiamo, personale. La responsabilità è sempre del singolo soggetto, che deve in prima persona rispondere del proprio comportamento. Dobbiamo stare in guardia rispetto alla possibile attribuzione di responsabilità ai gruppi, ai popoli, alle generazioni: un simile modo di operare finisce, troppo spesso, per essere deresponsabilizzante o per attribuire la responsabilità a chi, in verità, ne è esente. In entrambi i casi, evidentemente, si precipita nell’errore e nell’ingiustizia. Infatti, sostenere che la responsabilità è di tutti (dell’intero popolo, di tutta la nazione o, addirittura, del genere umano nel suo complesso) vuol dire, di fatto, ammettere che nessuno è realmente responsabile. Ma vuol anche dire, troppo spesso, attribuire la responsabilità a soggetti a cui non è corretto attribuirla: dire, ad esempio, che i tedeschi in quanto tali sono reponsabili per i campi di concentramento, i russi per i gulag e gli americani per le bombe atomiche, significa, com’è evidente, ammettere che lo è anche chi – tra i tedeschi, tra i russi e tra gli americani – non ha accettato quelle atrocità, o magari addirittura si è opposto ad esse. Vuol dire, di più, rinunciare a individuare i veri responsabili, che hanno sempre un nome e un cognome. In tempi più recenti, il filosofo Hans Jonas ha teorizzato un’etica della responsabilità: il nostro agire, a suo giudizio, deve determinarsi sul fondamento della responsabilità verso le generazioni a venire. Che mondo vogliamo lasciare loro in eredità? Questa dev’essere – spiega Jonas – la domanda fondamentale in base alla quale orientare i nostri comportamenti nel presente. Credo che sia un’ottima pista da seguire.

Citazioni

"Che né i nostri pensieri, né le passioni, né le idee formate dall’immaginazione, esistano fuori della mente, è quanto ognuno ammetterà. E sembra non meno evidente che le varie sensazioni o idee impresse sui sensi, comunque unite o combinate insieme (cioè, qualsiasi oggetto esse compongano) non possono esistere altrimenti che in una mente che le percepisce. Penso che una intuitiva conoscenza di ciò possa esser ottenuta da chiunque badi a quel che s’intende col termine esistere quando è applicato alle cose sensibili. La tavola sulla quale scrivo, io dico, esiste, cioè io la vedo e la tocco; e se io fossi fuori del mio studio, direi che essa esisteva, intendendo cosí che se io fossi nel mio studio potrei percepirla, o che qualche altro spirito presentemente la percepisce. C’era un odore, cioè, era sentito; c’era un suono, vale a dire, era udito; e un colore o una figura, ed erano percepiti con la vista e con il tatto. Ecco tutto quanto io posso intendere con queste e simili espressioni. Perché, quanto a ciò che si dice dell’esistenza assoluta di cose non pensanti, senz’alcuna relazione al loro essere percepite, codesto sembra perfettamente inintelligibile. Il loro esse è percipi, né è possibile che abbiano un’esistenza fuori delle menti o cose pensanti che le percepiscono". (G. Berkeley, "Trattato sui principi della conoscenza umana")
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