I pedagoghi del mondialismo finanziario hanno realizzato, a modo loro, l’antico sogno dell’alchemica mutazione del piombo in oro: sono stati capaci di trasformare i consulenti d’affari in politici, e i politici in consulenti d’affari. Sono riusciti nell’impresa di costruire efficacissime porte girevoli, che permettono ai dirigenti dell’alta finanza di assurgere al rango di ministri e politici di prim’ordine, e viceversa. Si pensi anche solo al caso emblematico di Robert Rubin. Questi, dopo una lunga carriera in qualità di dirigente di Goldman Sachs, si trova poi a presiedere il consiglio per l’economia alle dirette dipendenze di Clinton tra il 1993 e il 1995. Diventa, infine, ministro del tesoro tra il 1997 e il 1998. Innumerevoli sono i casi analoghi a quello di Rubin, che testimoniano del “connubio Stato-finanza”. Per limitarci alla sola Italia, basti rammemorare le vicende di Mario Monti, Mario Draghi e Romano Prodi: i quali, prima dell’ingresso nelle istituzioni dell’UE, avevano ricoperto incarichi di prestigio presso la banca d’affari Goldman Sachs. Per converso, si può ricordare il caso di José Barroso, dal 2004 al 2014 presidente della Commissione Europea e, a seguire, dal 2016 presidente non esecutivo e advisor in Goldman Sachs.

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