Il mio mare

Abbiamo lasciato la terra e ci siamo imbarcati sulla nave! Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle – e non è tutto: abbiamo tagliato la terra dietro di noi. Ebbene, navicella! Guardati innanzi! Ai tuoi fianchi c’è l’oceano: è vero, non sempre muggisce, talvolta la sua distesa è come seta e oro e trasognamento della bontà. Ma verranno momenti in cui saprai che è infinito e che non c’è niente di più spaventevole dell’infinito. Oh, quel misero uccello che si è sentito libero e urta ora nella pareti di questa gabbia! Guai se ti coglie la nostalgia della terra, come se là ci fosse stata più libertà – e non esiste più “terra” alcuna!» (F. Nietzsche, “La gaia scienza”).

Di tutte le cose, ve n’è una che Diego Fusaro ama sopra le altre: ed è il mare, immagine mobile della libertà. Lo spazio aperto e dinamico del mare esprime l’infinita libertà dell’uomo. A pochi chilometri a ovest di Savona, in Liguria, si trova una ridente località a Diego molto cara, nella quale ama trascorrere le sue giornate in estate e talvolta anche in inverno. È Spotorno, paesaggio dell’anima.

Questa è la poesia che a Spotorno volle dedicare il poeta Camillo Sbarbaro, che nella cittadina ligure soggiornò a lungo, serbandone sempre un ottimo ricordo:

“Spotorno, terra avara. Vi imbianca l’olivo, il sorbo vi si carica di mazzetti duri.

Ti siedi e taci sulla spiaggia sterposa di contro a un pallido mare. Vi tremola a volte una manciata di zecchini; al largo passa il guscio rossastro della petroliera. Il greto abbacina. La montagna mostra bianche ferite.

Negli orti le casette screpolate rosee trasaliscono al passaggio del direttissimo. Allaga l’abitato la voce della maretta. Spotorno, paesaggio dell’anima; cielo che a guardarlo si beve.

Vivo in un ex voto a vedere come la marina si comporta ingenuamente davanti a questa levata di sole.

Le colline paion pecore dopo la tosatura. Il promontorio in faccia all’isolotto di Bergeggi è appena ricciuto di pinastri.

E il mare! – conosco un mare brulicante d’oro dove le vele sono fiamme esili; uno, impalpabile da credere ad un inganno degli occhi; un mare che è tutto uno zaffiro liquefatto, in cui si vorrebbe stemperarsi. 

Questo, è una grigia lavagna, appena argentata a levante. Più di tutti i mari che so, è questo che amo: esso risveglia in me l’anima avventurosa. Quand’ecco, nell’appropriato scenario, il sole balza, bolla infuocata, sciorinandosi ai piedi un tremolante tappeto arancione. 

(Da Trucioli, II, 1914-1940)

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