Camillo Sbarbaro, Spotorno

Spotorno, terra avara. Vi imbianca l’olivo, il sorbo vi si carica di mazzetti duri.
Ti siedi e taci sulla spiaggia sterposa di contro a un pallido mare. Vi tremola a volte una manciata di zecchini; al largo passa il guscio rossastro della petroliera. 

Il greto abbacina. La montagna mostra bianche ferite. Negli orti le casette screpolate rosee trasaliscono al passaggio del direttissimo. Allaga l’abitato la voce della maretta. Spotorno, paesaggio dell’anima; cielo che a guardarlo si beve. 

Vivo in un ex voto a vedere come la marina si comporta ingenuamente davanti a questa levata di sole. Le colline paion pecore dopo la tosatura. Il promontorio in faccia all’isolotto di Bergeggi 

è appena ricciuto di pinastri. 

E il mare! – conosco un mare brulicante d’oro dove le vele sono fiamme esili; uno, impalpabile da credere ad un inganno degli occhi; un mare che è tutto uno zaffiro liquefatto, in cui si vorrebbe stemperarsi. 

Questo, è una grigia lavagna, appena argentata a levante. Più di tutti i mari che so, è questo che amo: esso risveglia in me l’anima avventurosa. 

Quand’ecco, nell’appropriato scenario, il sole balza, bolla infuocata, sciorinandosi ai piedi un tremolante tappeto arancione. 




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Diego Fusaro